Una coppia sposata ha appena perso una figlia, e si reca a Venezia per lavoro; lì incontrerà due anziane sorelle, di cui una apparentemente sensitiva ed in grado di recepire messaggi dall’aldilà.
In breve. Un cult assoluto degli anni ’70 per quello che riguarda l’horror fatalistico e sovrannaturale. Da vedere almeno una volta nella vita.
Don’t look now – ovvero Non voltarti, circolato come Wenn die Gondeln Trauer tragen in Germania (letteralmente Quando le gondole portano il lutto), nel nostro paese è diventato A Venezia… un dicembre rosso shocking ed è diretto da Nicolas Roeg, scomparso nel 2018 e celebre – tra gli altri film diretti – per Il lenzuolo viola (un saggio psicologico-ossessivo davvero notevole, questa volta incentrato sulla gelosia). Qui il regista britannico propone uno dei suoi film più celebri e citati, traendo ispirazione dal racconto di Daphne Du Maurier Non guardare adesso (che trovate nella raccolta Non dopo mezzanotte e altri racconti, a quanto pare ancora disponibile in vecchie edizioni). La scrittrice si congratulò personalmente con il regista per aver colto il senso del suo racconto (caso raro nella storia del cinema horror), mentre il film uscì in Inghilterra nel 1973 in double feature con un altro cult del periodo, The Wicker Man.
L’ottica del film è incentrata sugli effetti della perdita di una figlia piccola su una giovane coppia – il che diventa lo scenario orrorifico di una storia ricca di colpi di scena, dai tratti impressionisti ed ambientata in una lugubre Venezia. Film girato, peraltro, scegliendo location non propriamente turistiche, deviando il percorso della troupe in più occasioni e provocandogli qualche problema logistico. All’epoca, poi, il film non fu ben visto dai consiglieri comunali della città, che temevano fosse un disincentivo a visitare la città da parte dei turisti.
Fin da subito si prefigura il tema del doppio: dopo aver conosciuto la sensitiva, da un lato Laura appare sollevata dall’incontro (gli ha raccontato che la figlia sta bene e sorride nell’aldilà). La donna diventa così improvvisamente mistica, sembra trovare rifugio nella religione e mostra un’indole ottimista e più serena. Dall’altra, John mostra una natura più fredda e materialista (per quanto solo apparente: in realtà, come si vede all’inizio, la prima premonizione di morte l’ha avuta proprio lui). Teme pero’ per la salute mentale della moglie, negando qualsiasi possibilità di vita dopo la morte e rifiutandosi di incontrare le due sorelle. Il suo scetticismo degenera, a quel punto, in una vera e propria negazione di una realtà oscura e sovrannaturale che forse anche lui, in fondo, conosce senza volerlo ammettere. La chiave di lettura che rende davvero unico questo film, a questo punto, è proprio questa.
La sequenza in cui Laura accende una candela per Christine, del resto, venne rielaborata al momento delle riprese rispetto al copione per renderla più realistica, e probabilmente evitare le classiche situazioni “telefonate” tipiche del genere. L’idea era quella di rappresentare un vero e proprio baratro: quello tra l’incapacità di Laura di dimenticare la figlia e l’ostinata negazione del sovrannaturale di John. Come spesso accade in questo tipo di film, le conseguenze saranno del tutto imprevedibili. La contrapposizione mostrata, del resto, pare sia venuta fuori (almeno in parte) da una discussione autentica tra i due attori sulle bellezza della chiesa in cui stavano girando, poco gradita a Sutherland e molto apprezzata dalla Christie.
Per la scena della seduta spiritica, peraltro, il regista fece partecipare i due protagonisti ad una autentica, per poi ricostruirne le dinamiche all’interno del film (la medium che invita la Christie a non accavallare le gambe). A Venezia… un dicembre rosso shocking è un horror a tema sovrannaturale, pertanto, perfettamente atipico: le dinamiche sono quelle del giallo all’italiana (l’assassino che tormenta Venezia in parallelo ai fatti raccontati), e sarà proprio questa la chiave per arrivare al finale, abbastanza clamoroso, che evoca quasi quelli argentiani. Tutto si gioca in effetti sulle convizioni personali dei due protagonisti, e su come nessuno dei due riesca a rassegnarsi all’idea della perdita – arrivando ad abbracciare il misticismo e lo spiritismo l’una, addirittura negando che la morte sia mai avvenuta l’altro.
Nelle quasi due ore di Don’t look now sono presenti numerose scene suggestive da horror epico e sovrannaturale: la foto che inizia a sanguinare mentre Christine sta annegando, la ricomparsa di una bambina con l’impermeabile rosso in una Venezia notturna assai inquietante (e la conclusiva rivelazione della sua identità), le sequenze sconnesse con cui Roeg rende dinamici i momenti più intensi, cioè quelli legati alla morte e al sesso.
Tra le curiosità del film, la coppia Sutherland – Christie si incontrò per la prima volta sul set del film, e Roeg chiese loro di girare da subito la scena di sesso, quella rimasta celebre nel film (effettivamente molto realistica, alternata da un montaggio frenetico che mostra i due personaggi rivestirsi); il tutto per sbarazzarsi dell’incombenza, e poter lavorare meglio sul sodo della trama. La Christie non prese benissimo la circostanza, a quanto pare, anzi ne fu quasi terrorizzata; in più occasioni, peraltro, si insinuò che il sesso girato non fosse simulato, per quanto Sutherland ed il produttore abbiano ufficialmente smentito la circostanza. In Irlanda la scena fu completamente rimossa dalla censura, mentre nella versione americana per evitare un X-certificate rating 9 fotogrammi vennero cancellati. I due girarono alle sette di mattina in presenza del regista (che dava indicazioni sul momento su come muoversi e cosa fare) e di Anthony Richmond alle riprese, il tutto dopo che gli attori avevano bevuto entrambi uno champagne per allentare la tensione. L’idea di Roeg, introducendo questa scena, era quella di conferire un maggiore e sofferto realismo alla loro relazione.
Durante la scena dell’incidente durante il restauro del mosaico – degna di The Omen, quest’ultima – lo stuntman si rifiutò di girare poichè la sua assicurazione non era in regola. Per sopperire alla mancanza fu Sutherland in persona a girarla, supportandosi con un cavo elettrico a cui aggrapparsi in caso di caduta. Dopo aver visto il film, Vic Armstrong (regista e coordinatore di stuntman) osservò con Sutherland che quel cavo, in caso di incidente, non lo avrebbe mai retto (e per fortuna non successe, ma fu probabilmente sufficente ad un accenno di fatto da “film maledetto”). Il personaggio dell’ispettore Longhi (Renato Scarpa), per inciso, pare non sapesse l’inglese, per cui recitò (racconta IMDB) senza sapere il significato delle frasi; il tutto finì per conferire un carattere piuttosto sinistro (quanto involontario, probabilmente) al suo personaggio.
Musiche del film di Pino Donaggio, accreditato nel film con una sola “g” (Pino Donagio).
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