The Piper di Erlingur Thoroddsen riprende la leggenda del pifferaio magico
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Nell’iconografia classica la figura del pifferaio magico viene a volte rappresentato come una sorta di giullare dai vestiti colorati, oppure con un tipico cappello, un vestito rosso e delle scarpe a punta. In ogni caso, dall’aspetto rassicurante. Grottesco, in effetti: la sua storia – portata in auge dai fratelli Grimm, ma risalente alla seconda metà del XIV secolo – è terribile, dato che racconta di una feroce vendetta. Dopo aver cacciato i topi dalla città di Hamelin, infatti, la storia racconta che il pifferaio conobbe l’ingratutidine degli abitanti e del borgomastro, che gli negarono il pagamento pattuito per aver liberato la città dai grossi topi che la infestavano. In termini allegorici il riferimento sembrerebbe all’imperversare della peste nera in Germani, anche se non tutti concordano sull’interpretazione e varie riletture sono state fornite in merito.

A quel punto l’uomo avrebbe suonato una particolare melodia in grado di ipnotizzare i bambini, e condurli in massa fuori dalla città per poi, secondo la versione originale, farli annegare nel fiume Weser lì vicino. Come spesso accade in questi casi, naturalmente, esistono versioni edulcorate della storia, finali diversissimi ma anche una versione proto-apocalittica (che ricordo di aver sentito da bambino, su un vecchio vinile che iniziava con “a mille ce n’è…“) in cui l’unico bambino a salvarsi è zoppo, non fa in tempo a raggiungere gli altri e solo per questa ragione riesce a salvarsi.

Di Creator:Augustin von Moersperg - This image scanned from 『ハーメルンの笛吹き男』 ISBN 4-480-02272-4, that was published by Abe Kinya in 1988., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68665
Di Creator:Augustin von Moersperg – This image scanned from 『ハーメルンの笛吹き男』 ISBN 4-480-02272-4, that was published by Abe Kinya in 1988., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68665

Sono questi i presupposti, apparentemente filologici (e sostanzialmente rispettati per gran parte della trama) che aprono le danze su questa terza opera di Erlingur Thoroddsen, classe 1984 e già familiare con l’horror folkloristico e tenebroso (Child Eater, Rift). Il film si apre sulla sequenza misteriosa di una musicista che cerca di incendiare una composizione musicale, con l’unico risultato di morire bruciata viva. Il trailer che potreste aver visto su Youtube in effetti riporta questa sequenza quasi per intero, a sottolineare tra le altre cose che la sua morte presenta un aspetto sacrificale, è la stessa sorta che toccava alle streghe e testimonia una rottura, un patto violato, un qualcosa che non avrebbe dovuto mai avvenire, e che il pubblico non faticherà a intuire quasi subito. Il focus, naturalmente, è su una composizione musicale che provocherebbe conseguenze fisiche e psicologiche su chi la ascolta. Da un alto Mel, ambiziosa quanto incompresa musicista, conoscerà da vicino lo spartito maledetto; dall’altra il mondo attorno a lei non percepirà il pericolo incombente.

Alla base di the Piper troviamo la storia di una melodia maledetta, diabolus in musica ovvero un tritono, un accordo composto da tre note equidistanziate le quali produrrebbero un effetto psicologico straniante sull’ascoltatore. Anche qui un elemento tra la leggenda urbanza e la mitologia fiabesca, pertanto. Già dalla locandina si presume una certa influenza da horror ottantiano classico, come se non bastasse: se non proprio Nightmare, quantomeno Jeepers Creepers o al limite Wrong turn, con gli artigli che tengono in pugno la protagonista che sembrano testimoniare un riferimento, anche inconscio alla peggio, al buon Freddy Krueger o ad un qualunque villain “parente”.

Il problema è che i presupposti non sono molto rispettati dall’andamento narrativo: l’impalcatura su cui si regge il film non è troppo solida, nonostante i pluricitati presupposti mitologici e fiabeschi che (in genere) sono garanzia di efficacia nell’horror. La trama di The Piper è sostanzialmente semplicistica, debole nei presupposti, troppo frettolosa e forse troppo incentrata su aspetti che siano agilmente riconoscibili (della serie: l’ambizione egotica dei musicisti, le invidie reciproche, il rapporto madre-figlia). Questo non depone a favore di un’opera che, se non altro, presenta un discreto climax di tensione, che parte dal momento in cui il manoscritto con le musiche originali viene parzialmente reperito al momento in cui viene progressivamente ricostruito dalla protagonista (anche qui su presupposti labili, se vogliamo, ovvero sull’idea che un discepolo possa essere in grado di ricostruire l’opera originale del maestro per il semplice fatto di aver seguito i suoi insegnamenti).

Sarebbe ingiusto, d’altro canto, non riconoscere la lucida ed efficace regia di Thoroddsen, abile a dosare l’orrore (splatter e horror sono presenti per quanto in misura decisamente equilibrata) e a mantenere il ritmo sempre in attivo. Tutto verte sul personaggio di Mel, alla fine, che deve crescere da sola una figlia con problemi di udito (supremo paradosso per una musicista aspirante), deve cercare lo spartito e finirlo prima dell’esibizione, deve garantirsi un posto in orchestra, deve farsi aiutare da (e naturalmente flirtare con) un suo ex insegnante, deve salvare il mondo dall’orrenda apocalisse che potrebbe causare l’esecuzione della musica maledetta. The Piper rimane un horror americano commerciale per quanto, se vogliamo, non sia la “commercialità” il suo problema di fondo.

Vale la pena di spendere qualche parola sulla rappresentazione del villain, peraltro, che è un pifferaio magico mostruoso e molto simile ai demoni da leggende urbane – per quello citavo Jeepers Creepers – del quale vediamo la presenza solo accennata e, naturalmente, la rivelazione solo nella fase finale del film, inclusa la suggestiva (e davvero notevole) rievocazione della leggenda originale del pifferaio, che il regista in fase di sceneggiatura si diverte a seguire, poi rimodellare e/o invertire. Lo fa anche a costo di violare lo spirito fatalista della favola originale (i cui elementi sono distribuiti variamente nella storia: i sorci, la nenia, il fiume che diventa un lago), e di rientrare nel novero degli horror in cui siamo tutti in pericolo ma nessuno è in pericolo, dato che i protagonisti dovranno pur costruire i presupposti di una saga (un modo per dire ci aspettiamo che esca a stretto giro The Piper 2, 3 e magari 5000).

Ci sta, naturalmente, perchè nel frattempo stai guardando un horror più che dignitoso e sicuramente nella media dei prodotti del genere degli ultimi anni, con l’unico appunto di quel doppio finale mefistofelico proprio perchè, di fatto, si affida all’horror magico-sovrannaturale per risolvere la questione, mostrando i soliti personaggi dotati del solito inaspettato eroismo che tutti, in fondo, ci aspettavamo. Salvo poi ribaltare l’assunto: perchè in fondo la lezione lovecraftiana per eccellenza, non è morto ciò che può vivere in eterno, non è mai davvero cambiata. Ed è questo che fa decollare la sostanza e rende il film a mio avviso molto interessante, proprio per questo suo fantasioso giocare con gli stereotipi di un genere che non cambia mai e che, in genere, è particolarmente sensibile in negativo alle variazioni troppo di larga manica.

By loki11 – Anno MCCLXXXIV AM DAGE JOHANNI ET PAULI SCH.& S.H., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4747046
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