Cam: appagati e inermi di fronte al voyeurismo meta-cinematografico
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Nel 2018 la scrittrice Isa Mazzei scrive una sceneggiatura basata sulla sua esperienza personale come ex cam girl: un argomento pruriginoso che da una parte, proprio per questa caratteristica, può affascinare; dall’altra, invece, deve essere trattato con attenzione, perché è un attimo che venga trattato superficialmente e con quella patina un po’ trash e volgare che spesso contraddistingue il porno.

Isa Mazzei, invece, dà un twist alla sua esperienza e la catapulta in uno scenario del tutto nuovo e originale per un argomento di questo tipo. Sceglie, infatti, di scrivere un film horror. Certo, siamo ormai decisamente abituatə a chi ci mette in guardia dai pericoli di internet, ma Mazzei, probabilmente conscia del successo che in precedenza ebbe un esperimento come Unfriended, fa propria la lezione e ci regala una sceneggiatura decisamente originale dove il pericolo del reale si fonde con quello del virtuale. Il risultato ottenuto è Cam, diretto da Daniel Goldhaber e interpretato da Madeline Brewer, prodotto dalla Blumhouse (specializzata in film horror, tra cui le saghe di Paranormal Activity e di Insidious) e distribuito in Italia da Netflix.

La protagonista del film è Alice Ackerman, una ragazza che si mantiene come cam girl su un sito specializzato, in cui è conosciuta come Lola_Lola. Il suo obiettivo è quello di far diventare i suoi show talmente popolari da raggiungere le prime posizioni della classifica: realizza così spettacoli sempre più originali ed estremi (fino a inscenare addirittura il proprio suicidio), e la scalata alla classifica diventa ben presto un’ossessione che si infrange il giorno in cui scopre che l’account le è stato rubato da quella che sembra essere letteralmente una sua sosia. L’oggetto dell’ossessione di Alice cambia radicalmente, poiché disperatamente angosciata e incapace di trovare aiuto inizierà una vera e propria indagine che capovolgerà completamente la prospettiva della sua esistenza.

Cam è un film che, come già il titolo e la trama suggeriscono, ruota attorno allo sguardo e all’immagine femminile. Il corpo è infatti l’elemento centrale e viene mostrato in ogni modo e in ogni situazione, facendo percepire un totale ribaltamento dei punti di vista: se da una parte infatti Alice è inizialmente desiderata come oggetto del piacere, successivamente si troverà in prima persona a desiderare il proprio corpo (o l’immagine di esso) da spettatrice impotente. Questo dettaglio la accomuna ai suoi iscritti e trasforma completamente la sua ossessione, mostrandole quindi il suo corpo come un semplice oggetto alla mercé di chiunque voglia approfittarsene. Alice infatti, mostrandolo su internet, rischia di non esserne più padrona e, nell’era digitale, letteralmente di smaterializzare la propria identità a uso e consumo di chiunque.

Reale e digitale si fondono, non rendendo possibile capire cosa è veritiero da cosa invece è soltanto frutto della propria immaginazione. Davanti l’obiettivo della webcam, tutto si mostrava agli occhi di Alice con un aspetto giocoso e naïf; dall’altra parte, invece, quando si trova a guardare, tutto ciò che sembrava irreale diventa tangibile, e viceversa.

Il corpo femminile è mostrato come simbolo dell’ossessione più estrema, totalmente vulnerabile e completamente indifeso. Sinonimo di bellezza e piacere, ma anche di pericolo e di vendetta verso la “legittima proprietaria”. E sicuramente il concetto di vendetta rende Cam decisamente attuale, facendoci associare immediatamente i suoi temi e le sue immagini a un problema sociale sempre più diffuso e pericoloso, quello del revenge porn, in cui l’immagine sessualizzata precedentemente diffusa da una persona cosciente e consapevole viene utilizzata senza il suo consenso come ritorsione e vendetta. Il risultato è che, chi dapprima era totalmente padronə del proprio corpo, con il revenge porn viene completamente depersonalizzatə e arriva a vergognarsene, a non considerarlo più qualcosa di proprio e a odiarsi. In effetti Alice nel corso del film con il furto del suo account subisce delle conseguenze analoghe: la sua immagine, intima ma allo stesso tempo pubblica, viene totalmente violata; non è più padrona delle sue scelte e dei suoi gesti, bensì in mano a un pubblico che è potenzialmente in grado di fare di lei ciò che vuole, e ciò la porta a isolarsi del tutto e a diventare paranoica e totalmente ossessionata dalla sua immagine che, prima e dopo il fatto, ha ossessionato allo stesso modo gli spettatori.

Entrano in gioco in Cam, in questo senso, anche le dinamiche voyeuristiche. È lapalissiano che sia un film costruito per il piacere visivo, grazie a una fotografia e a una sceneggiatura che ammicca a chi sta guardando, proprio come se si trovasse di fronte allo show di una cam girl. Ancora una volta, realtà e finzione si uniscono; non esistono più due tipi di spettatori – dentro e fuori la storia – ma soltanto uno, che sta a guardare come procedono gli eventi con curiosità, pretendendo di sapere (e di vedere) sempre di più. Cam, oltre che una critica sociale, è un film quindi decisamente cinematografico, poiché pone l’atto del guardare al primo posto.

Come tempo prima fece anche un certo Alfred Hitchcock con La finestra sul cortile, il film di Goldhaber è un vero e proprio trionfo della scopofilia metacinematografica, dove tutto è messo in scena come uno spettacolo atto a soddisfare il piacere visivo di chi lo guarderà, e che spinge a chiederci se effettivamente esista durante la nostra giornata anche solo un momento in cui non siamo osservati e, soprattutto, in cui siamo pienamente i padroni consapevoli del nostro corpo e delle nostre scelte.

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