Abbiamo analizzato 8 episodi della prima serie di Black Mirror (la migliore)

La serie TV Black Mirror è formalmente una bomba: episodi originali, fluidi, ben diretti, a sè stanti, senza nulla che li accomuni e senza inutili, interminabili intrecci da seguire e ricollegare – se non il tema principale legato alle distopie tecnologiche. Una cosa a cui nessuno aveva ancora pensato, non in questi termini e non con questo budget, e che si pone con una certa eleganza come una delle espressioni più pop dello zeitgeist moderno.

Nulla è lieto o rassicurante, in Black mirror: le storie sono a volte già viste (basterebbe citare “Ai confini della realtà“), ma in questa sede si insiste sulle conseguenze dello spionaggio tecnologico, dell’invasione della privacy e dell’ossessione per i social network sulle vite dei protagonisti. Il sesso, peraltro, possiede un rilievo considerevole per i singoli episodi (anche se non per tutti): ed è l’aspetto alienante, cyberpunk e spesso cronenberghiano (prima maniera) ad essere focalizzato. Per una serie a episodi non è certo una novità, quest’ultima, ma è interessante come l’aspetto sia calato in un contesto moderno e, per forza di cose, cibernetico.

Il monito è chiaro, ed è chiaramente di ispirazione snowdeniana, se vogliamo, per quanto alcuni episodi rischino di diventare didascalici o già visti. Ma si tratta di un già visto accattivante, perchè la narrazione è di solito fluida, al netto di lungaggini e frammentazioni eccessive che ogni tanto affliggono le storie. Si rende gradevole per il pubblico generalista, e questa è una dote straordinaria per una serie da pubblico geek a cui, spudoratamente, si rivolge. Altra caratteristica di Black Mirror, poi, è legata ai twist a sorpresa innestati in quasi ogni storia: in questi termini, gli amanti del thriller, della sintesi – e i più allergici alla serialità – troveranno pane per i propri denti.

In questo articolo ho cercato di riassumere in una breve analisi tutti i singoli episodi che ho visto ad oggi, con le caratteristiche più significative di ognuno.

Tendo sempre a pensare che la persona a cui credo di rivolgermi su internet non sia mai realmente “quella persona” (Ctrl+C, Ctrl+V (scrittura non creativa), K. Goldsmith)

The National Anthem – Messaggio al Primo Ministro

Diretto da: Otto Bathurst, Scritto da: Charlie Brooker

Il primo ministro Michael Callow viene ricattato mediante un video su Youtube: esso riprende la principessa Susannah, amata dalla popolazione ed ecologista convinta, in lacrime dopo essere stata rapita da ignoti. Gli stessi chiedono che, per la sua liberazione, Callow abbia un rapporto sessuale con un maiale, in diretta TV. I rapitori chiedono peraltro esplicitamente che le riprese avvengano secondo le regole del Dogma 95 firmato da Lars von Trier e Thomas Vinterberg. Quindi, grottescamente, nessun trucco e nessuna controfigura: dovrà essere proprio il primo ministro in persona.

La circostanza diventa il pretesto per mostrare da un lato l’atteggiamento conformistico dei media (che sulle prime occultano e alleggeriscono la notizia), dall’altro quello privo di scrupoli del governo, prontissimo a far arrestare chiunque purchè la notizia non trapeli e non diventi credibile. Ma l’accento è posto anche sulla reazione da parte delle persone, che deridono crudelente il politico facendo collassare la sua popolarità. Il video finisce su Youtube e, prima che possa essere rimosso definitivamente, è già stato ricaricato da altri utenti – confermando che ciò che finisce in rete, generalmente, non ne esce più, come un vortice oscuro che assorbe ed amplifica qualsiasi cosa senza restituirlo. Le cronache mondane, del resto, hanno spesso raccontato e confermato la questione, con epiloghi spesso drammatici per le persone coinvolte (vedi i sex tape che finiscono, a migliaia, sui siti di streaming).

