Sarah lavora come cameriera per mantenersi, ma sogna di diventare un’attrice: un’ossessione che la spingerà verso alcuni ambigui produttori.
In breve. Discreto body horror a sfondo sovrannaturale, che racchiude una metafora, tanto ovvia quanto didascalica, sul mondo del cinema.
Girato in soli 18 giorni, Starry Eyes – traducibile in italiano come Occhi stellati– è un esempio virtuoso di crowdfunding riuscito: almeno una parte del budget venne infatti finanziato da una campagna su Kickstarter. Si tratta di un horror quasi puramente ottantiano, a partire dalle atmosfere (i sintetizzatori di Jonathan Snipes) e considerando ritmo, tematiche e dinamiche tipiche del genere. Sarah è un personaggio dai tratti ambigui fin dall’inizio: apparentemente pura e ingenua nel proprio sognare di fare cinema, poi si rivela sempre più priva di scrupoli, spinta da un cinismo di fondo.
La contrapposizione tra lei (solitaria quanto ossessionata da un sogno quasi impossibile) e gli amici attori e registi, al contrario vagamente hippy e perennemente spensierati, appare evidente fin dai primi fotogrammi. I presupposti non sono troppo originali e, anzi, sono fin troppo tipici: quello che rende interessante il film, in effetti, è anzitutto il ribaltamento progressivo dei ruoli dei personaggi, per cui coloro che sembrano solo ostacolare il suo sogno (o comunque invitarla alla prudenza, come il proprietario del fast food) diventano personaggi positivi, mentre Sarah precipita nel baratro mostrando, poco per volta, segni di instabilità emotiva o vera e propria schizofrenia.
Starry eyes è interessante anche perchè parte da presupposti da commedia leggera anni 80 (la ragazza semplice ed umile che insegue un sogno: un tema talmente trito da essere diventato, ad oggi, uno stereotipo da far rabbrividire), per poi degenerare in un curioso mashup di body horror, slasher e horror satanico.
Va tenuto in conto, comunque, quanto rischi di essere sembrare didascalico il tema trattato: che la misteriosa produzione “Astraeus Pictures” abbia un che di satanico è evidente fin da subito, ma il tema della Hollywood corrotta e delle attrici che si concedono a favori sessuali non è neanche più un tabù, ad oggi. Il film è ben fatto, ma il rischio spallucce dello spettatore più disilluso è dietro l’angolo. In questo la minaccia noia e disinteresse per una storia dai tratti parzialmente prevedibili (non mancano colpi di scena ben congegnati) sembra a volte più concreta delle mostruosità che si vedranno. Resta il fatto, comunque, che il regista è stato coraggioso nel suo concepimento, nonostante mezzi non proprio eccelsi per la sua realizzazione.
Nonostante tutto, quindi, Starry Eyes è un discreto b-movie con qualche pretesa in più – certo piccola, forse didascalica ma mai eccessiva o saccente, sicuramente adeguato ai mezzi ed ai messaggi che vorrebbe inviare.
C’è una sola cosa che desidero da tutta la vita: e loro intendono darmela.
Il tema del film è quello di attrici e modelle ossessionate dalla vanità e dalla fame di gloria (tema trattato, almeno in parte, in The neon demon o Ubaldo Terzani Horror Show, ad esempio), ed il risultato finale non delude nella sua sintesi, nel suo formato snello (circa un’ora e mezza di film) e nella straordinaria metamorfosi di Sarah, che inizia a cambiare – nel comportamento e nel corpo – come una novella Brundle-mosca. Gli echi di Cronenberg, del resto, non sembrano azzardati come paragone: questo soprattutto se si considera la prima produzione del regista, quella incentrata sulle mutazioni corporee. In questo senso, Starry Eyes potrebbe considerarsi un body horror a tutti gli effetti, con la differenza che eredita stile e modalità tipiche degli horror a sfondo satanico o sovrannaturale, lasciando spazio ad una teatralità di fondo in grado di affascinare lo spettatore.
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