Schiavi del click: il discorso pubblico è corrotto dal pensiero binario
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Succede di tutto nel mondo interconnesso e digitalizzato di oggi, ma quasi mai c’è il tempo di approfondire, di capire. Per capacitarsene basta pensare alla profonda differenza tra l’eco dell’11 settembre e quanto succede oggi sui vari fronti con l’informazione digitale: all’epoca c’erano quasi le stesse problematiche etico/morali/geopolitiche di oggi, le reazioni umane di chi negli attentati aveva perso qualcuno, le vulnerabilità del mondo occidentale che venivano fuori all’improvviso senza alcuna pietà, qualche pallido riflesso di proto-rossobrunismo che – tutto sommato – quasi si compiaceva del colpo al cuore dell’America. C’era pure, naturalmente, qualche complottista che si diceva convinto del fatto che gli USA si fossero fatti l’attentato da soli, e magari ci metteva in mezzo pure gli alieni. Certe reazioni brutali sono sempre esistite, e credo poco alla tesi che sia tutta colpa del “popolo del web”.

Ma c’era pure un giornalismo cartaceo asserragliato e ben informato, a cominciare da Oriana Fallaci (che è ingiustamente l’unica che viene ricordata ancora oggi di quel periodo, vittima peraltro di un cherry picking da parte di certa destra), e c’erano decine di analisti competenti che provavano ad analizzare e prevedere cosa sarebbe successo: da chi profetizzava nuove guerre mondiali (anche allora) a chi diceva che il problema era legato al radicalismo religioso (Dio non è grande di Cristopher Hitchens, uno che mai avrebbe avuto spazio nei talk show italiani per l’atipicità delle sue opinioni), senza dimenticare le analisi (per citarne un altro) di Massimo Fini. Le vittime di quell’ondata di violenza e irrazionalità fu, anche in quel caso, la nostra tranquillità, il nostro sentirci intoccabili, il fatto che – comunicazione di servizio – non erano esclusivamente fatti di quei popoli e la questione riguardava semplicemente chiunque sulla faccia della terra. Non c’era la polarizzazione esasperata di oggi, anche se naturalmente le parti politiche avverse si accusavano periodicamente di essere troppo filo-islamiche e/o filo-occidentali.

Oggi l’informazione social è molto più succulenta, appetitosa. E non staremo certo a dire che una volta, signora mia, si stava meglio con i giornali cartacei, anche perchè gli svarioni e le analisi imprecise c’erano anche in quel caso. Oggi il digital ha bisogno snervante di click perchè campa sulle sponsorizzazioni, che pagano in base a quanti lettori si precipitano a leggere: questa è la grossa differenza di fondo. E poi, tragicamente, gran parte di ciò che leggiamo finisce nel dimenticatoio, o viene addirittura ignorato a priori. Si da’ visibilità a due tesi principali, e si vive per giorni sulla contrapposizione tra le due. Una ricerchina su Google con click sul primo risultato che ti aggrada ti basta, ti fa sentire un fine conoscitore, ti adagia nella tua bolla autoreferenziale – e via, pronti per nuove avventure, nuovi complotti, senza mai approfondire, analizzare, confrontare le tesi, capire cosa davvero stia succedendo, annegati in un grottesco clima da stadio in cui devi tifare X ed essere contro Y, e chi non salta è anti-occidentale.

Si è detto varie volte che il digital avrebbe ucciso la carta stampata. Alcuni si compiacevano (impropriamente) di questo, dato che avevano sottovalutato che la fruizione attuale di notizie, composta da usa-e-getta di qualsiasi argomento, ci avrebbe reso intellettualmente pigri, saturi di cibo spazzatura, schiavi del click e del F.U.D. (la triade paura-incertezza-disinformazione che sembra nascere nell’ambito delle prime aziende IT degli anni 90, e che oggi domina di riflesso qualsiasi argomentazione social su qualsiasi argomento). Nessuno capisce più molto, ma la cosa importante è specificare a chiare lettere se sei per X o per Y, cosa che i social sembrano chiederci in modo perentorio al fine di avere un minimo di considerazione (o quantomeno di commenti negativi) da parte di qualcuno.

Lorenzo Camerini su RivistaStudio ha le idee chiare in merito: scrive che i boomer sono oggi le vittime collaterali della guerra sui social, poichè sono stati privati dei riferimenti ideologici che li avevano fatti crescere e, neanche a dirlo, si sono radicalizzati. Si sono radicalizzati, a ben vedere, come avviene da vent’anni sui forum di nicchia, in cui migliaia di gruppetti complottisti si danno beatamente ragione tra loro, si compiacciono delle proprie idee senza mai discuterle e le rendono sempre più autoreferenziali, demonizzando qualsiasi parere contrario e additando la figura del debunker come essere demoniaco da esorcizzare.