Ma, soprattutto, “il video termina con una serie di specifiche tecniche per le emittenti“: perchè i terroristi (o chi per loro) sono tecnologicamente evoluti, molto più di quanto non si voglia credere: questo è probabilmente il focus più importante di questa terrificante micro-storia. Non esiste alcun canale di comunicazione con i villain, che non trattano nulla e creano una contrapposizione lacerante tra il Potere e le persone comuni, in particolar modo quello che vive, socializza, legge e fa praticamente di tutto con internet. L’informazione sfugge al controllo, peraltro, perchè anche se i media nostrani fossero allineati con il primo ministro ci sarà sicuramente qualche altra emittente che finirà, per motivi politici, per trasmetterlo ugualmente.

Le conclusioni, comunque, sono deboli rispetto alla premesse: dopo un anno dai fatti, l’immagine di Callow ne esce fuori addirittura rafforzata e, per quanto gli intenti dell’episodio siano simbolicamente lampanti, la morale risulta un po’ fiacca, per quanto in linea con quello che – purtroppo – succederebbe nella realtà. Ciò che si mostra sui social è una fiamma che brucia intensamente sul momento e poi sparisce, ma la linea narrativa sembra forse dimenticare e banalizzare un po’ le conseguenze che può provocare un video privato, sfuggito al controllo, sulla vita di un individuo.

15 Millions Merits – 15 milioni di celebrità

Diretto da: Euros Lyn, Scritto da: Charlie Brooker e Kanaq Huq

In questo episodio il mondo degli Youtuber e dei talent show si riversa in un futuro distopico: Hot shots è un popolarissimo programma che esalta i talenti artistici (o presunti tali) nel canto o nella danza, in cui il pubblico è composto da una cinica giuria di esseri umani e da un pubblico di personas virtuali. Una metafora schiacciante di come, probabilmente, la massa mainstream abbia completamente perso il gusto, e sia ridotta a robot in grado solo di cogliere i segnali ed amplificarli su base algoritmica, senza alcuno spirito critico.

Persone comuni che, per non accettare compromessi, sono costrette a pedalare di continuo: le cyclette, infatti, alimentano una specie di criptovaluta (il Merito) che è possibile “minare” o guadagnarsi facendone uso. Per il resto i personaggi sono intrappolati, come veri e propri carcerati, in un mondo fatto di pixel e di schermi giganti, in cui la privacy è abolita ed i rapporti umani sono ridotti all’osso. La satira è anche rivolta contro la vacua ossessione per il fitness e per modelli intrinsecamente irraggiungibili, imposti dal voyeurismo dei social network, mentre i “limoni” derisi nell’episodio si riducono a commessi che eseguono i lavori più umili, senza poter più pedalare e condannati, per via di demeriti psico-fisici, all’anonimato. Un anonimato in cui la pornografia, per inciso, è il miglior ripiego possibile per una sessualità maschile perennemente frustrata, mentre la donna è costretta ad esserne protagonista – pena precipitare nel dimenticatoio (un oblio che, tragicamente, significava molto per il protagonista).

Sono solamente degli oggetti che ci danno l’illusione di vivere, viene detto: l’episodio solleva dubbi su cosa è reale, cosa è virtuale e soprattutto cosa, più subdolamente, è un mix ingannevole tra i due. Un controllo dall’alto condiziona la vita dei protagonisti, condizionandone l’esistenza ma perdendosi, soprattutto all’inizio, in una miriade di dettagli forse poco funzionali. E non c’è nulla di davvero fresco o innovativo, a ben vedere: la lezione è la stessa che si potrebbe trarre da qualsiasi altro saggio distopico del cinema come Brazil, e – per quanto la narrazione sia nobile negli intenti – propone una morale vagamente spicciola e, anche qui, più incentrata sulla narrazione romantica (la storia tra i due ragazzi) che sul significato. Incentrare l’intreccio sulla voglia di fama di giovani aspiranti artisti (evidentemente succubi di un sistema che dovrebbero disprezzare), infatti, rende il tutto quasi una grottesca puntata di Amici, tanto per fare un esempio comprensibile al pubblico italiano. Ne risulta un intreccio ingigantito almeno quanto gli schermi che ossessionano i protagonisti, che regge solo in parte (purtroppo) ad un critica avveduta e obiettiva.

