Studio 666: l’horror iconico (ed ironico) per soli metallari
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I FOO FIGHTERS si trasferiscono in una villa di Encino per provare a registrare il loro decimo album: la mancanza di ispirazione si tramuterà in una storia macabra dai toni splatter.

Arriva in Italia il 23 giugno 2022 (e resta nelle sale fino al 29) il nuovo film scritto da Dave Grohl (Nirvana, Foo Fighters), Studio 666: un horror splatter dai toni ironici che racconta in chiave autobiografica la registrazione dell’album . Girato nel periodo più lungo della pandemia di Covid-19 per compensare alla mancanza di un tour, è un film dai toni celebrativi e autoironici pensato e concepito per i fan della band e per chiunque conosca la carriera dell’attivissimo musicista. Sebbene con diversi spunti riusciti, si lascia dimenticare appena qualche istante dopo l’uscita dalla sala, dando la sensazione di essere stato un intenso videoclip dell’orrore, o poco più.

Abbiamo di fronte una comedy horror modello The babysitter, questa almeno è la sensazione che si avverte dalle prime sequenze, costellate di cameo che sembrano voler alleggerire il carico da horror serioso che, in modo nemmeno troppo velato, Studio 666 vorrebbe assumere in seguito. Il problema principale del film risiede proprio in questa ambivalenza di fondo: da un lato è un horror demenziale come miriadi ne sono usciti, dall’altro sembra voler diventare il racconto dei tormenti interiori di Grohl (cosa che ci poteva stare, ed avrebbe forse sorpreso più in positivo se fosse stata mantenuta come linea: una rockstar che medita inconsciamente di uccidere la propria band non era malvagia, come idea, tanto più se girata modello primo Peter Jackson). Di fatto, Studio 666  degenera nello splatter horror fine a se stesso, un po’ come da media delle produzioni USA un po’ modello Troma, con ritmi incalzanti, dialoghi essenziali, gore a non finire, qualche sprazzo surreale modello Nightmare ma soprattutto dimenticando per strada quello che stava raccontando.

Un film in cui, in altri termini, le esagerazioni sono all’ordine del giorno e prefigurato il must, la necessità; per quanto i mezzi visuali siano superiori alla media, durante la visione ci si sente più che altro barcamenati da una narrazione incerta, difficile da decodificare. Si guarda il film, si ride o si sorride o si resta indifferenti (dipende dai casi), e non si è mai sicuri se sia un horror o una commedia, se il tono sia introspettivo o retrospettivo, se sia uno scherzo o se si faccia sul serio. Studio 666 è tutt’altro che noioso, per la verità, anzi vive di momenti autenticamente divertenti o intensi; tuttavia non assume mai un feeling chiaro, sembra dilatato all’infinito per quanto racconti una storia horror già vista mille volte (il che diventa l’ultimo dei problemi, ovviamente). Se non altro vedere i Foo Fighters suonare un pezzo doom di quasi un’ora, quasi tipo Sunn O))), rimane al netto di tutto un’esperienza suggestiva per qualsiasi fan del genere (e anche qui, solo per lui).

Il tutto per quanto sia girato in maniera impeccabile, da horror vecchia scuola, di quelli fatti bene-bene: la primissima sequenza lo dimostra, così come i vari omicidi con le pugnalate modello Dario Argento, i demoni dagli occhi rossi alla Lamberto Bava(o anche The fog), le reminiscenze inequivocabili di Sam Raimi, la citazione de L’esorcista e i richiami al John Carpenter anni 80 e 90, regista che firma assieme al figlio Cody la colonna sonora del film. Anche i Foo Fighters come interpreti di se stessi sono ben caratterizzati, ma latita un po’ troppo il piano narrativo per poter apprezzare appieno l’idea.

