Un poliziotto messicano ed un’americana sono in viaggio di nozze: all’improvviso esplode un’auto-bomba, e si scopre essere un caso di omicidio. L’indagine coinvolgerà i protagonisti su due binari paralleli.
In breve. Forse il miglior Welles di sempre: Quinlan è cinico, diretto e crea sostanziale empatia nel pubblico. Il suo comportamento spregevole, in seguito, crea presupposti spiazzanti in cui l’immedesimazione del pubblico non ha più alcun senso. Ed è qui, forse, che nasce uno dei migliori noir di ogni tempo.
Girato nel 1958 e tratto da un racconto Badge Of Evil dei giallisti Robert Wade e William Miller (più noti come Wade Miller o Whit Masterson), L’infernale Quinlan è un noir cadenzato da thriller e ricchissimo di colpi di scena, nel quale il regista si ritaglia la parte del protagonista e si fa affiancare da molti dei suoi attori preferiti (Charlton Heston, Janet Leigh e Marlene Dietrich).
Curiosamente il film avrebbe dovuto vedere la partecipazione di Welles solo come attore, ma fu Heston a premere sulla produzione per farsi dirigere da lui ed il risultato fu raggiunto: Welles apportò un bel po’ di modifiche allo script, facendo diventare Vargas un messicano della narcotici, Susan un’americana ed ambientando la storia sul confine tra Messico e Stati Uniti. Heston che, tra l’altro, pare non si fosse adeguato a parlare con accento ispanico e ciò, evidentemente, fu un errore non da poco, che finì per confondere il pubblico. Ancor più perchè in seguito il film circolò in vari cut, di cui uno adattato dal regista ed almeno un’altro imposto dalla produzione.
Con A touch of evil Welles realizza il proprio sogno di poter lavorare ed esprimersi liberamente, durante le riprese: e lo fa a partire dal mitico piano sequenza iniziale che introduce, d’un colpo e con un sincronismo perfetto degli attori, la dinamite che sarà alla base della narrazione. Storia che si sviluppa secondo i canoni del noir, come si diceva, ma con numerosi elementi innovativi ed una storia dai risvolti differenti rispetti ai canoni del genere – su tutti, il fatto che il focus narrativo è basato sulla contrapposizione tra i due poliziotti rivali Vargas (messicano) e Quinlan (americano), non sulla ricerca dell’assassino dinamitardo come si penserebbe all’inizio. Un’idea strepitosa soprattutto per l’epoca, che rimane ineguagliata in molti esperimenti successivi con il thriller e che è in grado di sorprendere anche il pubblico più annoiato ancora oggi.
Anticipando i tempi di qualche decennio, ed offrendo spunti di montaggio e storie parallele che poi sarebbero stati pienamente ripresi da Quentin Tarantino e molti altri, Welles realizza forse uno dei suoi migliori film in assoluto: questo nonostante una durata non proprio convenzionale (quasi due ore, ma uscirono numerosi cut del film prima di vedere quella autentica). All’inizio dell’uncut, peraltro, l’introduzione mostra un estratto della lettera con cui Welles chiede l’approvazione del proprio film, dopo aver effettuato alcune modifiche allo stesso su richiesta ed allegando una relazioncina di 58 pagine dense di appunti alla stessa. La ricostruzione fu fatta nel cut uscito nel 1998, sulla base della lettera originale che era in possesso di Charlton Heston.
Il personaggio di Quinlan, poliziotto spicciolo e brutale quanto effettivamente abile a scovare criminali – un leitmotiv che ritroveremo infine volte in molti altri film – venne realizzato da un pesantissimo make-up (circa 30kg), in grado di rendere quasi irriconoscibile il regista, in modo da interpretare un personaggio di circa 20 anni più grande (all’epoca, lo ricordiamo, Welles aveva 43 anni). Il lavoro sui personaggi è preciso, ai limiti del maniacale – prima di iniziare le riprese Welles fece riscrivere i dialoghi collettivamente ai singoli attori – e vede vari tipi avvicendarsi nella storia, anche (e forse soprattutto) quelli minori.
A cominciare dall’intrigante Tana (che nella storia sembra essere stata amante di Quinlan, in passato; la Dietrich dichiarò in seguito che quella fosse una delle sue parti preferite, nonostante il suo personaggio si veda poco e pronunci una delle frasi più famose del film – What does it matter what you say about people?) a finire sul personaggio, solo apparentemente insignificante, del custode notturno del motel (Dennis Weaver), che venne concepito da Welles come l’equivalente del folle delle commedie shakespeariane (Shakespearean loony), timido ed impacciato, affetto da varie nevrosi, in grado di prendersi scaltramente la scena quando necessario. L’idea di renderlo timoroso e al tempo stesso attratto da Susan venne in fase di riprese, dato che non era prevista nello script.
Tra le ulteriori curiosità annesse al film, la presenza di Mercedes McCambridge (premio Oscar) che accettò di partecipare dopo una cena col regista che gli fece pronunciare l’inquietante frase “Voglio guardare” poco prima del rapimento della moglie di Vargas.
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