Salvatore

  • Uzumaki: le spirali mortali dirette da Higuchinsky

    Uzumaki: le spirali mortali dirette da Higuchinsky

    Un piccolo villaggio giapponese è ossessionato da una singolare allucinazione: spirali che appaiono nelle forme e nei modo più impensabili, portando alla morte gli abitanti che le vedono. Due ragazzi ed un giornalista si interessano al caso…

    In breve. Un horror giapponese macabro, originale e ben diretto, ricco di sorprese e colpi di scena.

    Lanciato da una tagline forse un po’ goffa e ridondante (“cosa si nasconde dietro il vortice infinito delle spirali?“), Uzumaki si ispira ad un manga omonimo che, all’epoca dell’uscita del film, non era ancora stato finito. Questo significa che il suo finale e le sue premesse sono state formalizzate in modo parzialmente indipendente dalla storia cartacea, il che finisce per essere più un pregio del film che altro.

    Molte scene con vortici in movimento (la spirale possiede una valenza ipnotica quando surreale, e si presta alle intepretazioni più svariate) sono state realizzate in digitale (quella del cielo, ad esempio), mentre altre sono puramente analogiche (la scena della modellazione della ceramica). In genere le spirali si ritrovano nei contesti più variegati ed imprevedibili: appaiono nelle decorazioni di un dolce, formano i capelli di una delle ragazze della scuola, appaiono negli occhi delle persone sempre più ossessionate dalle stesse – in genere ricalcano una paranoia abitudinaria che sembrerebbe molto fedele a quella del fumetto originale (riedito di recente dalla Star Comics in Italia).

    Hai detto che dovresti proteggermi, come se le cose girassero nel modo che tu vuoi. Se questo non è un sogno, le persone stanno morendo veramente. Questa città è maledetta da un vortice.

    Che si tratti di un film tratto da un manga, del resto, si intuisce dal tono vagamente didascalico della storia, che assume una valenza istruttiva e mostra la candida semplicità della protagonista a differenza del cinismo del mondo circostante. Come di consueto, poi, l’horror di questa nazionalità cede parecchi il passo ad un fatalismo di fondo, che caratterizza le circostanze di morte e che il più delle volte è inspiegabile e piuttosto esplicito. La principale causa di morte, comunque, è legata alle ossessioni morbose delle proprie vittime, attraverso incubi di vario ordine e grado (gli occhi che ruotano vorticosamente, le espressioni rassegnate ed assenti, la centrifuga della lavatrice, l’insetto strisciante che cerca di entrare nell’orecchio della donna durante il sonno, i lumaconi umanoidi). La componente horror aumenta con lo scorrere dei fotogrammi, e le uzumaki assomigliano ad una subdola maledizione senza un motivo vero e proprio, una sorta di demone interiore che invade la tranquillità del villaggio in cui è ambientata la storia, votata allo sterminio dell’umanità. Stesso motivo per cui ricorrono spesso nel film il 9 ed il 6, numeri che ricordano una spirale e che vengono inquadrati spesso da Higuchinsky (nome d’arte del regista Akiro Higuchi).

    Se le dinamiche narrative sono quelle classiche dell’horror orientale – da Abnormal Beauty a Ju-on – il film si dipana in modo piuttosto imprevedibile ed originale, formando così uno degli horror apocalittici più interessanti (e passati sottogamba) dei primi anni 2000.

  • Invaders from Mars: il classico di Tobe Hooper che omaggia i cult anni 50 di fantascienza

    Invaders from Mars: il classico di Tobe Hooper che omaggia i cult anni 50 di fantascienza

    Il giovane David scopre che un’astronave aliena è atterrata dietro la collina vicino casa: gli extraterrestri prenderanno possesso delle menti dei suoi cari, e poi di tutti gli esseri umani – fino ad un finale a sorpresa.

    In breve: remake a tinte horror di uno dei più celebri leitmotiv del cinema di fantascienza. Poco amato dal pubblico e dalla critica, a mio avviso ingiustamente snobbato: da riscoprire.

    Remake del classico di culto “Gli invasori spaziali” del 1953, Hooper fornisce qui una buona prova registica, e cambia leggermente il finale dell’originale – rendolo decisamente più inquietante (quanto significativo). Alcuni dettagli della storia appaiono forse poco credibili visti oggi, come quelli diventati teorie complottistiche sugli UFO: faranno sorridere per l’ingenuità con cui i protagonisti ci credono, ma hanno un senso nella storia in sè. Si tratta di un archetipo della fantascienza, una base di conoscenza fondamentale che molti danno per scontata nella cinematografia e nella cultura popolare, ed a cui sembra essersi ispirato Matt Groening, per citare un esempio noto, per alcuni personaggi di Futurama.

