Gaia è un’interprete di cinese chiamata per una traduzione urgente: le circostanze in cui dovrà lavorare non sono chiare e molto presto scopre che vi sono i servizi segreti di mezzo. Si tratterà di tradurre le dichiarazioni del misterioso signor Wang senza sapere null’altro della propria missione…
In due parole. Sci-fi all’italiana più “di parola” che di azione, nel senso che è basata quasi esclusivamente sui dialoghi dei protagonisti e con una parte finale abbastanza interessante dal punto di vista degli effetti speciali. Girato con tante idee e pochi mezzi, è un esempio di fantascienza dai risvolti imprevedibili che accompagnerà lo spettatore in meno di un’ora e mezza di tensione, paranoie e rivelazioni incredibili. Da vedere.
“L’arrivo di Wang“, film low-budget non banalissimo da reperire, è uno dei nuovi rappresentanti della fantascienza all’italiana: vincitore del Best Innovative Budget a Venezia, premiato a Trieste presso il Festival Science plus Fiction 2011, ha richiesto circa due anni di lavoro (di cui uno dedicato interamente ad effetti speciali e computer grafica, e tanto per non farsi mancare nulla i nostri registi hanno girato nel frattempo Paura) ed è, senza usare ulteriori giri di parole, un buon film basato su uno script molto interessante. Nonostante non sia esente da difetti, tra cui alcuni tratti di dialogo che rischiano di annoiare / risultare poco credibili ed una disponibilità di mezzi piuttosto limitata – il che darà fiato al pubblico più “criticone”, è un prodotto con una identità ed una dignità ben precise. Usare nel 2011 la computer grafica senza la costosa motion capture, ad esempio, rischia di risultare una scelta obsoleta o insolita: eppure i Manetti Bros. sono riusciti a cavarsela in modo egregio, proponendo un film dall’atmosfera tesa che intriga e inchioda lo spettatore alla poltrona, pur senza far gridare esattamente al miracolo.
L’apparizione di Wang dall’oscurità, dopo un iniziale dialogo al buio, riesce anche da sola a colpire ed impressionare lo spettatore, visto che i registi lo sbattono sullo schermo quasi d’un colpo (il trailer in realtà lo svela prima, e questo probabilmente “brucia” un dettaglio che andava a mio avviso valorizzato meglio). Come tradizione sci-fi in parte impone, di fatto, “L’arrivo di Wang” è un film che narra dell’incontro tra due mondi e si concentra sul valore del pregiudizio, e su come esso possa condizionare le valutazioni delle persone, spesso – come si vedrà durante lo sviluppo dell’intreccio – con conseguenze piuttosto imprevedibili. Chi abbiamo di fronte? Con chi stiamo davvero parlando? I personaggi sono realmente quello che dicono di essere? Senza cadere nelle solite trappole buoniste, rielaborando certe paranoie complottiste molto in voga sul web e senza degenerare mai nello scontato, i Manetti Bros. girano un film ispirato vagamente alla fantascienza modello Invaders from Mars, incentrato sulla figura di Wang, alieno tentacolato che si esprime in cinese (la lingua più parlata sul pianeta nonchè, un po’ paradossalmente, la meno conosciuta dagli interpreti non di quella nazionalità). Il perchè di questo dettaglio apparentemente bizzarro, del resto, è presto detto: l’alieno è atterrato nel posto sbagliato, o se preferite si vuole esprimere la difficoltà di comunicazione primariamente tra gli esseri umani, diffidenti e aggressivi nei confronti del “diverso” ma, come si vedrà, con sviluppi narrativi che pongono domande ben precise. Il contrasto tra la mite ed idealista Gaia (Francesca Cuttica) ed il burbero agente (Ennio Fantastichini) risulta essere una duplice versione di sguardi contrapposti verso un essere dall’apparenza mostruosa, apparentemente gentile e pacifico e tormentato per oltre metà film. Il pubblico inizia a chiedersi chi abbia ragione, ed il film riesce a tenere perfettamente l’impatto con lo schermo fino ad un finale, o meglio un piccolo dettaglio dello stesso, che è davvero tutto un programma. In questo modo è immediato per i registi far scattare la molla di empatìa verso la protagonista (quando non verso il “signor Wang”), e questo è già da solo sintomo di un film ben riuscito e degli interrogativi che voleva porre. Che poi si possa rilevare che ci siano dettagli poco credibili o “falle” nella storia è un qualcosa di sostanzialmente perdonabile che non mina, di fatto, alla qualità artistica (e all’idea) del film stesso.
Senza annoiare – tranne in un singolo caso: una delle sequenze clou ad un’ora circa è tirata forse un po’ troppo per le lunghe – ed avendo cura di imbarcarsi in un tema impegnativo dando prorità alla tensione, “L’arrivo di Wang” obbedisce ad una logica da b-movie, con tutti i pregi e difetti del caso. Cosa singolare, il film è un crescendo nel quale la prima parte – quella più “controllata” – è (cosa davvero atipica per il genere) anche la più intensa emotivamente. Un film da non sottovalutare, in definitiva, e con tutti i limiti del caso, che rivaluta il cinema italiano “fuori dal coro”: quello che intrattiene, diverte, fa riflettere e non accetta di raccontare le solite storie melense e/o “pecorecce”.
Fonti: intervista di TaxiDrivers TV
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