Brainscan – Il gioco della morte: la fantascienza profetica di J. Flynn

Pennsylvania: Michael ha perso la madre in un incidente stradale, e vive da solo nella provincia americana: appassionato di horror, entrerà presto in contatto con un videogioco estremamente realistico.

In breve. Teen horror maltrattato dalla maggioranza del pubblico e della critica, per quanto (nel suo essere b-movie) più profondo e degno di considerazione della media. Il punto di vista sulle tecnologie nascenti all’epoca (video-chiamate, CD ROM, prototipi di realtà virtuale) rimane, ancora oggi, irrestibile.

Tratto da un soggetto di Brian Owens e Andrew Kevin Walker (lo stesso che poi diventerà famoso scrivendo Se7en), Brainscan è un horror dai tratti fantasy che innesta, come se non bastasse, vari elementi di fantascienza: in particolare, il tema del film è quello della tecnofobia.

All’epoca del girato, infatti, il computer è ancora un oggetto misterioso, quasi esoterico e dalle potenzialità inesplorate, che qui vengono esplorate attraverso una singolare sequenza di profetici elementi. Per intenderci, Michael utilizza una primordiale video-chat (per quanto meno evoluta, curiosamente, di quella che si vede in 2001 Odissea nello spazio), mostra impulsi sessuali da voyeur (riprende di nascosto la vicina di casa di cui è innamorato, senza avere il coraggio di proporsi; come da tradizione del genere, ovviamente, la ragazza si denuda con la finestra aperta e senza accorgersi di essere vista. Oggi, probabilmente, Michael passerebbe le giornate a salvare le storie più sexy di Instagram). Pochi altri, ben definiti, elementi caratterizzanti: ha un solo amico (nerd informatico, e naturalmente metallaro: siamo in un periodo d’oro per il genere, ed il film cita in pompa magna Primus, Metallica, Iron Maiden come parte della contemporaneità), è un personaggio archetipico (quanto, in parte, già visto): schivo e riservato, evade dalla realtà grazie ai film horror, evita le feste per paura del bullismo ed è fanatico di videogame.

Credimi Michael, io voglio soltanto quello che vuoi tu […]  questa storia l’hai iniziata tu e adesso hai paura di andare avanti, come hai paura di tutto il resto: di Kimberly, di Fromber, di dire a tuo padre che ti sei rotto le palle di essere lasciato solo continuamente e a tua madre che ti ha abbandonato!

L’horror è anche oggetto di meta-cinema, del resto: Micheal organizza delle proiezioni di film del genere (probabilmente gotici della Hammer) nella sua scuola, e viene significativamente censurato dal proprio insegnante. Censura che, ci racconta il film, stigmatizza l’uso della violenza da parte di quelle pellicole, senza considerare che essa (piaccia o meno) fa parte della realtà. La società americana, a quel punto, viene ritratta da Brainscan come naive, miope e sostanzialmente quasi sempre bigotta. Micheal, peraltro, è interpretato dallo stesso Eddie Furlong noto, qualche anno prima, per Terminator 2, di cui il regista (forse con poco tatto, dato che parlava di un quindicenne, all’epoca) raccontò in un’intervista di non essere mai stato un grande fan perché, di fatto, non considerato un interprete adeguato al ruolo.

Il film è pervaso dal classico mood ottantiano che mostra situazioni, scenari, paradossi e personaggi tipici del periodo, producendo un risultato sostanzialmente divertente per quanto, alla prova dei fatti, neanche troppo originale. Visto oggi, pero’, il risultato appare quantomeno curioso dal punto di vista filologico, visto che riprende gli spunti narrativi di film come Videodrome di David Cronenberg o Il tagliaerbe di Brett Leonard.

Il regista guarda alla fantascienza con spirito audace ed avvenieristico, per quanto con una sostanziale scarsità di mezzi: i videogiochi di Brainscan, comunque, sono un po’ più evoluti della media dell’epoca, perchè sono di fatto talmente ben definiti da sembrare reali. Ed è qui che si giocano i presupposti del film, come molti altri del periodo – ovvero tra i confini indefinibili tra ciò che è reale e ciò che, invece, è solo virtuale. Con una singolarità che in pochi hanno notato: l’assassino – che non sappiamo quanto sia reale, in quel momento – impersonato da Micheal ha i guanti neri, l’impermeabile tipico del caso, viene ripreso in soggettiva ed uccide in modo particolarmente cruento. Nel vedere il coltello che si solleva dalla vittima con la macchina da presa immobile, a quel punto, è impossibile non pensare ad una derivazione (o magari citazione) dei migliori film di Dario Argento, come ad esempio Tenebre o Phenomena. In questo senso Brainscan è ancora più focalizzato, perchè sembra ostinatamente ancorato agli anni ’80 appena terminati.

MasterKiller: Tu ci dai l’ispirazione: noi pensiamo al resto.

Il virtuale, di fatto, non sembrerebbe neanche esistere: anche la videochat più scalcinata, del resto, coinvolge quasi sempre persone che si trovano ad interagire, ed il film sembra quasi porsi da monito all’uso sconsiderato della stessa. Ma il dubbio pervade l’animo dello spettatore fino alla fine, per quanto l’impianto di Brainscan sia da teen horror senza troppe pretese, sostanzialmente snobbato (per motivi puramente di preconcetto: gli horror americani del periodo vennero purtroppo, in molti casi, considerati banali a prescindere) e poco capito dai più.

Le velleità cronenberghiane del regista, con le dovute proporzioni s’intende (il canadese arrivò a concepire un film molto simile quale eXistenZ solo cinque anni dopo), sono tuttavia evidenti per tutto il film, che mostra il villain come una impersonificazione del male a cui sarebbe costretto il protagonista, un giovane incel (celibe involontario) ante-litteram, per fuggire da una società che lo distrugge mentalmente e socialmente (motivo per cui, per inciso, gente che non ha mai visto questo film ha finito per osannare un po’ a casaccio film come Joker).

Tali pretese sono pero’, alla prova dei fatti, smantellate dalla mancanza di una vera e propria “filosofia” di fondo, che si limita a raccontare una storia da horror di cassetta senza probabilmente avere nessuna altra pretesa se non il divertimento dello spettatore. Fosse stato un altro regista, probabilmente, ci saremmo divertiti a scrivere qualcosa in più in merito.

Rimane degno di nota, in Brainscan, il feeling decisamente profetico e (forse) troppo fatalista sui mali sociali derivanti dall’abuso di tecnologia, sempre con grande stile nella definizione non tanto dei ragazzi protagonisti e degli adulti (curiosi gli uni, rigorosamente ottusi gli altri), quanto nel villain di turno: il Trickster, interpretato da un T. Ryder Smith in grande forma, in grado di definire un cattivo grottesco, teatrale e surreale, torturatore-manipolatore di ragazzini, per certi versi simile al miglior Freddy Krueger.

Brainscan, del resto, è un b-movie onesto e privo di troppe pretese sociologiche, tanto che è tratto dal videogame realmente esistente Brainwaves (Brainscanners in Europa), e che il finale, per quanto divertente e leggero nelle conclusioni, finisca (nel suo voler essere rassicurante ad ogni costo) per far perdere un po’ di potenziale alla storia.

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