Dopo i novax, tra qualche tempo, toccherà ai nosex: gente che rifiuta il sesso, perchè porta malattie e perchè non sappiamo quello che ci mettono (probabilmente dentro i lubrificanti e le secrezioni). Sarà un momento difficile per tutti, anche perchè ci saranno nosex che poi, signora mia, il sesso lo faranno eccome, figuriamoci, sia in coppia che individualmente – perchè si sa, alla fine rientra nel bisogno e sarebbe, addirittura tecnicamente parlando, un diritto di tutti. Il problema a quel punto sarebbe più che altro il pattern matching tra coppie, quello che si studia addirittura in informatica teorica. Un problema complesso su cui spero di vivere abbastanza per scoprire, un giorno, che rientra nei non deterministici – non attribuibili a cause ed effetti, cosa che per l’amore sembrerebbe plausibile – detti NP completi (per i non addetti ai lavori, sono i problemi matematici per cui non si sa, ad oggi, determinare una soluzione, a meno – forse – di usare computer quantistici peraltro puramente teorici o sperimentali, al più).
Oggi pero’ non siamo a quel punto: media e social network suggeriscono che siamo molto, molto indietro. Il punto cruciale in cui viviamo oggi è proprio quello, forse, di svincolarsi dalla logica contrappositiva che ci stava mettendo, inesorabilmente, l’uno contro l’altro: smettetela di essere l’uno contro l’altro, e a parlare così non era uno scrittore anarchico del Novecento, bensì un disperato proprietario di un noto locale italiano, sede di eventi e concerti, che pubblicò quella frase in un post in cui rispondeva alle lamentele dei no green pass. Anche qui, logica negata, contraddizione, bastian-contrarismo mascherato da movimento culturale.
Alan Moore non ha mai posto vincoli, da quello che ne sappiamo, sull’uso della sua graphic novel V per vendetta e delle annesse maschere che celano e simboleggiano l’anonimato di certe manifestazioni di oggi (ma anche di ieri, come il celebre Vaffanculo Day che alcuni ricorderanno), ma il punto cruciale sta proprio nel fatto che non puoi davvero, oggi, secondo un modesto quanto consapevole nostro parere, continuare a nasconderti dietro una V, non mettere la faccia in ciò che dici e proponi di fare. Lo hanno capito da tempo addirittura i tanti marketer d’accatto che popolano il web, i cosiddetti o presunti guru del guadagno facile che alla fine, sia pur tra mille scappatoie e sedi all’estero in località tax free (o potremmo dire notax), la faccia ce la mettono e poi, magari, sono costretti a battere in ritirata. Nel frattempo, comunque, internet è forse un po’ meno “brava” del passato a non lasciare tracce in giro, dato che ciò che sparisce dai social è difficilmente recuperabile e usabile come prova a qualsivoglia livello. Negazione e de-responsabilizzazione sono, forse, la chiave di volta dell’epoca complessa in cui viviamo: neanche Anonymous, la rete di hacker decentralizzata che tutti conosciamo per le sue incursioni di hacking, si era spinta al punto di unire negazione e de-responsabilizzazione: certo, si contrapponeva alle major boicottandone i siti o proponendo “spedizioni punitive” contro i cattivi dei social (cyber bullismo, revenge porn), e pur avendo de-responsabilizzato i singoli (“tutti sono Anonymous” è un po’ il mantra in questione) non ha mai abusato della negazione, anzi ha trollato e si è divertita a leggere le reazioni scomposte di boomer e imbranati atipici, che poco capivano cosa stesse succedendo.
I tempi in cui viviamo, ricchi di carneadi che blaterano presunte “verità” su Twitter o in TV, che raccontano leggende metropolitane travestite da verità (o viceversa), seguìti da persone perennemente nel dubbio che possano, evidentemente, avere ragione pure per caso, richiedono un approccio meno meccanicistico, meno machiavellico di quanto non succedesse prima del 2020: il fine, ormai, non giustifica quasi più alcun mezzo, o ne giustifica ben pochi. Bisogna imparare a farsi capire anche da chi non la pensa come noi, sforzandosi di recuperare l’empatia o, quantomeno, proattività o quantomeno di un briciolo di assertività. Termine desueto per molti, credo, che poi consiste nella capacità di esprimersi senza essere prevaricati, naturalmente, e senza neanche prevaricare il prossimo: seguendo le “regole” del mondo che ci circondano, che sono spesso di difficile interpretazione per tutti (purtroppo) e di questo, ovviamente, va tenuto conto.
Nella dialettica attuale è comunissimo utilizzare la semplice negazione per fregiarsi del titolo di fine interlocutore – il che è una cosa ridicola, a ben vedere, come ricordato da un profetico sketch dei Monty Python, quello in cui una persona paga una clinica “for an argument“, cioè per il gusto di discutere astrattamente di qualcosa con qualcuno. Il punto clou dello sketch, in effetti, è proprio quando il cliente si lamenta “this is not an argument, this is just contradiction!“, il che basterebbe da solo (forse) a smantellare gran parte dei negazionismi che imperversano nella nostra epoca. Quello sketch andrebbe probabilmente ripreso, ridiscusso e rivisto varie volte, anche solo per riscoprire il senso della satira, che – da Lenny Bruce in poi – non è mai giudicante “dall’alto”: è una rete a strascico che va saputa utilizzare ricordandoci, ovviamente, che nessuno di noi è mai esente da difetti. Neanche chi quella satira la propina per provare a fare una cosa più desueta dell’assertività, che è la capacità di ridere e sorridere di noi stessi, delle nostre credenze e delle nostre fobie interiori.
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