Il violento sfogo televisivo di Bing, peraltro, per quanto irreprensibile nel significato, richiama in apparenza quello analogo del Joker di Phillips in diretta TV: ma in questo, paradossalmente, ottiene solo l’effetto grottesco del colloquio di lavoro dei Monty Python. Una giuria che, insomma, rimane indifferente (le parole non possono cambiare nulla) ma da’ (se non altro) un voto massimo a quella che viene considerata un’esibizione di isteria a tutti gli effetti. Diversamente dalla rivoluzione violenta imposta dal controverso personaggio interpretato da Joaquin Phoenix, lo sfogo ottiene un effetto matrioska: non cambia un accidente, e fa solo inventare un ennesimo format per un ennesimo, ovattato reality di successo.

Ricordi pericolosi – The Entire story of you

Diretto da: Brian Welsh, Scritto da: Jesse Armstrong

Siamo ai giorni nostri, negli ambienti esclusivi dei benestanti: In questa realtà è possibile pagare delle società per avere dei backup dei propri ricordi, mediante un chip impiantato nell’orecchio: è quello che fa un giovane avvocato, ossessionato da una frase (secondo lui non sincera) pronunciata da uno dei recruiter. Rientrato a casa per cena, viene introdotto dalla moglie ad un misterioso personaggio, che viene presentato come un amico mentre si tratta, prevedibilmente, dell’amante di lei. L’episodio è focalizzato sulla paranoia del protagonista, Liam, alimentato dall’atteggiamento frivolo della consorte che pero’, almeno inizialmente, si risolve positivamente: il porno del nuovo millennio, a quel punto, è il coadiuvante di una coppia dalla passione spenta, ed è costituito anch’esso dai primi ricordi dei due protagonisti. Questo perchè il loro rapporto attuale è del tutto privo di passione, e infatti mentre fanno sesso guardano il loro primo incontro, mostrato come un vero e proprio POV hardcore.

Il seguito della storia è sorprendente e dai tratti cronenberghiani: scoperta la verità, Liam arriva alla violenza contro gli altri e contro se stesso, estirpandosi brutalmente il chip per registrare i ricordi. Le conclusioni, peraltro, ricordano molto da vicino quelli del terzo mediometraggio di Carpenter dentro Body Bags, in cui l’unico modo per liberarsi dall’ossessione è quello di infliggersi, nichilisticamente, del dolore.

Uno dei migliori episodi di questa prima serie, che si chiude su un inquietante paradosso: anche se potessimo registrare i nostri ricordi e rivederli in HD, sarebbe solo vanità e voyeurismo rivederli. Perchè, in fondo, non ci serve per forza la tecnologia per decifrare ciò che ci circonda, e (un po’ come ricordato dal saggio apocalittico Nuova era oscura di James Bridle) non è la mole di dati a fare la differenza, bensì ciò che decidiamo di fare ogni giorno.

Be Right Back – Torna da me

Diretto da: Owen Harris, Scritto da: Charlie Brooker

Be right back è una versione sintetica, modernizzata e cibernetica di Starman di John Carpenter: la protagonista, infatti, deve elaborare un lutto improvviso (la perdita del fidanzato, fan ossessivo-compulsivo dei social network, in un incidente stradale), il che la porta ad avere sbalzi di umore e attacchi di panico. Subito dopo il funerale, pero’, si presenta una nuova possibilità, sulla carta folle quanto accattivante: far rivivere il proprio compagno attraverso un chatbot in grado di auto-apprendere la personalità del defunto, e sfruttare il machine learning per riprodurne foto, video, tweet e frasi caratteristiche. La sintesi digitale diventa spaventosamente simile all’originale, finchè non si arriva all’offerta definitiva: far rivivere il compagno in un androide dalle fattezze perfettamente umane.

Non chiamarmi amministratore!

Perchè no? Alle mie orecchie suona sexy!

Anche qui siamo in territorio puramente cronenberghiano, e la cosa impressionante di Torna da me, del resto, è la plausibilità tecnologica di quanto si vede: al netto dei dettagli lacrimosi e strazianti, è chiaro che il focus sia incentrato sullo sfruttamento becero delle emozioni e dei vuoti emotivi da parte dei siti e delle app di incontri (e di tutto ciò che, da essi, potrebbe derivare in futuro), dato che è una società tecnologica a produrre il replicante e, soprattutto, è in grado di fare ciò che fa perchè su internet ci sono i dati di chiunque. Almeno sulla carta, in questa visione paranoica quanto tutt’altro che lontana dalla realtà, chiunque potrebbe essere clonato in base a ciò che dissemina in giro.

