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Suspiria: la versione di Luca Guadagnino non ha molto a che vedere con quello argentiano

Una rinomata scuola di danza berlinese sembra essere sede di un’oscurità innominabile: lo scopriremo seguendo la storia dell’aspirante ballerina Susie Bannon..

In breve. Visto come horror senza pensare all’originale da cui è tratto (o addirittura senza averlo mai visto), è sicuramente efficace, potente e spaventoso al punto giusto. Per il resto, è un buon horror forse proprio perchè non è paragonabile all’originale, se non per qualche vago riferimento – e l’opera di Argento sembra rimanere comunque più suggestiva. Si ama o si odia, senza mezzi termini.

Il reboot di Guadagnino del classico cult di Argento ha fatto sollevare più di un sopracciglio in questi anni, soprattutto da parte dei fan della prima ora che, bontà o limite loro, proprio non riuscivano a concepire la possibilità di fare un remake o reboot che sia. Sono anche i film più complicati da recensire, in queste situazioni, proprio per la loro dichiarata ambiguità: da un lato sono, appunto, reboot, per cui tutto o quasi dovrebbe essere concesso. Dall’altro, pero’ rimane il rischio fortissimo di considerarli capolavori a prescindere – e questo vale soprattutto per chi non ricorda o addirittura non conosce il film originale.

Non resta quasi nulla del Suspiria originale, probabilmente nemmeno la sua nota aura cupa e irrazionale: il Suspiria di Guadagnino è profondamente diverso a livello narrativo e concettuale, tanto che – verrebbe da dire dopo averlo visto – con un titolo diverso si sarebbe potuto candidare come uno dei migliori horror mai visti di recente. Il fatto che sia un reboot rischia pertanto di essere più un limite che una sfida o un pregio: ed è qui che finisce, inesorabilmente, per crollare qualsiasi certezza. È anche vero che si sapeva dall’inizio che sarebbe stato così: tanto che, fin dai primi rumors, il regista parlava di un film più incentrato sulla figura materna che altro (le Tre Madri, qui, sono – in modo un po’ riduttivo, secondo me – ricondotte ad una sorta di regolamento di conti per il predominio assoluto. Ed in modo molto american o da ennesima impalpabile serie TV, mi permetto di aggiungere, si focalizza la trama su una sorpresa che lascia perplessi, più che colpiti).

Se su molti siti si parla già di film dell’anno (cosa che, scritta a gennaio, fa anche un po’ ridere, e ricorda involontariamente il meme di Twitter “Facendo un bilancio di quest’anno, non mi posso proprio lamentare: parlo del 2019“), a me pare che la valutazione definitiva debba per forza essere divisa in due parti: da un lato bisogna parlare di un horror ben interpretato, visivamente potente, altamente suggestivo (specialmente nelle sequenze da incubo più frammentate, quasi da horror anni ’90) e con numerose trovate originali – su tutte: la spaventosa danza che contorce e sfigura il corpo della ballerina, giusto mentre la protagonista svolge diligentemente la sua prima prova ufficiale.

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D’altro canto, pero’, dopo aver dato credito ai meriti del film, bisogna riconoscere in questa versione del 2018 (oltre 40 anni dopo) una eccessiva diluizione narrativa, che in questa circostanza stona un po’ troppo e rischia di lasciare al pubblico la sensazione peggiore di tutte: quella di non avere contezza, o reale sensibilità, di quello che si è visto. Molte sequenze del film sono poco comprensibili almeno ad una prima visione, e questo finisce (parere molto personale, s’intende) più per disorientare che affascinare.

Quasi improponibile, a questo punto, il parallelismo con l’opera originale del 1977 di Argento: il film del regista romano era incentrato su suggestioni cupe e a tratti criptiche, in cui il male domina sempre e comunque, ed è girato come un’espressione coreografica, sinistra, simbolista – ma anche con diversi gradi di libertà interpretativa lasciata allo spettatore. Ed era lì che stava la sua grandezza senza dimenticare, naturalmente, che erano tempi ideali per girare quel genere di film.

La visione di Guadagnino è, invece, per quanto addirittura più brutale visivamente di quella di Argento, decisamente più ottimistica (vedi il finale a mio avviso fuori bersaglio – il cuoricino … – ma anche motivo sostanziale della pompatissima popolarità del reboot), oltre che più ricca di dettagli, collegamenti e storie parallele – quella legata al nazismo, su tutte, che pero’ in certe sequenze pecca di piena comprensibilità. Molto bella, invece, l’attenzione maniacale ai dettagli anni ’70 ed alle interpretazioni dei singoli, così come alla contestualizzazione storica ed all’uso dei dialoghi: un po’ meno entusiasmante, del resto, il fatto che il film rischi di sembrare un gigantesco kolossal di due ore e mezza in cui, nonostante il climax rivelatorio in crescendo, la prima metà predomina sulla seconda.

Per cui si tratta del classico film da amare o odiare senza mezzi termini, cosa peraltro condivisa con un altro lavoro in parte simile: Madre! di Aronofsky, che possiede alcuni tratti in comune a livello visivo / di concetto e, soprattutto, piaccia o meno rischia di mettersi in lista come tipico film di genere che pero’, tutto sommato, vorrebbe essere d’autore. Con un ulteriore appunto finale: buon film, d’accordo, ma proviamo anche a fare buoni horror in modo originale o sorprendente, senza scomodare inutilmente i classici.

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