Faust è un uomo ordinario coinvolto in una bizzarra versione teatrale dell’opera di Goethe, con alcune strane marionette a farla da padrone…
In breve. Incredibile. Basterebbe questa parola a rendere l’idea di cosa possa essere Lekce Faust, produzione ceco-francese-inglese di uno dei più celebri leitmotiv dell’arte in generale: l’incontro ed il patto tra il diavolo e Faust, qui rivisitato in chiave moderna e surrealista. Da non perdere.
Sono stati scritti fiumi di parole sull’argomento – Keith Leslie Johnson nel suo libro “Jan Svankmajer“, ad esempio, si è spinto a parlare di “cinema animista” a riguardo, anche per via della singolare tecnica di animazione delle marionette che convivono curiosamente con i personaggi in carne ed ossa.
Questa versione del Faust (il racconto popolare tedesco divenuto celebre nell’opera omonima di Goethe) è sviluppato in chiave moderna e surrealista (corrente a cui Švankmajer dichiaramente aderisce) risulta sublime nella sua realizzazione. Sfruttando le tecniche della stop-motion e della clay-motion, ed alternandole a riprese ordinarie in 4:3, il regista e sceneggiatore ceco costruisce una narrazione non lineare in cui si racconta, in chiave moderna e con le dovute variazioni sul tema, la storia di un Doktor Faust dei giorni nostri, ossessionato da una conoscenza che non sa più spingere oltre, e che arriva ad un patto con Mefistofele per tentare di soddisfare.
In questa sede Faust non è un più uno scienziato, bensì un anonimo uomo della strada, inizialmente sprezzante e poi attratto morbosamente da una mappa fotocopiata consegnatagli da due misteriosi individui (che ricompariranno in diverse vesti in molte fasi del film). Nella stessa è indicato un punto da raggiungere, come una sorta di caccia al tesoro, e l’uomo si reca sul posto; si tratta di un teatro nel quale sta per andare in scena il Faust, ed in cui il ruolo del protagonista viene meta-cinematograficamente affidato allo stesso. Esistono almeno cinque versioni cinematografiche del Faust (di Murnau del 1926, di Peter Gorski del 1960, questa del 1994, la versione horror di Brian Yuzna ed il Faust di Sukorov del 2001), ma quella di Švankmajer finisce per rifarsi apertamente all’opera teatrale di Christopher Marlowe (1590 circa), e ancora più esplicitamente al Don Juan und Faust di Christian Dietrich Grabbe (tradotto nel 1884 dal poeta Fabio Nannarelli).
Il teatro moderno e di tradizione possiede un’influenza per questo film, a cominciare dal tema del doppio (Faust e Mefistofele hanno le stesse fattezze), proseguendo sulla drammatizzazione esagerata di molte sequenza, all’ambientamento su un palcoscenico di molti dialoghi (con tanto di pubblico di sala). Al tempo stesso, non solo si sfonda con frequenza la quarta parete, ma Švankmajer modifica l’ambiente circostante ai personaggi in più occasioni, come nella sequenza dell’evocazione satanica in cui il paesaggio muta attorno al personaggio, in un mix di realtà ed allucinazione davvero spiazzante. Difficile quindi trovare una collocazione di genere vera e propria per un lavoro del genere, che dovrebbe rientrare nel genere fantastico ma che, a ben vederlo, è solo una delle tante facce della medaglia. I simboli hanno pure una discreta importanza nella pellicola, che vive di numerosi rimandi all’opera originale (il pentagramma sul mantello di Faust, lo specchio attraverso il quale l’attore recita alcune parti: del resto, per citare Goethe, Lo spirito di ogni epoca, che troverai, in fondo è lo spirito dell’umanità: uno specchio in cui ogni epoca viene svelata. E così spesso è solo mera miseria, qualcosa da cui fuggiamo a prima vista – traduzione mia, ndr)
Se è vero che l’adattamento è molto libero e sembra seguire il flusso di coscienza del regista, rimane un’opera pienamente godibile dal grande pubblico, nonostante qualche bizzarria di troppo e qualche piccolo passaggio criptico (il film è in lingua originale con sottotitoli in italiano, e sarebbe stato un delitto doppiarlo, probabilmente). Tra demoni che parlano e si trasformano in claymotion, marionette giganti che ad un certo punto fuoriescono dalla propria dimensione per catapultarsi nella realtà, le mani di un burattinaio (mai inquadrato in volto) che si occupa degli effetti sonori come del movimento dei personaggi, Lekce Faust (in inglese Lesson Faust) è un saggio di cinema surrealista assolutamente da non perdere, ricco di pathos e delizioso da seguire in ogni passo. Una visione originale, gradevole e mai inutilmente appesantita.
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