Film sui social network: Unfacebook (S. Simone, 2011)

La vita di provincia nella cittadina pugliese di Manfredonia si consuma tra cellulari, social network e droghe: il prete del paese ascolta periodicamente le confessioni dei suoi parrocchiani e si convince di doverli purificare dal peccato. Nel frattempo iniziano una serie di morti orribili (apparenti suicidi, almeno all’inizio), assieme ad alcune misteriosi casi di follia omicida…

Prodotto dal prolifico Stefano Simone (classe 1986), è un thriller a fortissime tinte horror tratto da un mini-romanzo di Gordiano Lupi, che si concentra sull’orrore dell’ordinarietà e della vita di provincia. Prodotti di questo tipo, calati completamente nella realtà italiana – così come ad esempio Loro del GALP – rischiano di essere fruibili soltanto dal pubblico nostrano e questo, oggigiorno, è un limite considerevole. Nella pratica, magari grazie ad una singola sequenza cult, in certi casi è un “muro” che si riesce ad aggirare; in fondo pero’ il problema è relativo, in questi termini, visto che in queste fasi non si tratta – senza che questa sia una colpa o un modo per sminuire, s’intende – di omologhi registi con maggior mezzi e sicumera come Zuccon, Boni e Ristori o Albanesi. Inutile quindi, come hanno fatto alcuni, sottolineare fino alla nausea l’eccessiva amatorialità del prodotto in esame visto che, con i mezzi di cui si disponeva, era abbastanza ovvio che dovesse essere così per forza. Questo ovviamente si deve tradurre in un invito a Simone a migliorare sempre di più, senza quindi farsi trascinare in un baratro di ostentata ed autoreferenziale produzione per forza amatoriale, dato che dal punto di vista dei contenuti troviamo davvero tanta roba.

C’è quindi di tutto o quasi, in questo film: su tutto domina la rappresentazione dei sensi di colpa dei “peccatori” del paese, vittime sacrificali della noia, oltre al complessivo degrado ambientale nonchè – forse soprattutto – il moralismo ipocrita che la religione riesce ad imporre in uno scenario di questo tipo, avendo gioco facile nel fare propaganda. Certo, non si tratta di tematiche originalissime o mai sviluppate da nessun altro, ma in fondo il cinema di genere vive anche di questi “ricicli” ed è fondamentalmente giusto così. A questo bisogna aggiungere le buone doti registiche di Simone, bravo in certi momenti a rendere le sequenze – soprattutto quelle più pulp dei suicidi o quella, crudelissima e “tirata” al punto giusto, dell’auto-castrazione – per quanto non riesca probabilmente a far intuire a tutti gli spettatori il vero problema, ovvero la manipolazione a carattere religioso sulle menti degli individui, espletata in chiave “2.0” mediante internet. Una cosa non certo agevole, che solo pochi registi nella storia hanno saputo fare con giusto equilibrio e buon senso del ritmo – penso a mostri sacri come Carpenter ne Il signore del male, e non lo scrivo per fare paragoni improbabili quanto per far capire meglio cosa intendo per “saper rendere l’idea“. Un aspetto quindi non banale che, a mio avviso, avrebbe conferito uno spessore di maggior rilievo ad Unfacebook, che parallelamente si concentra sull’abuso della tecnologia e sulla conseguente spersonalizzazione dei rapporti umani che esso comporta.

Per quanto riguarda i personaggi, un po’ come avveniva in certi classici anni 70, si ha l’impressione che ce ne siano troppi in ballo, e che la maggioranza di essi sia “diluita”, se posso usare questo termine. Tuttavia la conoscenza del cinema da parte di Stefano Simone mi pare del tutto fuori discussione: il prete protagonista, oltre ad essere il personaggio più convincente in assoluto, sembra estrapolato dal suo omologo nel capolavoro “Non si sevizia un paperino”, così come la follia omicida per strada omaggia, forse a livello inconscio, una delle sequenze più celebri de “Il seme della follia” (l’energumeno che cerca di aggredire John Trent a colpi di ascia). Non mancano – visto che di un omaggio al cinema di genere si tratta – vari riferimenti alle sequenze in commissariato puramente da poliziesco all’italiana, da cui Simone ha saputo estrarre varie caratteristiche salienti come il senso di impotenza delle istituzioni, o le figure delle autorità non dotate di acume troppo pronunciato. Il vero problema di “Unfacebook“, a fronte di tutti gli elementi positivi che ho elencato, si registra in due aspetti: da un lato il livello recitativo dei vari interpreti che, con la sola  eccezione del religioso, è sempre piuttosto amatoriale e fa inevitabilmente perdere mordente al film stesso. Dall’altro il leggero abuso di effetti video, probabilmente non molto ben dosati: ad esempio le scene virate sul blu possono anche risultare azzeccate, ma qualche accortezza di più non avrebbe guastato per quanto riguarda l’illuminazione di alcune scene, in certe sequenza un po’ troppo “innaturali”. In definitiva si tratta di un prodotto di discreto livello, non “televisionabile” – e questo non è un difetto, dato che si tratta di horror – e che fa ben sperare per il futuro, a patto di riuscire a trovare mezzi e cast di maggiore qualità.

(si ringrazia sentitamente Stefano Simone per avermi fornito il film)

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