    Invaders“, disponibile in DVD Multivision in qualità non eccelsa (almeno nella versione che ho mi sono procurato io), venne inesorabilmente snobbato dal pubblico e dalla critica, tacciato di essere un b-movie di scarso valore: forse per la trama in sè, forse per alcuni dettagli evidentemente puerili (i film andrebbero visti fino alla fine, prima di giudicare). Si tratta di un’opera in effetti più gradevole della media, che ho sempre rivisto con piacere, pur dovendone evidenziare alcuni limiti che lo accomunano, per intenderci, ad un buon numero di abusati stereotipi. Il punto di vista del protagonista è per buona parte quello di un bambino che “vede” la storia, e che ricorda quella – descritta in modo decisamente più incisivo e “politico” – da John Carpenter in Essi vivono. Sono quindi sostanzialmente d’accordo con chi ha scritto che il film “non presenta pregi particolari, ma […] tutto sommato è in grado di farsi voler bene“.

    David Gardner (Jimmy, nella copertina del DVD) è un bambino americano affascinato dalla fantascienza e dagli UFO; è anche piuttosto incompreso, a scuola come in famiglia, a parte da parte del padre con il quale condivide la passione per l’astronomia. Una notte si sveglia a causa del rombo di un’astronave aliena, atterrata dietro la collina, ma i genitori non fanno in tempo a vedere nulla e ovviamente non credono alla sua storia. Tutto il film è quindi incentrato sul mutato comportamento da parte degli uomini che circondano David, e che – a cominciare dal padre, a finire con i poliziotti o la sua maestra – fanno scatenare il classico leitmotiv sci-fi anni 50: un singolo solitario che nota qualcosa di strano, che non viene creduto e che è destinato a soccombere a causa conformismo della maggioranza crescente, che si adegua lentamente ai “nuovi padroni”.

    La stranezza notata, se ci fosse bisogno di dirlo, è rappresentata da parenti, amici e conoscenti di David che iniziano a comportarsi in modo diverso: il pubblico lo sa, e la tensione sale proprio perchè nessuno crede all’incredibile storia, e finisce per rimanere a sua volta soggiogato. Non male neanche la componente horror, anche se solo accennata: su tutti l’enorme “cervellone” alieno, il risucchio delle vittime sottoterra e la celebre scena della maestra con la rana. Le interpretazioni rendono inquietanti gli alieni che si impadroniscono delle menti delle persone, mediante un’operazione al collo che lascia una ferita visibile, simbolo inequivocabile dell’ “infezione”: il tutto è collocato in uno scenario tipicamente anni 80 degno de “I confini della realtà“. Un buon film in definitiva, tutt’altro che banale quanto genuino nel proprio concepimento.

    “Povero, piccolo umano…”

  • Suspiria di Dario Argento: un horror stregonesco e suggestivo

    Suspiria di Dario Argento: un horror stregonesco e suggestivo

    Suspiria è un film di Dario Argento del 1977, il primo a segnare una svolta stilistica quasi clamorosa nella sua carriera: il regista, infatti, si distacca nettamente dalle tematiche del puro giallo-thriller dei primi film, per avvicinarsi al mondo dell’occulto e dell’orrore in modo piuttosto tradizionale, con vari elementi di spicco.

    In breve: visivamente perfetto, violentemente coreografico, con ambientazioni da incubo e surreale, oltre ad uno stile inconfondibile e che avrebbe fatto scuola. Uno dei migliori Argento di sempre.

    Ispirato (come del resto la trilogia delle Tre madri) al libro Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey, “Suspiria” è ambientato a Friburgo, dove durante una notte di pioggia la giovane Susy arriva da New York per iscriversi alla scuola di danza. In realtà l’edificio  che la ospita è teatro della casa di alcune streghe, retta da una delle madri degli inferi, Mater Suspiriorum, Elena Marcos, nota come “La regina nera”.

    “…la magia è quella cosa che ovunque, sempre e da tutti, è creduta”

    Almeno due le scene di culto del film: quella girata nella piazza dei Tre Templi di Monaco, in cui vediamo un volatile sorvolare la testa del pianista cieco che viene poi inspiegabilmente aggredito dal suo stesso cane. Qui esce fuori l’essenza del male secondo Argento, che come in Tenebre e soprattutto in Inferno non ha necessariamente una motivazione razionale: vista oggi bisogna riconoscere che una morte del genere, senza una causa ed un effetto immediatamente riconoscibili, rischia di non avere una giustificazione razionale agli occhi di alcuni spettatori. In fondo bastava pensare un po’ di più ad una storia che forse non si fa seguire con troppa facilità in certi punti: tuttavia ad Argento credo sia sempre piaciuto mantenere un filo di mistero “di troppo” in certi episodi dei suoi film, anche rischiando di risultare inutilmente enigmatico. Eppure le otto coltellate impresse sadicamente alla prima vittima del film, poi impiccata in uno scenario di luci colorate e decorazioni geometriche degne di una vera opera d’arte, dimostrano che il regista non tende affatto a presentare le cose in modo manieristico o come esercizi di stile, ma anche in modo tale da risultare funzionali a descrivere l’atmosfera malata della stregoneria e a lasciare gli spettatori a bocca aperta.

