La grande abbuffata: il cinema sociale di Ferreri

Quattro amici insoddisfatti della propria vita si riuniscono in una villa, il tutto al fine di consumare un’orgia di cibo e sesso.

In breve. Il grottesco all’italiana per eccellenza, crudele e beffardo trattato sulla vanità umana; entra nella leggenda delle produzioni nostrate e, tra l’altro, viene citato dai Monty Python.

Uscito negli anni ’70 come produzione italo-francese, negli UK dovette aspettare il 1994 per conoscere una vera e propria distribuzione a causa della censura; con i suoi contenuti scatologici ed il suo umorismo beffardo, infatti, La grande abbuffata suscitò reazioni controverse soprattutto per la scelta dei temi e degli interpreti: a parte Tognazzi e Noiret, non nuovi al genere satirico-grottesco, fa un certo effetto vedere l’eleganza di Piccoli massacrata a colpi di scoregge, e soprattutto la figura dell’uomo romantico e sex-symbol come Mastroianni interpretare un pilota d’aereo ossessionato dal sesso.

La narrazione ricorda qualcosa dei romanzi di De Sade ed eredita più di qualcosa dal pasoliniano Salò o le 120 giornate di Sodoma (per quanto con toni meno cruenti, non per questo meno incisivi), ma l’obiettivo del film è quello di trattare in modo teatrale ed insistito la vanità e la pochezza delle passioni umane. Ogni personaggio dovrebbe, di suo, rientrare in una sfera di soddisfazioni e di grande successo, ma ognuno di essi non è felice, e riduce gli ultimi giorni della propria esistenza ad un’abbuffata incessante ed insistita, soprattutto nel momento in cui il cibo manifesta i propri effetti negativi sulla sanità dei loro corpi.

Politica (i protagonisti incarnano evidentemente il Potere, così come le prostitute, la maestra e gli altri personaggi accessori sembrano essere i rispettivi vassalli), sesso (perseverato allo sfinimento, e mai realmente eccitante per lo spettatore), cibo (anche qui, surreale ed eccessivo) e morte si intrecciano in una narrazione puramente satirica, che esercita non tanto lo scopo di fare ridere (come imporrebbe l’ingenua etica di certuni: la satira non deve affatto, del resto, “farci fare due risate“) quanto quello di scuotere emotivamente lo spettatore. La satira ha questo nobile scopo da sempre, del resto: mostrare le debolezze e le contraddizioni di un potere che, se potesse (!), arriverebbe a cibarsi del proprio stesso cadavere.

I personaggi de La grande bouffet sono inderogabilmente grotteschi, e riescono ad esserlo nella sua espressione più sublime: trascorrono la maggioranza del tempo a mangiare, utilizzando il cibo come feticcio mortifero e relegando alle abbuffate una valenza edonista quanto decadente. Come se non bastasse, associano il tutto ad una buona di sesso effimero, avendo rapporti ripetuti con tre prostitute e, dopo qualche tentannamento da parte di lei, anche con una maestra “per bene” capitata lì per caso.

L’intento di Ferreri è chiaro: mettere a nudo satiricamente – e con toni che, all’epoca, fecero scandalo – le grandi abbuffate della classe dominante o capitalista, la quale cerca disperatamente una via di fuga in un cibo (o in un sesso) che non può che portarli alla morte. Per questo vedremo i personaggi procurarsi entrambi in evidente eccesso, dei quali non avrebbero alcun compulsivo bisogno e che, in definitiva, usano come strumento per suicidarsi “piacevolmente”. Guardando la versione uncut oggi, peraltro, si nota come alcune parti del film – guarda caso, quelle più allusive sessualmente – siano presenti in lingua francese, a testimonianza molto probabile del fatto che in Italia il film sia stato, al momento dell’uscita, tagliuzzato arbitrariamente.

Anche l’unico personaggio che sembra ragionevole quanto complessato, Philippe, arriva grottescamente a chiedere la mano di Andrea durante una fellatio – e non cambia idea nemmeno dopo averla vista amoreggiare e consumare del sesso con gli altri amici (“lui è l’amore, io sono il sesso“, le dirà eloquentemente Marcello). Non c’è speranza, ne “La grande abbuffata”, per nessuno: il sesso è intenso quanto vuoto, l’amore è solo una sciocca illusione e nessuno, soprattutto, godrà di alcun “ben di Dio” davvero per fame. Le prostitute, infatti, andranno via dalla villa inorridite, mentre Andrea diventerà, di fatto, la “madrina” di quel circolo boccaccesco, in cui si troverà sempre più a proprio agio.

L’orrore supremo, alla fine, sarà quello scoprire, tra un rutto ed una flatulenza, che non sempre si può morire abbuffandosi: il che porterà Marcello a preferire la morte per assideramento, nella sua amata Bugatti. Visto oggi, La grande abbuffata rientra nel cinema satirico che, un po’ come il western e l’horror d’epoca, sembrano aver ceduto il passo ai gusti meno politicizzati e più di puro intrattenimento del pubblico.

Per molti versi il film evoca lavori satirici che oggi non vengono più prodotti, quali ad esempio Signore, signori… buonanotte o il simbolismo sovversivo (anche lì, con una discreta dose di nudità giunoniche e non) di Salon Kitty.

Da vedere almeno una volta nella vita.

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