Era il minimo, a pensarci: se davvero non c’è più tempo per riflettere, approfondire le cose, non fai in tempo a pensare di comprare Limes di questo mese (per citare una rivista in quota tra chi sostiene le necessità di approfondire) che la stampa digital nel frattempo ha già dato priorità a mille altre cose. E quindi restiamo sempre lì, inermi di fronte ad un flusso di informazioni troppo intenso, dalla portata troppo grande, che ci inonda e rischia di farci annegare.

Forse davvero “il discorso pubblico è corrotto“, come si scrive in quell’articolo, perchè nessuno capisce davvero le cose e siamo tutti ossessionati dallo scandalo, dal trauma collettivo, dal fatto che qualcuno dovrà pure cliccare su quelle pagine web per garantire la sopravvivenza del giornale, mentre quelle notizie ci spaventano e condizionano le nostre giornate prima di offrirci autentici spunti di comprensione delle cose. Poi scrolliamo la slot machine dei social, processiamo il selfie dell’ex compagno di scuola o la barzelletta dell’amico e via, avanti cpsì. L’impatto psichico e le dissonanze cognitive non andrebbe sottovalutato, alla lunga, e non è un caso forse che dal Covid-19 sia stato generalmente sdoganato (e liberato dalla sua parvenza di ghettizzazione o di “roba da matti”) il mondo della psicologia e della psicoterapia, finalmente normalizzandolo. Se non altro, insomma, la salute mentale viene considerata alla pari di quella organica.

Resta comunque in atto un “immane sconvolgimento psichico“,  in cui l’autore sostiene: l’universo è stato trasposto in forma digitale, e reso disponibile al contatto delle dita. Non ne stiamo facendo buon uso. È tutto così lapidario, incredibilmente preciso, più lucido della media dei titolisti pubblica notizie usa e getta, mentre orde di zombi digitalizzati continua a consumare notizie, sputare sentenze su economia, sanità e guerra e poi, semplicemente, passare oltre.

«È strano come guardando le cose, vedendole attraverso una lente, o un vetro, magari colorato di rosa oppure annerito, alla fine diventi immune» suggeriva la narrativa profetica (parola mostruosamente di moda, dato che ovunque spuntano personaggi che pretendono di farti l’ennesimo mansplaning arrogante di quanto succede nel mondo) da uno degli ultimi film di George Romero, Le cronache dei morti viventi. Il penultimo film di Romero da regista, idealmente il quinto capito della saga zombi da lui inventata, in un immaginario da cui molti di noi attingono ancora oggi. Dare dello zombi al tuo avversario sui social è diventata la norma, soprattutto nella narrativa radicale e complottista che da sempre, a ben vedere, ha pescato a piene mani dalla cultura horror e di fantascienza.

Nonostante la critica ed il pubblico non siano stati generosi nei confronti di quel film, obiettivamente non troppo riuscito, il suo mood è incentrato su un personaggio che riprende tutto, tanto da far pensare ad un horror in prima persona (POV). La chiave di lettura rimane sostanziale, e trovo incredibile come quel mood possa adeguarsi alla schiavitù dal click di oggi. “Si chiama sciacallaggio!” si lamenta un personaggio della storia, mentre qualcuno prontamente risponde “No signora… si chiama sopravvivenza“. Quel cinismo da survival horror oggi lo abbiamo interiorizzato, in alcuni casi, al punto che siamo dotati di un cinismo disarmante che farebbe orrore anche al più cinico commentatore dell’11 settembre. Anche le considerazioni successive non sono da meno, e si adeguano allo stesso sentire, soprattutto nel finale, quando si dice: è strano come guardando le cose, vedendole attraverso una lente, o un vetro, magari colorato di rosa oppure annerito, alla fine diventi immune. Dovresti essere coinvolto, ma non lo sei. Pensavo la cosa valesse solo per voi che guardate, ma non è così. Vale anche per noi, quelli che riprendono le scene. Siamo diventati immuni anche noi. Vaccinati. Cosicchè qualunque cosa accada attorno a noi, non importa quanto orribile, noi tiriamo dritto e basta.

In un passaggio dialogato, qualche personaggio afferma che i mattini e gli specchi servono solo ad angosciare i vecchi, in una prospettiva psicoanalitica è esattamente quello che sta succedendo: stiamo terrorizzando una generazione che non ha punti di riferimento, e che tende di riflesso a radicalizzarsi, ad esacerbare ogni aspetto, a dare più peso alla reazione emotiva che alla comprensione, adeguandosi al frame conformista della partita di calcio, “noi contro di voi“. In questo senso, quindi, stiamo diventando schiavi del click, mentre il discorso pubblico è quasi certamente corrotto dal pensiero binario imposto dai social.

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