Non è certamente falso sostenere che l’attacco alle Torri Gemelle, quell’ormai celebre 11 settembre 2001, abbia cambiato e stravolto non solo la nostra vita ma anche il nostro immaginario, sociale e culturale. Fortemente influenzati dalle immagini di guerra che eravamo abituati fino a quel momento a guardare soltanto tramite i media, che ci mostravano eventi e paesi lontani da noi non solo geograficamente ma culturalmente, quel giorno tutto si materializzò per la prima volta come qualcosa di reale, tangibile e incredibilmente vicino – complice il fatto che avvenne in quello che è il Paese simbolo della cultura occidentale, gli Stati Uniti d’America. Coloro che assistettero all’attentato alle Torri Gemelle dissero a quegli stessi media che prima di allora erano soliti riferire soltanto delle cronache più esotiche che ciò a cui avevano assistito “sembrava un film”. La fantasia e i media avevano per la prima volta nella storia del mondo occidentale invaso la realtà: era dunque necessario un cambiamento; nulla poteva continuare a essere come prima semplicemente perché nulla era più come prima.
L’attacco alle Torri Gemelle fu infatti visto come una vera e propria invasione dei propri confini sicuri: nella concezione statunitense, fortemente influenzata dal puritanesimo che crede nella predestinazione della nazione, l’altro, l’alieno, l’estraneo, che penetra nei all’interno dello Stato, inteso come luogo sicuro, attaccandone i punti più riconoscibili (e quindi l’essere americani) rappresenta una minaccia che va necessariamente combattuta. A invasione si risponde con un’altra invasione: gli Stati Uniti dislocarono le proprie truppe militari nei territori da dove la minaccia che aveva colpito la cultura e la storia americana nel vivo era nata e, a loro volta, attaccarono l’altro in casa propria.
Le cose cambiano, quindi, anche per quanto riguarda l’immaginario mediatico per andare di pari passo con la storia del Paese, come già accaduto in passato, e il cinema non è da meno. Se infatti il sottogenere slasher nasce in risposta al sentimento di frustrazione e oppressione che aveva generato la guerra in Vietnam, con i conseguenti traumi che derivarono dall’essersi trovati faccia a faccia con la morte, ora che non ci si può sentire più sicuri in casa propria il cinema horror si reinventa con l’home invasion.
È in questa fetta di cinema horror che si colloca Knock Knock, film del 2015 di Eli Roth che, dopo averci fatto accapponare la pelle agli inizi del terzo millennio con la saga di Hostel, “torna” nella patria americana per dedicarsi a un’altra pellicola dove la tensione sessuale si muove sulle stesse frequenze della paura e dell’angoscia. Diciamolo subito: questo film non è di certo brillante né in alcun modo innovativo; non è un capolavoro del genere, anzi è la classica pellicola che si guarda per passare un paio d’ore in totale relax, finalmente staccando il cervello dal logorio quotidiano, oppure durante una serata con amici. Eppure riesce a invogliare chi guarda ad andare fino in fondo, per scoprire fin dove si spingerà la follia di Ana De Armas e Lorenza Izzo ai danni di Keanu Reeves. Il celebre Neo di Matrix qui interpreta Evan Webber, un architetto che durante la festa del papà resta solo in casa perché moglie e figli vanno in vacanza; ma non riuscirà a godersi troppo a lungo la solitudine perché durante un temporale bussano alla porta le all’apparenza ingenue e indifese Genesis e Belle, che prima sedurranno Evan e poi inizieranno con lui un crudele gioco del gatto e il topo, mettendolo alle strette e facendolo sentire intrappolato in casa propria.
Eli Roth, forgiato ormai da anni dalla tempra dell’horror, conosce benissimo il genere e il mezzo cinematografico e decide in questo film di utilizzarli a proprio piacimento per raccontare una storia in cui i ruoli si ribaltano, e prendere le parti delle persone coinvolte diventa tremendamente difficile. Il regista decide di partire da quello che è il principio generatore della vita stessa, ovvero il sesso, e di ribaltarlo: in Knock Knock diventa motivo di minaccia e di paura, qualcosa che più che al sentirsi pienamente vivi avvicina alla morte. Tramite l’atto sessuale, infatti, Evan mette totalmente a repentaglio la propria dignità e la propria vita poiché, come insegna la tradizione slasher, soddisfare i propri appetiti sessuali equivale ad abbassare le proprie difese e a correre un rischio, mettendosi più o meno inconsapevolmente in pericolo. Evan sa che ciò che sta facendo è sbagliato, ma decide comunque di assecondare i suoi istinti più bassi, ed è tramite gli stessi che si ritroverà da una posizione privilegiata (quella di fare sesso con due bellissime ragazze giovani) a una totalmente opposta. E proprio il ribaltamento ritorna a più riprese nel film di Roth, focalizzandosi su quegli elementi canonici che sono alla base dei classici horror: in una posizione di svantaggio si trova l’uomo forte e adulto, mentre la minaccia è rappresentata da due ragazze giovani e attraenti; la casa e la famiglia vengono oltraggiati e a uscirne indenne è un duo a orologeria, fatto di sensualità e follia, pronto a esplodere in quello che è alla fine un vero e proprio schema, un progetto molto più grande che non può non lasciarci sorridere malignamente in un finale che, a cineprese spente, immaginiamo essere ancora più violento ed esplosivo di quanto visto durante tutto il film.
I’m a witch: a woman in total cinematic hysteria.