Il terzo uomo: un comedy thriller unico nel suo genere
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Holly è uno scrittore di romanzi d’avventura in visita a Vienna, ospite di un amico (Harry) che scopre essere morto un giorno prima. Le circostanze in cui sarebbe avvenuto il fatto sembrano contraddittorie, così Holly inizia ad indagare per conto proprio.

In breve. Un classico del noir, che vanta le superbe interpretazioni sia di Joseph Cotten che di Orson Welles (qui in veste di attore, non di regista).

Il terzo uomo, suggestivo riferimento ad un personaggio che sarebbe dovuto trovarsi sul luogo del delitto senza che si riesca a capire chi davvero egli sia, è uno dei noir che probabilmente ha più influenzato i sottogeneri di thriller e giallo all’italiana; questo sia per il twist finale che per la figura del protagonista, un elegantissimo Joseph Cotten che si improvvisa detective (una regola codificata da Argento, quest’ultima, nella maggioranza dei suoi gialli). Ma non bisognerebbe dimenticare la superba interpretazione di Orson Wells, che lavorò al film una sola settimana per pochi minuti di girato (impossibile dire di più senza procurare spoiler anche involontari), in grado di rimanere più impresso, da solo, del resto del cast: una presenza scenica ed un personaggio magnetico, privo di scrupoli ed indimenticabile.

Incluso tra i migliori film 100 USA nel 1998, a quanto risulta film più popolare negli UK nel 1949 (ma in Austria, dove è stato girato, fu sostanzialmente ignorato), Il terzo uomo è un piccolo capolavoro del suo genere, ispiratissimo, oscuro e coinvolgente, tanto da meritarsi una menzione sia da parte di Roger Eber che di Steven Schneider (rispettivamente nella sezione “Great Movies” e “1001 Movies You Must See Before You Die“). Alla base del film vi è una sorta di dilemma morale duplice: Holly non solo è portato ad indagare per conto proprio ed improvvisarsi detective, ma è anche attratto dalla donna di un amico. Cosa che, in entrambi i casi, lo deprime e lo esalta al tempo stesso, creando un contesto narrativo semplice ed efficace, potenziato dall’aver voluto ambientare il film in una Vienna presidiata da più polizie ed oscura almeno quanto la Londra di Jack lo squartatore. Come si risolverà la storia è la domanda che turba e coinvolge lo spettatore, per un film che riesce a coinvolgere fin dai primi fotogrammi (a differenza di altre pellicole d’epoca probabilmente più spigolose, in tal senso).

Graham Greene, autore dello screenplay, amava definirlo curiosamente un comedy thriller, in quanto effettivamente il film media più sentimenti: da una parte una love story impossibile e struggente (con una Alida Valli – nota anche per Suspiria, in seguito – perfettamente calata nella parte, finale che rinuncia a qualsiasi finale consolatorio), dall’altra un intrigo internazionale che coinvolgerà un comune, quanto vagamente ingenuo, scrittore americano, nel quale il pubblico non farà troppa fatica ad identificarsi. A questo si aggiunga il personaggio di Welles, che giganteggia nell’opera ed è in grado di apparire, scomparire e riprendere forma come un proto-villain essenziale e crudele, di quelli che raramente si sono visti su uno schermo.

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