  • Inferno: quando Dario Argento creò un horror macabro e surrealista

    Inferno: quando Dario Argento creò un horror macabro e surrealista

    New York: la studentessa Rose trova il libro di un architetto-alchimista dal titolo “Le tre madri”, nel quale si narra di tre case costruite per ospitare tre streghe (Mater Suspiriorum a Friburgo che abbiano conosciuto in Suspiria, Mater Lacrimarum a Roma e Mater Tenebrarum, per l’appunto, a New York). La curiosità della ragazza la spingerà a scoprire orribili segreti, che nessuno deve conoscere, a prezzo della vita…

    Inferno , nome evocativo quanto semplice per uno dei migliori film del regista Dario Argento, impressiona lo spettatore dalla prima all’ultima scena mostrando un’atmosfera macabra e surreale, perfettamente sintetizzata dal titolo stesso dell’opera. Lavoro del 1980 caratterizzato da una splendida e studiatissima fotografia, estremamente nitida e basata su tanti dettagli minimali che fanno la differenza. Serrature in primo piano mentre scattano, un edificio labirintico e dominato da geometrie spaventose nel quale alberga il male assoluto, violenze spesso illogiche e sceneggiatura claustrofobica: gli ingredienti sono quelli di un horror puro, il secondo dopo il celebre “Suspiria“.

    La trama si richiama proprio a quest’ultimo, legata sottilmente da un sottile filo di esoterismo, stregoneria ed alchimia a cui il nostro regista è da sempre debitore. Lucio Fulci con la sua “trilogia della morte” deve certamente più di qualcosa a quest’opera, tanto da realizzare un suo film altrettanto “lovecraftiano” come  “Paura nella città dei morti viventi”, con cui (fermo restando le dovute distinzioni) le somiglianze stilistiche tra i due sono certamente numerose.

    Inferno” venne criticato per la presunta illogicità di alcuni passaggi, come la celebre sequenza in cui l’antiquario annega i gatti che lo tormentavano, viene sbranato dai topi ma anche letteralmente “terminato” dall’uomo di un chiosco nelle vicinanze, che invece di soccorrerlo lo pugnala alla gola. Evidentemente il concetto di maledizione (su cui è basato l’intero film, assieme alla stregoneria) era estraneo alla critica dell’epoca, forse troppo ingenua o troppo assorta a contemplare se stessa. Del resto qualsiasi film che presenti un astrattismo violento – come “Inferno” fa per quasi tutto il suo scorrere – è destinato, un po’ per definizione, ad essere capito solo dai fan, da coloro che vivono un minimo di empatia con le storie narrate.

    Un film da antologia dell’orrore, che vedrà la sua conclusione solo 30 anni dopo con “Le tre madri“, un ritorno ai fasti del passato certamente da non sottovalutare.

    « Ce ne sono molti di misteri in quel libro, ma l’unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta… » (Kazanian)

  • Ai confini della realtà: Da oggi si cambia (“Shatterday”, The Twilight Zone, 1985, W. Craven)

    Ai confini della realtà: Da oggi si cambia (“Shatterday”, The Twilight Zone, 1985, W. Craven)

    Peter Jay Novins, solitario uomo di successo, siede in un bar e chiede di poter fare una telefonata. Compone il numero di casa propria per sbaglio, dove pero’ risponde qualcuno: con sua grande sorpresa, sta parlando al telefono con se stesso. Il suo alter-ego si mostra sprezzante nei suoi confronti, e dopo essersi capacitato che non si tratta di uno scherzo, il protagonista non riuscirà a trovare la forza di fare i conti con il proprio io.

    In breve. Wes Craven dirige Bruce Willis in questo splendido episodio della seconda stagione, che vede protagonista l’attore de “Il Sesto Senso” in un’inedita (ed atipica) doppia interpretazione. In Shatterday (titolo originale che significa approssivativamente “il giorno infranto”).

    Quello che si vede nel seguito è lo smarrimento del protagonista, che si isola progressivamente dal mondo ed un significativo (e toccante) incontro finale tra i due “io”. Willis è stato in grado di reggere un doppio personaggio così complesso per tutta la durata dell’episodio, e già la sua presenza – di fatto – fornisce valore aggiunto allo stesso. Non spreco elogi per il regista di Nightmare perchè mi sembrano superflui: basti anche solo considerare intelligenza, sottile ironia, e perizia con la macchina da presa, che rimangono i tratti salienti di quanto emerge sullo schermo. La situazione paradossale, lungi dal rimanere astratta, si concretizza in una dura lezione morale per l’uomo protagonista e per l’uomo in generale: a volte bisogna dare dei tagli, anche molto dolorosi, ma necessari, perchè questo è lunico modo per evolvere e non fossilizzarsi.

    “Peter Jay Novins, vincitore e vinto al tempo stesso, e la sua lotta per la custodia della sua anima. Un uomo che si è perso, e si è ritrovato… in un campo di battaglia vuoto, da qualche parte nella Zona Oscura”