The Batman: Matt Reeves reinventa l’eroe di Gotham City, e ci riesce
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Sono trascorsi 56 anni da quando, in un giorno come tanti dell’anno di grazia 1966, la serie TV di Batman con Adam West fece la propria comparsa sugli schermi internazionali. Da allora il personaggio di Batman, l’eroe DC Comics nato 89 anni fa dalla coppia di autori Finger / Kane, è stato oggetto di numerose rielaborazioni e riduzioni cinematografiche, non ultime quella di Tim Burton, di Joel Schumacher e di Christopher Nolan. Film ovviamente molto diversi che restituiscono atmosfere, senso e narrazioni altrettanto specifiche, e che si basano su uno dei personaggi del fumetto più intensi probabilmente mai ideati.

Oggi è la volta di Reeves, che prova a reinventare la saga intitolandola The Batman, con quel “the” iniziale a volersi distinguere da qualsiasi precedente, e dirigendo un vero e proprio reboot della serie: sì, perchè quello che vediamo oggi nei cinema è solo il primo di una probabile triade che, da quello che sappiamo, verrà fuori nei prossimi mesi. Affiancando alla narrazione classica (che integra tra gli altri  i personaggi di Catwoman, Pinguino, Enigmista e un Joker sapientemente accennato sul finale) un mood da noir puro, Reeves caratterizza il film con un’atmosfera costantemente tenebrosa, alienante e nebbiosa, avvolta nel mistero, nell’incertezza e nell’oscurità (Batman è un chiaro archetipo dell’ombra, simbolo di pulsioni inconsce represse e desiderio di rivalsa nei confronti di un mondo corrotto; ciò spiega, almeno in parte, il suo voler nascondere la propria reale identità di miliardario e filantropo). Gotham City potrebbe, di fatto, essere una qualsiasi delle caotiche città in cui viviamo, dove il tempo scorre beffardo sulle nostre piccolezze quotidiane, mentre folli umani, al di fuori del nostro controllo, inducono ansia e preoccupazione sul nostro futuro.

Nel vedere il film, poi, se per certi versi possono venire in mente le città iper-tecnologiche di Blade Runner, non mancano i riferimenti alle ansie indotte dal mondo in cui viviamo, a cominciare dalla minaccia terroristica a quella, mai sopita, delle calamità naturali. La figura di Batman, in questa veste, è ben altro rispetto all’eroe infallibile che induce un effetto catartico sullo spettatore (circostanza tipica dei film Marvel, ad esempio): Bruce Wayne / The Batman, assieme a Selina Kyle / Catwoman, sono personaggi umani, passionali e fallibili, dotati di capacità straordinarie quanto non sempre in grado di fare i conti con la complessità del mondo in cui vivono. Un mondo, per inciso, distante anni luce da quella slapstick (o camp che dir si voglia) della serie anni ’60, ma anche dalle rielaborazioni ben note di Burton o Nolan.

Il Batman di Reeves rende un protagonista, in altri termini, incarnazione di ciò che potremmo essere, se solo volessimo realmente un mondo migliore, a cominciare dai piccoli gesti quotidiani e non solo dalla vanità di gesti eroici, o dalla sola presa di coscienza dell’amore in forma classico-romantica, ma anche mediante l’idea (quella sì, più catartica che mai, nei tempi in cui viviamo) insita nell’aiutare gli altri, nel dare una mano al prossimo e nel riappropriarsi del piacere puro di farlo. La scena finale è, in tal senso, emblematica: Batman abbandona la furia vendicativa e salva un gran numero di persone,  rinuncia a tutto, a livello personale, pur di adempiere al proprio ruolo di eroe, consapevole di aver ceduto alla rabbia e accettando passivamente, per gran parte del film, il nickname che gli hanno affibbiato: “Vendetta“. Questa dualità di fondo si scinde in più livelli innestati come miriadi di scatole cinesi: Bruce Wayne soffre la solitudine, e la compensa creandosi un personaggio che, alla prova dei fatti, è un giustiziere dotato di un particolare istinto per la deduzione logica (neanche fosse un redivivo Sherlock Holmes). Bruce è segretamente invaghito di Catwoman, ma il personaggio mascherato che interpreta non sembra permettergli di liberare tale istinto dal proprio inconscio. Batman, poi, agisce nel ricordo dell’ingiustizia subita da piccolo, ma nel farlo assume una parvenza da moralizzatore che spesso lo pone in una posizione di incertezza.

