“The Witch”: la forza della femminilità negata secondo Robert Eggers

Quella della strega è una figura da sempre affascinante e ambivalente, rappresentante del peccato e del Male ma anche del potere e dell’indipendenza. Una figura che chiunque di noi conosce, di cui sono piene le storie del folklore, le leggende popolari; ma anche la storia e la letteratura. Un’immagine che ha catalizzato l’immaginario mainstream, diventandone presto un’icona del mondo dell’orrore che presto ha generato discussioni di stampo culturale e antropologico e invadendo così tutti i campi dello scibile e del fruibile. In questo modo, anche il cinema, e l’audiovisivo in generale, ha avuto a che fare con alcune streghe tuttora celebri e indimenticate.

Ovunque ci si rivolga, delle streghe vengono narrate le gesta, benevole o maligne che siano, ma anche e soprattutto il martirio, noto come uno dei più grandi genocidi di genere della storia. A fare le spese della follia cristiana furono soprattutto donne colpevoli di esercitare la magia nera e di danzare nude con Satana, e la loro morte si consumava nei modi più crudeli: il più celebre, quello che le vedeva bruciare sul rogo.

Una questione femminile, una ragione misogina a giustificare un prodromo del satanic panic che  ritroviamo nel film The Witch, opera prima del regista Robert Eggers che ha portato per la prima volta sul grande schermo in veste di protagonista una giovane Anya Taylor-Joy. Definito uno dei primissimi esempi di art horror (ossia un modo di fare horror più elevato, in cui la paura non viene mostrata in maniera esplicita tramite personaggi o situazioni bensì dalle atmosfere via via sempre più inquietanti), il film narra la storia di Thomasin, una ragazza cresciuta in una famiglia puritana del XVII secolo scacciata da una colonia in New England a causa di una fede religiosa così esagerata da sfociare nel fanatismo.

L’atmosfera principale del film, che percepiamo fin dai primi minuti, è quella di un inquietante straniamento che aleggia su tutta la famiglia. Si capisce che qualcosa non va, abbiamo il sentore che qualcosa di più grande e impensabile si abbatterà presto su di loro. L’atmosfera cupa, grigia, senza accenni di colore rende ancora più vivido questo sentore.

È da notare inoltre che la famiglia si stabilisce fuori dalla città, al limitare di una foresta. Una scelta registica all’apparenza innocua ma che nasconde un preciso significato extra testuale. L’allontanamento dal villaggio sta a simboleggiare l’allontanamento della vita civile e della civilizzazione, e la scelta di stabilirsi nei pressi di una foresta si risolve nell’abbraccio di una vita più primordiale, nascosta, oscura e selvaggia. Il bosco inoltre è un simbolo ricorrente che sta a indicare una femminilità indomita (le chiome degli alberi sono un’allegoria del pube femminile). È come se, inconsciamente, la famiglia si fosse spontaneamente donata agli eventi che avverranno successivamente.

Un’altra sensazione fortemente percepibile dal principio è quella dell’ostilità, precisamente nei confronti di Thomasin, un’adolescente di recente maturazione e sviluppo sessuale guardata con desiderio anche dallo stesso fratello. Il suo corpo sessualmente attivo è visto come qualcosa di potenzialmente pericoloso, in grado di sedurre, corrotto e in grado di corrompere al tempo stesso. È messo fortemente in contrasto con quello della madre, considerato invece legittimo poiché messo “al servizio” del marito e della riproduzione, e con quello della sorellina minore, che non essendo sviluppato non ha ancora avuto modo di corrompersi.

Thomasin è dunque il principale, nonché unico, capro espiatorio del microcosmo in cui vive, soffocante proprio perché di dimensioni ridottissime, senza possibilità di guardarsi altrove e di sfuggirne. Non è un caso inoltre che tutte le vicende si svolgano all’interno di una famiglia, notoriamente una delle principali ragioni della ribellione degli adolescenti. Eggers mette dunque in scena una bomba a orologeria pronta a scoppiare e a far saltare in aria tutte le strutture della normalità precostituita, ma che non si disinnesca all’improvviso ma lentamente, fino all’acme finale. 

Quando i primi eventi inspiegabili cominciano ad abbattersi sul piccolo insediamento, come abbiamo detto, Thomasin è dunque la prima a esserne incolpata, complice anche la sparizione improvvisa e insensata del fratellino neonato da sotto i suoi occhi, mentre doveva badare a lui. A ben guardare, questo evento può essere interpretato come la negazione della maternità, letteralmente l’unico compito per cui il corpo della donna era considerato utile nell’America puritana del XVII secolo. Thomasin non è in grado di occuparsi di un bambino, né dei fratellini bambini che non le obbediscono e non la vedono come una figura autorevole, e quindi non è considerata una donna degna di essere considerata tale, ma sporca, colpevole e corrotta. Tutto ciò che avviene successivamente a questo avvenimento si accumulerà e travolgerà la famiglia come una valanga; man mano che le certezze svaniscono e si fa largo la confusione resta un punto fermo, che è quello della colpevolezza di Thomasin: è lei la causa di tutto, nonostante sia l’unica che tenta di trovare della razionalità in ciò che sta accadendo.

Da personaggio passivo e vessato dalla famiglia, la ragazza diventa sempre più un soggetto attivo, ma non dal punto di vista dell’azione vera e propria bensì da quello psicologico: comincia a ribellarsi ai suoi genitori, smette di essere obbediente e servizievole, non copre più le bugie del padre, per le quali viene inoltre sgridata e punita dalla madre. La sua ribellione coincide con una sempre maggiore consapevolezza di sé che non può non portare allo sfacelo di ogni norma precostituita, allo svelamento della sua ipocrisia e soprattutto della sua misoginia. Thomasin, infatti, viene vista come causa di sventura perché donna giovane, bella e sessualmente attiva; come in effetti accaduto storicamente con le streghe messe a morte, è la sua femminilità a essere vista come forza generatrice del Male, ed è proprio nell’oscurità che si manifesterà completamente; quando, abbandonati gli abiti puritani a favore di una moderna nudità, il cambio di status sarà effettivamente compiuto e segnerà una rinascita fortemente individuale e consapevole del proprio essere e del proprio sentire. 

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