Quella casa nel bosco: il meta-horror di Goddard con parvenze cine-fumettare

Cinque amici hanno programmato il weekend in una casa immersa nel bosco: molto presto il senso di isolamento finirà per prevalere.

In breve. Un excursus horror dai toni vagamente da cine-comics, che gioca con gli stereotipi dell’horror ed è, a suo modo spudoratamente citazionista. L’impianto della storia si ispira ai classici anni settanta/ottantiana: The cabin in the woods diverte ed intrattiene, ma soprattutto se si colgono le innumerevoli citazioni; diversamente è solo un horror bizzarro, fuori dalle righe e con un finale delirante (ed una clamorosa, ulteriore, citazione). Da non perdere.

Recensione da blog di cinema impegnato. Diretto dalla sceneggiatore di Cloverfield (al suo esordio registico), “Quella casa nel bosco” evoca a partire dal titolo il feeling delle pellicole exploitation/horror del passato (La casa, La casa 2, Quella villa accanto al cimitero) strizzando l’occhio a quelle più splatter di ultima generazione (ad esempio La casa dei mille corpi, per quanto – a livello strutturale – anche il meno noto ed onirico The Shock Labyrinth). Del resto trovare le ispirazioni di un film del egenre può diventare un autentico divertimento per qualsiasi recensore o spettatore: si citano a man bassa – oltre alle efferatezze di Hooper ed allo scantinato con un libro misterioso di Raimi – anche i cenobiti ed il box magico di Hellraiser, una generazione e mezza di monster movie, il clown mostruoso di Stephen King (IT), i morti viventi di ogni ordine e grado – inclusi quelli acquatici, e la claustrofobia di Cube. Senza dimenticare le tipiche bambine inquietanti, e soprattutto gli unicorni assassini (sic).

Ce n’è abbastanza, isnomma per esaltare i più appassionati o i neofiti del genere horror bizzarro (e non buzzurro), ed altrettanto per il classico “sollevamento di sopracciglia” da parte degli spettatori più navigati. Del resto l’intento di “Cabin in the woods” sembra essere stato quello di rappresentare l’orrore del pubblico stesso nel raffrontarsi con i propri anti-eroi e mostri preferiti, ma quello che trasuda superficialmente finisce per essere sopravvalutato. Il film è ben assemblato, questo va riconosciuto – per quanto l’idea di stilizzare in modo hoolywoodiano un vero e proprio b-movie sia, di fatto, vagamente fastidiosa – e l’idea di fondo non è affatto male: evoca in parte le drammatiche conclusioni di film come La morte avrà i suoi occhi, evitandone le considerazioni più seriose e limitandosi a rappresentare quelle più divertenti o spettacolare. Una prova di horror a discreto livello, che smentisce il luogo comune per cui il tono di questi film sia per definizione cupo o brutale.

Tuttavia, a ben vedere, le orde di zombi che escono fuori un po’ a casaccio, unite ad un assortimento di sorprese e morti inattese (per quanto esse ricalchino la struttura “cattiva” dei migliori horror del passato), risultano alla fine dei conti un esperimento che potrà piacere solo ad una parte di pubblico: le conclusioni finali, con la citazione esplicita dei Grandi Antichi che governano il mondo (Lovecraft, dove sei?) possiede a mio avviso un qualcosa di insipido, soprattutto da parte di chi non ha mai letto nulla dei suoi racconti (ed è strano che un fan dell’horror non l’abbia fatto: ma il cinema è per definizione per tutti, e bisogna prenderne atto).

Del resto l’autoparodia delle leggendarie “ragazze discinte pronte ad essere massacrate”, l’audace bagno nel laghetto – vedi Crystal Lake, l’archetipica cantina dell’orrore, la lettura della formula in latino capace di provocare guai (si veda ad esempio Zombi 4 di Claudio Fragasso), la citazione artificiosa di Ringu e – udite, udite – l’idea stessa di barricarsi in casa (idea mutuata da La notte dei morti viventi, ovviamente) rischia di creare un cocktail parzialmente senza gusto, micidiale per la salute psico-fisica dello spettatore, perso in almeno una decina di citazioni che servono poco (o nulla) alla trama stessa.

Alla fine dei conti, comunque, il contesto relativamente leggero rende la pellicola godibile nel suo insieme, anche se (in buona parte dei casi, secondo me, e senza voler sembrare passatisti ad oltranza) finiremo per rimpiangere con nostalgia i tempi in cui l’horror sapeva (o voleva) essere meta-cinema senza ostentarlo.

Recensione cruda e senza fronzoli: cinque tardo-adolescenti (trentenni con pulsioni da sedicenni) decidono di passare il weekend in una capanna isolata nel bosco, e questo perchè erano troppo benestanti e si annoiavano. Presto entreranno in un circo dell’orrore e dell’assurdo, degno di quello di Tobe Hooper e frammisto ad assurdità fisico-geometriche degne di Vincenzo Natali. Anche i caratteri dei personaggi sono volutamente preimpostati: il fattone (che in questi film non manca mai), la tizia carina ma ragionevole, la tizia carina ma esagerata in tutto, il protagonista con il mondo ai suoi piedi – o quasi – e naturalmente il tipo razionale un po’ “bello de mamma sua“, che sa rigorosamente prendere la giusta strada.

Isolati dal mondo esterno ed immersi in un mondo che non comprendono (il che si presta a letture colte, ma anche no!), saranno destinati a morire (forse) in modo doloroso e completamente gratuito. Vasto assortimento di mostruosità per tutti i palati.

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