Quello posso accenderlo e spegnerlo quasi all’istante: l’aspetto sensuale rientra poi a pieno regime nella storia, allenta in parte la tensione – ed è atipico, date le premesse romanticheggianti. Viene anche accennata una sequenza di sesso con un robot che, peraltro, è almeno in parte realtà (le Lumidolls). Ed è significativo che il personaggio umano, da sessualmente represso e poco reattivo, diventi un amante perfetto in versione robotica – ma solo perchè, neanche a dirlo, ha imparato a farlo scandagliando il porno su internet. Che l’essere umano ragioni mediante esempi ed apprenda il proprio comportamento sulla base di un campione di esperienze è un dato di fatto: e che possa fare lo stesso un software, arrivando a produrre un clone umano, è in effetti anch’esso possibile. Ma si tratta comunque di un clone umanoide con dei difetti: alcuni dettagli della pelle originale non sono riproducibili, ad esempio, e il carattere spesso polemico della protagonista mal si concilia con il temperamento mite dell’automa, che possiede dei limiti proprio per via della sobrietà del “modello umano” nella versione social.

La scena decisiva, peraltro, è l’emblema di un cruciale paradosso della serie: si può davvero desiderare sessualmente, amare, odiare, essere legati, esasperati o addirittura voler uccidere un robot, nonostante non sia un vero essere umano? L’episodio lascia un enorme senso di sospensione, e tende a finire in maniera un po’ sbrigativa (probabilmente per una questione di durata); per quanto il finale possa non rivelarsi troppo soddisfacente per alcuni, rimane uno degli episodi migliori della serie.

Orso bianco – White bear

Diretto da: Carl Tibbetts, Scritto da: Charlie Brooker

Al posto degli zombi di Romero, persone comuni che riprendono compulsivamente con il cellulare: è da qui che parte White bear, primo episodio dai toni survival horror nei presupposti e nello sviluppo. Al centro della storia, una donna che non ricorda nulla del proprio passato: si sveglia in una località sconosciuta ed inizia a muoversi alla ricerca di un contatto. Per tutta risposta un uomo incappucciato imbraccia un fucile ed inizia a spararle contro. Nel frattempo la gente nei dintorni riprende la scena con gli smartphone, influenzata (si scoprirà poco dopo) da un trasmettitore che ne condiziona il comportamento – idea mutuata da film quali The signal.

I presunti zombi sono ossessionati dal riprendere la situazione orrorifica (quotidiana, evidentemente) che si verifica sotto i loro occhi, mentre i cacciatori sono semplicemente alla ricerca di persone, come le due donne protagoniste, che per qualche strano motivo sembrano immuni al segnale. Le dinamiche conoscitive tra i personaggi sono convulse e caotiche sulla falsariga di qualsiasi zombi movie classico, da Fulci a Romero passando per chiunque abbia prodotto film del genere dagli anni 80 in poi.

Se non c’è campo per il cellulare, i personaggi sono apparentemente al sicuro: ed è questa la chiave per comprendere i successivi sviluppi della storia. Episodio che si chiude su un twist sconvolgente ed un inquietante loop degno della migliore saga dei Masters of horror, qui apertamente omaggiati come capisaldi del genere. Al centro della storia, per inciso, un’inquietante scenario degno di Orwell, in cui esistono svariati riferimenti ai tipici sentimenti populisti e dell’oclocrazia (una parola attualissima e sottovalutata, quest’ultima: a quando un bel Partito Oclocratico?), ma anche a film come Fuga da New York, dato che esiste un’imprevedibile anti-eroina al centro della vicenda, con la quale si finisce per empatizzare nonostante abbia commesso un crimine.

The Waldo Moment – Vota Waldo!

