Guida pratica alla cultura woke
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L’uso del termine woke (dal 2012 circa) nel dibattito politico si collocava inizialmente nell’ambito del Black Lives Matter, il movimento attivista che lotta contro il razzismo attraverso periodiche manifestazioni, soprattutto negli USA e in particolar modo nei confronti di frequenti episodi di violenza razziale. Se la pagina Wikipedia di BLM è particolarmente chiara e dettagliata, quella del termine Woke – nell’ipotesi che le tassonomie e le interpretazioni fornite dagli autori di Wiki siano indice, in qualche modo, di una qualche chiarezza collettiva a livello di significato – sono semplicemente confuse.

Woke viene usato anche in Italia da diversi Youtuber, che sfruttano un po’ l’onda del trend (come del resto proviamo, nel nostro piccolo, a fare anche noi), un po’ finiscono per metterla su un piano che aderisce al bastian-contrariarismo, al pregiudizio spiattellato come manifesto culturale, al gusto di andare “contro” qualcosa che diventa (secondo loro, ma soprattutto secondo i loro seguaci) pensiero critico.

L’idea a mio avviso assurda è che la carta dell’anti-marketing sia, in definitiva, già abbastanza per collocarsi nella propria nicchia – anche a costo di diventare promotori di pensiero becero e anti-culturale (pensiamo ad esempio ai corsi di seduzione che si alimentano, in molti casi, sull’insoddisfazione sociale da incel). E nel mentre vale la pena ricordare ciò che pensava Hicks sull’anti-marketing.

Che vuol dire woke

Il termine “woke“, di per sè, si riferisce in genere a un atteggiamento o una consapevolezza sociale riguardo alle ingiustizie, in particolare legate alle questioni di discriminazione, disuguaglianza e identità. In alcuni contesti, l’uso del termine “woke” sembra voler essere stato associato a un’eccessiva sensibilità politica o a una mentalità eventualmente rigida, che è una mentalità insidiosa perchè finisce per farci aderire ad una mentalità maschia, circolare, autoreferenziale, autogiustificativa, che fa addirittura sembrare “eccessiva” la rivendicazione sacrosanta di un diritto.

Woke mind virus“, come scrisse una volta Elon Musk su Netflix e sulla sua deriva “politicamente corretta“, a suo dire, può quindi essere impiegato per descrivere un modo di pensare che, secondo alcuni, si starebbe diffondendo troppo rapidamente o in modo troppo dogmatico, influenzando il dibattito pubblico in modo controverso o negativo.

Le critiche alla cultura “woke” sono interessanti forse più della cultura woke stessa, ammesso che sia quantificabile e qualificabile e che non rientri, come temibile anche per il politicamente corretto, nel nugolo dei nemici immaginari che servono ad avere un bersaglio contro cui scagliarsi, fare dibattiti o scrivere libri. Di fatto, quelle critiche sono interessanti perchè non possono essere ridotte a un’unica provenienza politica, per quanto poi woke venga usato quasi sempre come termine discriminatorio da conservatori di vario ordine e grado. Più in generale questa forma di critiche sono affette da diagonalismo, se preferite sono trasversali, figlie di un irreversibile sparigliamento delle carte che subiamo ormai da molti anni, nella società in cui viviamo.

Le critiche alla cultura “woke” possono provenire da diverse prospettive e posizioni politiche, e se a volte possono presentare punti di vista vagamente interessanti, in altri casi sono figlie degeneri di benaltrismo, qualunquismo, presunto acume sociale, sfoggio di culturame alternativo e soprattutto desiderio egotico di porsi al di sopra della massa a cui tutti, senza eccezioni, ci riteniamo superiori.

Vale anche la pena di chiedersi come questa ennesima tassonomia del pensiero, questo tag che etichetta il modo di pensare delle persone (o cerca di farlo, in qualche modo) non sia diversa dall’uso del termine incel (involuntary celibate), ad esempio, e di come il diagonalismo faccia la propria comparsa in una mentalità tendenzialmente sempre più liquefatta, per cui dalla stessa persona potrebbero arrivare discorsi contro il nazi-femminismo (ad esempio) ed essere a propria volta accusati di essere woke nei confronti del razzimo.

La pagina sul termine Woke di Wikipedia, ad esempio, è attualmente imbottita di dettagli poco chiari in merito, ad esempio la descrizione delle motivazioni che spingono i conservatori all’uso del termine:

cio che invece la maggior parte delle persone considera normale buona educazione, per esempio non usare termini dispregiativi per persone di colore

oppure un esempio di quello che caratterizza questo genere di discussioni, ovvero il fenomeno del puntacazzismo:

Il termine awake, tuttavia, viene tuttora utilizzato dagli oppositori dell’ideologia woke e politicamente corretta per distinguersi appunto dai sostenitori e portavoce di quest’ultima, da qui lo slogan “Awake, not woke”

Se in questi termini sembra in sostanza di assistere ad un catfight scoordinato e vuotamente irriverente, vale la pena ricordare che le tassonomie si diffondo con facilità sui social, e vale la pena evocare la regola 12 di internet: “tutto quello che scrivi potrà essere usato contro di te“, unita alla successiva regola 13: “tutto ciò che scrivi potrà essere travisato e trasformato in altro“. Che è anche quello che è successo a Pepe The Frog, da webcomic a fumetto simbolo dell’alt-right trumpiana senza soluzione di continuità, con tanto di causa vinta dall’autore.

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