Sammi Curr è una rockstar morta in circostanze poco chiare, e sembra essere miracolosamente resuscitato; la sua storia si incrocia con quella di Eddie, giovane metallaro oggetto di bullismo.
In breve. Celebre horror sul metal, pensato e girato per metallari anni ’80. Astenersi tutti gli altri.
“Sveglia, dormiglioni: bisogna fare festa!“
Primo film dell’americano Charles Martin Smith, Morte a 33 giri si segnala come uno dei più famosi tributi al genere heavy metal della storia del cinema. Condotto sulla falsariga di molti altra horror anni 80 dell’epoca (e carico dei suoi stereotipi: bullismo nei college, violenza repressa, puritanesimo americano, senso di isolamento dell’individuo), contiene una miriade di riferimenti che ne fanno il godimento di qualsiasi appassionato del genere. A patto che lo stesso sia dotato di un minimo di sense of humour: e, ovviamente, il film è dotato di una fantastica colonna sonora (dei Fastway, fondata dagli ex membri di Motorhead e UFO “Fast” Eddie Clarke e Pete Way).
La storia: Eddie “Ragman” Weinbauer è un giovanissimo appassionato di heavy metal, che subisce di continuo le angherie e gli scherzi da caserma dei suoi coetanei. Si trova a frequentare un unico fidato compagno ultra-nerd, ha un rapporto estremamente complicato con l’altro sesso e, come se non bastasse, una madre che non riesce proprio ad apprezzare la bellezza degli Anthrax e dei Megadeth. Un bel giorno la sua rockstar preferita (inventata a scopo filmico, ma vagamente simile a Ronnie James Dio) muore in un incendio, ed il caso sembra volere che l’ultimo disco dell’artista finisca esattamente nelle sue mani. Ascoltandolo, Ragman si rende conto che il vinile in questione possiede strani poteri, tra cui quello di indicargli (ovviamente ascoltandolo al contrario) come comportarsi per avere la meglio sui bulli che lo tormentano.
Se è vero che alcune scene sono ancorate ad un’estetica da b-movie puro (la cassetta che prima seduce e poi tenta di uccidere la fidanzata del bullo ne è un esempio), resta vero che il film si lascia guardare senza troppi pensieri, e senza scomodare considerazioni di teoria del cinema. I più pignoli (o meno abituati, fate voi), peraltro, non disdegneranno alcune pacchianate di cui il film è ricchissimo, e che ne caratterizzano l’essenza più sostanziale.
Problema di questo film: se lo mostrate alla donzelletta che vien dalla campagna o al vostro amico appassionato di reggae, è probabile che tenti di rincorrervi per chilometri brandendo una mazza da baseball. Trick or treat è, in altri termini, un film per metallari per definizione, e quasi nessun altro potrà goderne la bellezza. Del resto non capire le allusioni e le auto-ironie (di cui il regista, nota bene, non abusa) che il pubblico generalista non avrebbe comunque presente, del resto, significherebbe perdere tre quarti del film e svilirne ulteriormente i contenuti.
Il cameo di Ozzy Osbourne che interpreta ironicamente l’evangelista ultra-moralista è semplicemente da incorniciare: da segnalare che nella copertina del DVD compaiono lui assieme a Gene Simmons (che interpreta Nuke, il DJ della radio), quando invece hanno un ruolo assai marginale in tutto il film.
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