Batman è dotato di poteri straordinari ma è anche frustrato da un senso di colpa costante, diabolico, innato quanto difficile da risolvere – proprio perchè risalente al consueto trauma infantile (la morte dei genitori per mano di un criminale per strada, la cui identità resta ignota e che in altri ambiti era chiaramente il Joker). Il contesto sociale del film, peraltro, è anche caratterizzato dal degrado politico e dalla corruzione, simbolo della modernità in cui viviamo, ammesso di voler ignorare deliberatamente le notevoli implicazioni sociologiche dell’opera. Opera che, vale la pena di ricordare, è ricchissima di twist, colpi di scena e tonnellate di azione, senza lesinare su momenti più riflessivi e struggenti, in vari passaggi. Varebbe la pena di notare, peraltro, che non dovrebbe essere un azzardo affiancare quest’opera a quella del Joker di Phillips, quasi due facce della stessa medaglia esistenzialista, legata alla frustrazione dell’uomo nel subire gran parte delle disgrazie mondiali, il tutto senza poter fare (quasi) nulla per contrastarle.

La sceneggiatura, scritta dal regista Matt Reeves (noto in passato per aver diretto il primo Cloverfield) e da Peter Craig rielabora in chiave moderna quella originale del fumetto di Bill Finger e Bob Kane, inserendo elementi contemporanei, senza mai specificare, significativamente, l’anno in cui il film è ambientato: dalla comparsa di smartphone e automobili, tuttavia, intuiamo di vivere nel mondo di oggi. Il risultato è un film originale che ha tanto da suggerire e raccontare, diluito in quasi tre ore di film che, se non altro, pesano poco nell’economia narrativa e non risultano mai pesanti, se non fosse per qualche sequenza d’azione un po’ troppo veloce ed in cui si fatica, a volte, a capire cosa stia succedendo. Declinando un nuovo, ennesimo Batman, mashup di vecchie e nuove tendenze e dirigendo scene indimenticabili: su tutte quella in cui il procuratore corrotto gioca, suo malgrado, con gli indovinelli dell’Enigmista, mediante videochiamata con tanto di countdown. L’Enigmista non è solo il villain che si prende gioco del mondo (e che giustifica la tagline Unmask the truth, guarda in faccia la verità): è anche l’incubo di Batman perchè da’ l’idea di conoscerne la reale identità. In tale veste il dialogo tra protagonista ed antagonista, separati da una barriera in vetro inossidabile, finisce per evocare le quasi-sedute psicologiche di film come Il silenzio degli innocenti, dove il personaggio più malvagio è proprio quello che fa uscire fuori il dolore inconscio dal/dalla protagonista. Tutti elementi che, di fatto, rendono The batman un film “supereroistico” molto diverso dalla media, invischiato come è da elementi del thriller più mentale.

Se le micidiali trappole di morte dell’Enigmista, poi, non possono che evocare quelle di Saw – L’enigmista, varrebbe la pena di ricordare Il cartaio di Dario Argento, che sia pur con mezzi più ridimensionati aveva proposto dinamiche del genere già nel 2004, venendo poi emulato in dieci, cento o mille modi diversi negli anni a venire. Menzione speciale per la coppia di protagonisti Zoë Kravitz e Robert Pattinson, emblema della complessità di coppia moderna sulla parallasse della sessualità di oggi, a volte vaporosa quanto, imprevedibilmente, intensa (vale la pena di ricordare che Catwoman è da sempre riferita per la sua bisessualità, mentre nel classico Batman sono state più volte ravvisate caratteristiche che ne suggerirebbero l’omosessualità, in relazione al personaggio, qui assente, di Robin).

Questo Batman modernizzato e noir, esistenzialista quanto umano, tenebroso quanto accattivante, in definitiva ci piace e diamo un pieno senso alla sua esistenza. Forse perchè finalmente, dopo molti anni, è uscito fuori un supereroe più adulto ed attuale che mai, in grado di divertire, accattivare e far riflettere sul mondo in cui viviamo.

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