Diretto da: Euros Lyn, Scritto da: Charlie Brooker e Kanaq Huq

Waldo è un orsetto sbroccato ed irriverente, amatissimo dal pubblico e animato con la tecnica della motion capture da un giovane comico frustrato, Jamie Salter; dopo aver bersagliato il candidato alle elezioni conservatore, arrivando a perseguitarlo mediante un maxi-schermo per strada, la CIA propone alla produzione di candidare il personaggio addirittura alle elezioni. Siamo in piena fanta-politica distopica: il consenso è assicurato, e la circostanza è particolarmente subdola perchè Waldo, a dispetto dell’apparenza innocente (nel vederlo sembra tratto da un innocuo programma per bambini) in realtà è uno strumento di propaganda vero e proprio.

L’episodio è incentrato sul significato di qualsiasi istinto sovversivo o anti-democratico: il punto critico è il nichilismo anti-politico di Jamie, che rigetta le strumentalizzazioni e vorrebbe sfondare come comico, far ridere la gente ed avere delle attenzioni (anche qui, un parallelismo con il Joker di Phillips è sostanziale, per quanto l’episodio sia del 2013). Egli, prevedibilmente verrà strumentalizzato e sfruttato, e poi – esasperato dalle pressioni e da una storia d’amore fallita con la candidata laburista – finirà solo e abbandonato dalla società.

Anche qui la serie si assesta su livelli alti, per quanto l’intreccio non sia troppo scorrevole e tenda a focalizzarsi più sulle “prodezze” di Waldo che sulla sostanza. Ad ogni modo, se stavate cercando un episodio più smaccatamente politico della serie, l’avete trovato: Waldo è anche l’espressione dei comici che si candidano alle elezioni (che è una cosa successa realmente in vari paesi, tra cui Italia e Ucraina), che in questo caso sfruttano biecamente i meccanismi satirici per far sfogare la “pancia” delle persone. E l’unico risultato che riescono ad ottenere, suggerisce la trama, è quello di rafforzare i conservatori: nella parte conclusiva dell’episodio, peraltro, Waldo arriva significativamente secondo alle elezioni, nonostante non abbia più la stessa voce dell’inizio.

White ChristmasBianco Natale

Diretto da: Carl Tibbets, Scritto da: Charlie Brooker

Lo speciale natalizio diretto da Tibbets è un vero e proprio lungometraggio, in cui si incrociano ben tre storie: un uomo che racconta del proprio singolare lavoro ad un altro personaggio del quale, inizialmente, non sappiamo nulla. Matt, infatti, si occupa di dare suggerimenti ai ragazzi più introversi sfruttando un collegamento in realtà aumentata, e dando loro suggerimenti in tempo reale durante le feste per migliorare l’approccio. Il personaggio agisce come una vera e propria voce interiore, in grado di guidare un nerd a socializzare con la ragazza che più gli piace. Non appena le cose sembrano mettersi al meglio, il ragazzo scoprirà che la partner è affetta da schizofrenia e lo costringerà a suicidarsi con lei. La seconda storia è ancora più inquietante: Matt afferma di lavorare per una multinazionale che installa dei chip (nel film vengono chiamati cookie) adibiti a monitorare il comportamento di una persona ed estrarne, letteralmente, la coscienza: in questo modo “l’anima” della stessa potrà essere incaricata di effettuare lavori domestici sfruttando un dispositivo di domotica avanzata. Il focus è incentrato sul fatto che queste “vite” replicate artificialmente possano, come nella tradizione di Blade Runner, ribellarsi e rifiutarsi di eseguire gli ordini per cui sono state programmate, ponendo un dilemma etico che partì con il celebre articolo speculativo sulle “macchine pensanti” scritto da Alan Turing (Computing Machinery and Intelligence, 1950).

Molti sono i dettagli dell’episodio che evocano i classici del cinema, a partire da quelli diretti da Terry Gilliam a finire con l’alienazione di certi personaggi kubrickiani, in particolare di Alex di Arancia meccanica (“La gazza ladra” di Rossini, in tal senso, è piuttosto evocativa). È interessante andare a vedere quali siano state le ispirazioni in fase di sceneggiatura, perchè Brooker ha dichiarato di essersi ispirato alla claustrofobia dei film di zombi romeriani, ma anche alla serie TV classica The Twilight Zone a cui, in generale, Black Mirror si ispira.

