Un panettiere e sua moglie vengono incarcerati ingiustamente dall’Inquisizione spagnola. E cosa c’entrano il pozzo e il pendolo? Nulla, o quasi.
In breve. Stuart Gordon, meglio noto per le trasposizioni cinematografiche di Lovecraft (come il capolavoro “Re-Animator“), si butta a capofitto sul racconto di Poe, ma manca clamorosamente il bersaglio e non convince. Probabile che se il grande scrittore americano avesse visto il film, si sarebbe posto più di un interrogativo. E noialtri lì, con lui, a fare spallucce e a consolarci con qualche litro di Amontillado: film sconclusionato e deludente.
“Il pozzo e il pendolo” (1842, E. A. Poe) narra la storia di un condannato a morte dall’Inquisizione il quale, dopo aver superato torture indicibili, viene salvato in extremis. Una summa di paura e tensione diventata ormai archetipica, e con la quale molti appassionati di horror si sono “fatti le ossa”. Il film in questione, purtroppo, è lontano dal racconto pressappoco diecimila chilometri: per la cronaca si tratta della quarta trasposizione cinematografica proposta sul mercato. Le altre sono:
- Le puits et le pendule del 1909, di Henri Desfontaines
- Il pozzo e il pendolo del 1961, di Roger Corman
- Le puits et le pendule del 1964, di Alexandre Astruc
- Il pozzo e il pendolo del 2009, di David DeCoteau
C’è da dire che la storia di Gordon non c’entra assolutamente nulla con il soggetto originale, se non per alcune vaghe citazioni e per qualche minuto di trasposizione del diabolico meccanismo immaginato da Poe, troppo poco nel contesto generale ma che probabilmente vale da solo più dell’intero film. Questo dovrebbe dirla lunga sulla sostanza de “Il pozzo e il pendolo”: si narra di una coppia incarcerata senza motivo da un’Inquisizione maligna come non maie, nella quale Torquemada, il crudele aguzzino nascosto dietro la Croce, tortura innocenti per consolidare il suo potere. Nel vedere la bruna signora (Rona De Ricci), rimane letteralmente stregato, e non riuscendo a sfogare la propria passione la accusa di stregoneria. Il film è più o meno tutto qui: la mezzaluna tagliente che ha fatto tremare generazioni diventa un accessorio secondario, non diverso dal pugnale a forma di crocefisso (sic) dell’Inquisitore.
“Il pozzo e il pendolo” di Gordon è fiacco, deludente e monotono, anche se – bisogna riconoscere – ben interpretato: su tutti il Grande Inquisitore Torquemada (Lance Henriksen), davvero espressivo nelle mille contraddizioni e sadica passionalità. Il riferimento alle pagine del racconto di Poe è dunque un accenno di pochi istanti, e questa cosa è secondo me ai limiti dell’accettabile: la cosa agghiacciante è che, nel frattempo, trascorre un’ora e venti circa senza che lo spettatore veda alcuna traccia del racconto originale! Sì certo, esiste qualche suggestione tipo una piccola mezzaluna tagliente, qualche ratto ed un barile di Amontillado (sic) i quali, nella frenesia con cui sono mostrati, fanno concludere che il titolo sia ridotto ad un misero cartellone pubblicitario.
E così dobbiamo accontentarci di una storia appena sufficente, con qualche buco narrativo ed alcune note realmente stonate (la telepatia tra i due amanti… per piacere!), mentre alcune allucinazioni – che potevano essere un surplus – sono rese così male che sembrano più che altro errori di montaggio. Il finale, poi, è uno sconclusionato trionfo del volemose-bbene, indegno di colui che ha portato Herbert West sullo schermo e adatto, al più, ad una puntata infelice di una serie TV pseudo-horror. Un’occasione persa per editare un capolavoro, dato che lo splatter c’è tutto, la tensione si avverte (torture, interrogatori, incarcerazioni irragionevoli) e la storia non è neanche malaccio: si faceva prima a farlo come cortometraggio, o al limite ci si buttava sul demenziale con un bel “Torquemada, ‘O surdato ‘nnammurato“. Di certo Gordon avrebbe fatto più figura davanti a tutti: scivoloni che capitano, con rispetto parlando, anche ai migliori.
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