Probabilmente ha ragione Peter Bradshaw sul Guardian a scrivere che il film conferma una certa tendenza della horror comedy nel non saper essere nè spaventosa nè propriamente divertente, per quanto si lasci un po’ prendere la mano dalla critica definendo addirittura “sconcertante” che una commedia (o presunta tale) prenda ispirazione da fatti violenti avvenuti negli anni 90 (è plausibile che nel dirlo ritenga reale l’assunto della band maledetta, il che immagino farebbe molto ridere Grohl e il regista). In realtà che si crei una urban legend o un dubbio sulla realtà dei fatti raccontati fa parte delle ordinarie dinamiche degli horror moderni “fuori dalle righe”, almeno dai tempi di Cannibal Holocaust, ma questo – più che altro – è mera ordinarietà da un punto di vista filologico, e vale per tutti gli horror seriosi o finto-snuff, non certo per un film che, tra le altre cose, strizza l’occhio a lavori come Tenaciuos D di Liam Lynch (pur senza le stesse musiche spettacolari).

È stato sicuramente divertente per la band auto-interpretarsi o immaginarsi calati all’interno di una trama horror anni ottanta che più topica non si potrebbe, ma il dubbio di fondo è che sia un film più divertito che divertente, che il modo narrativo non sia troppo intellegibile per il pubblico a cui è rivolto il film, che non è affatto scontato (specialmente negli ultimi anni) essere cultore dei cult del genere. Ed il rischio è quello di non cogliere, annoiarsi, rimanere perplessi, senza contare che tante sequenze risultano fiacche se non sai con precisione che quello che interpreta il fonico folgorato è il chitarrista degli Slayer (Kerry King), oppure che la vicina di casa della band è una delle più famose e dissacranti stand up comedian americane (Witney Cummings). Insomma, siamo sempre lì: Studio 666 non ha un’identità chiara e per quanto sia un film divertente (specie da vedere tra metallari) rischia di farsi dimenticare con la stessa frenesia con cui lo si guarda.

La storia di Grohl, per altri versi è un archetipo horror a tutti gli effetti, che sembra estratto materialmente e con decisione dagli anni 80: la scenaggiatura viene affidata a Jeff Buhler e Rebecca Hughes, per cui il primo contribuisce alle note più horror mentre la seconda alle situazioni umoristiche. La componente splatter tende un po’ a strabordare e, di fatto, oscura quasi del tutto quella ironica, nonostante la presenza  di due interpreti molto popolari della stand up comedian (forse non troppo noti in Italia, ovvero Jeff Garlin e la Cummings). A poco servono gli stessi cameo musicali: Kerry King degli Slayer nella parte di un fonico maldestro, Lionel Ritchie che accusa grottescamente Grohl di plagio durante una scena onirica (forse una delle più riuscite del film), lo stesso John Carpenter (accompagnato dall’attore che ha interpretato la trilogia di video più recenti degli Slayer, ovvero Jason Trost e la benda sull’occhio che porta anche nella vita di ogni giorno, un po’ Frigga/Madeleine un po’ “Jena” Snake Plissken) che non poteva che interpretare il fonico incaricato di registrare la musica della band.

L’unica certezza ed autentica nota positiva del film è la regia di BJ McDonnell, solida, sicura del fatto suo e ricca di omaggi agli horror amati da tutti: La casa, Venerdì 13 e compagnia. La prova attoriale dei Foo Fighters è inaspettatamente convincente, soprattutto quella di Grohl nell’interpretare l’archetipico personaggio kinghiano dalla personalità multipla. Studio 666 è imbevuto di atmosfere horror anni 80 fino all’eccesso, in una misura da risultare quasi stucchevole anche per il fan più sfegatato. Al netto di questo rimane un film gradevole quanto, alla fine dei conti, solo per fan della band e forse nemmeno per tutti, oltre che rivolto a qualsiasi fan del rock con un minimo sindacale di senso dell’umorismo. Con la nota a margine che potrebbe, nonostante le aspettative elevate, restare un po’ deluso dalla visione.

Il film vede l’ultima partecipazione da attore del batterista Taylor Hawkins, scomparso nel marzo 2022 durante il tour della band a Bogotà.

Studio 666 potrebbe essere a breve disponibile in streaming su Prime Video, per quanto ad oggi non sia ancora visionabile e l’Italia non rientri tra i paesi in cui c’è. Il disco contiene brani della band maledette (e fictional) DREAM WINDOW, che è stato anche pubblicato come LP completo su Spotify. Studio 666 è anche il nome di un misconosciuto horror indipendente del 2005, firmato dall’attore e produttore Corbin Timbrook, con cui non dovrebbe avere nulla a che fare.

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