Si arriva finalmente ad una quadra che spiega la situazione iniziale: viene chiarito come le autorità prevedano la possibilità, in caso di conflitti tra le persone, di bloccare nella vita reale qualsiasi conoscente, esattamente come potremmo fare su Facebook o Whatsapp. In seguito si scoprirà che la chiave dell’episodio è legata alla figura ambigua (affabile quanto mentitore) di Matt, che riveste un ruolo fondamentale per capire appieno chi sia il proprio coinquilino. Sul finale, al netto di un doppio twist degno del miglior Dario Argento, la tecnologia di blocco delle persone viene portate alle estreme conseguenze: Matt non viene visto (come ci si potrebbe aspettare) come l’eroe della storia, tantomeno come figura anti-eroica, hacker o anti-sistema, bensì (brutalmente) come un vero e proprio criminale, bloccato dal genere umano per il resto della sua vita. La tecnologia viene in sostanza utilizzata, in questa realtà distopica, come strumento puramente oppressivo, per punire i colpevoli senza possibilità di redenzione o riscatto, isolandoli dal mondo e suggerendo anarchicamente che, in fondo, collaborare con le autorità non convenga a nessuno.

NosediveCaduta libera

Diretto da: Joe Wright, Scritto da: Charlie Brooker, Michael Schur, Rashida Jones

La terza serie di episodi di Black Mirror si apre con Caduta libera, il quale immagina il consueto mondo distopico in cui è possibile, mediante smartphone i apposite lenti installare direttamente nel bulbo oculare, votare le persone che si conoscono. Gli individui ottengono, ricevendo le valutazioni più alte, vari vantaggi dal punto di vista sociale: Lacie, ad esempio, mira ad ottenere almeno 4.5 per poter usufruire di uno sconto sull’acquisto della nuova casa. Sembra di assistere ad una versione in realtà aumentata di un social come Facebook, in cui tutti si mostrano ostentatamente felici e, soprattutto, l’insoddisfazione e la rabbia sono bandite (un rating troppo basso, peraltro, sembra avere conseguenze gravi di esclusione sociale). È molto mirata anche la scelta del vestiario (Lacie evoca apertamente la “donna perfetta” modello anni 50) e dell’ambientazione (gli uffici sono scintillanti e futuristici quanto, a ben vedere, tanto asettici da sembrare disumani).

I comportamenti dei personaggi sono quasi sempre ipocriti ed ostentati, condizionati ossessivamente dal pensiero di essere giudicati male dagli altri e perdere, per questa ragione, rating attraverso il folle calcolo che attribuisce un punteggio univoco ad ogni persona. La storia finirà per degenerare dopo la scelta della protagonista di perdonare l’amica di infanzia (Naomi) con la quale non era più in rapporto da anni. Il tutto viene fatto per un reciproco calcolo opportunistico: le due donne puntano esclusivamente ad avvantaggiarsi a vicenda senza che, dal punto di vista umano, ci sia alcun interesse reale l’una per l’altra. Nel libro di Kenneth Smith Ctrl+C, Ctrl+V (scrittura non creativa), del resto, questo è uno dei punti chiave del capitolo sull’iperrealismo: nell’era dei social non esiste più alcun Io, siamo tutti frutto di ciò che viviamo, interiorizziamo, guardiamo o leggiamo – e, soprattutto, è impossibile distinguere tra chi è davvero se stesso e chi, invece, una proiezione immaginaria costruita a tavolino per piacere a qualcuno. Seguendo tale falsariga pessimista, ad un certo punto, quell’assurda riprova sociale finirebbe per avere un perchè: proprio in nome di un meccanismo spersonalizzante in cui, ad oggi, non avrebbe nemmeno senso parlare di coerenza (o esporlo come valore distintivo dato che, anch’esso, probabilmente deriva da qualcos’altro che non è nostro e che in pochi capirebbero).

Un episodio forse penalizzato dall’eccessiva lunghezza, che si configura anche stavolta – tutto sommato – come perfettamente riuscito, specialmente per il grottesco e liberatorio finale.

Immagine di copertina di: Eippol – screenshot autoprodotto, Copyrighted, Collegamento

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