Un gruppo di persone si ritrova, senza una ragione chiara, intrappolato in un enorme labirinto tridimensionale dalla forma cubica: numerose stanze comunicanti, cosparse di trappole micidiali. Chi riuscirà a salvarsi?
In breve. Ennesimo cult più discusso che visto: un gruppo di individui cerca di trovare una via d’uscita da trappole mortali, alla ricerca disperata di una spiegazione di quanto gli sta accadendo. Il piglio globalmente paranoide del lavoro, unito alla presenza di attori piuttosto sconosciuti, suggerisce una serie di sottotesti complottistici alla “chi più ne ha, ne metta“: il governo, un’organizzazione segreta, gli alieni o chissà chi altro. Sarà l’applicazione della matematica, in parte, a suggerire una soluzione, fino all’imprevedibile finale. L’inizio di The saw deve più di qualcosa a questo film, passato un po’ in sordina all’epoca ed enormemente creditore a molte altre pellicole.
“Il vostro vero nemico è dentro di voi…”
Gli stessi nomi dei personaggi, di fatto, evocano omonime prigioni come Quentin (San Quentin, California), Holloway (Inghilterra), Kazan (Russia), Rennes (France), Alderson (Alderson, West Virginia), Leaven e Worth (Leavenworth, Kansas). Questo suggerisce un senso di evasione dalla vita reale, logorata dalla monotonia e rappresenta un’umanità sfigurati, anonima, spesso senza motivazioni per andare avanti nella vita e letteralmente costretta a convivere con simili dei quali non importa un granchè. Il rapporto che si instaura forzosamente tra i protagonisti, ognuno con caratteristiche ben focalizzati, eredita le diffidenze de La cosa di Carpenter; al tempo stesso numeri primi, fattoriali, coordinate tridimensionali caratterizzano un film dall’andamento estremamente scorrevole, e con una durata inferiore alla media e senza che tutto questo appesantisca minimamente l’intreccio: ottimi anche i momenti di tensione, cosparsi con magistrale irregolarità in tutta la pellicola e capaci di sorprendere anche nelle visioni successiva alla prima.
Cosa c’è fuori dal cubo? La domanda assale lo spettatore, ed aiuterebbe a comprendere il senso del film e collocarlo in un contesto che, volutamente, da questo film manca e si presta a libera interpretazione. Molto scaltro, peraltro, il regista Natali (il nome è italiano, ma la sua origine è canadese), che raccontò all’epoca di aver filmato (e poi distrutto) cosa ci fosse esternamente al cubo – in altri film della serie, secondo me non sempre all’altezza, si vede qualcosa a riguardo – facendo leva così sul pubblico meno propenso alla speculazione (o più ingenuo, se preferite) ed alimentando varie teorie (nichiliste o new age che fossero) su cosa ci fosse realmente. Alla fine la cosa meno interessante da rivelare è proprio questa, a ben vedere: “The Cube” eredita la forza della fantascienza classica e l’incisività degli horror old school, per generare un prodotto indipendente memorabile e completamente non prevedibile. Successivamente Tsukamoto ha realizzato il suo Haze, mediometraggio estremo dal feeling simile ed apertamente ispirato a questo film di Natali, mentre in Italia l’interessante cortometraggio Pathos riprende le medesime tematiche, seppure con maggior brevità ed un linguaggio similare. Per i cultori dell’underground è un must, per gli altri dipende tutto dal tipo di film che si aspettano di vedere: se non sopportano degenerazioni paranoiche e teorie complottistiche, stiano alla larga a priori.
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon