Qualche tempo fa (in tempi non sospetti, si usa scrivere in questi casi) Gmail aveva iniziato a chiedere i numeri di telefono ai propri utenti. In molti avevano visto questa richiesta con sospetto: il reale motivo era legato all’attivazione di un secondo recapito, che fosse utile agli utenti stessi qualora si fosse dimenticata la password. Ma col telefono era anche possibile l’autenticazione a due fattori, che richiede uno smartphone per funzionare e all’inizio funzionava soprattutto via SMS. Molti utenti non volevano “dare il numero di telefono” a Google, di fatto, per quanto non fosse una questione di privacy e – evidentemente – Google già mandasse pubblicità agli utenti anche senza numero di telefono. Un caso di tecnofobia da manuale, che Google arginò (senza superarlo del tutto, evidentemente) spiegando in modo trasparente come funzionavano le cose, per chiunque avesse voluto prendersi la briga di controllare (documentazione trasparente e quasi sempre inequivocabile, da quelle parte) La paura venne così superata, almeno in parte, grazie alle capacità divulgative e comunicative dell’azienda, su larga scala, cosa provata dall’ampio utilizzo dei servizi di Google da parte di molti di noi sul pianeta nonostante “ti chiedano il numero di telefono“.
Con IT Alert sta succedendo la stessa cosa, in un certo senso: il sistema di notifica nazionale in broadcast viene usato in caso di calamità e situazioni di emergenza a livello regionale, e consiste in un avviso a cui non è possibile rispondere ma soltanto prenderne atto. Senza nemmeno, quindi, la possibilità di dare un feedback da parte degli utenti sulla ricezione, e con qualche dubbio sull’efficienza tecnica della soluzione proposta dalla Protezione Civile (alcuni smartphone non hanno ricevuto la notifica al momento del test, da quello che sappiamo, pur non avendo mai disabilitato nulla). La gente diffida e in molti casi ha paura, va nel panico al punto di chiedersi come disabilitare IT Alert. La differenza, forse, è che la strategia di comiunicazione e divulgazione tecnologica usata in questo caso (che risponderebbe alla domanda “perchè facciamo questo”) non permette alle persone di capire, a parità di distribuzione del servizio, sia pur mediando tra livelli economici, culturali e social molto diversi tra loro come nel caso di Google. IT Alert scende dal cielo in pompa magna e non riesce, per qualche strana ragione, a farsi capire del tutto. Eppure: IT-alert è un nuovo sistema di allarme pubblico per l’informazione diretta alla popolazione, che dirama ai telefoni cellulari presenti in una determinata area geografica messaggi utili in caso di gravi emergenze o catastrofi imminenti o in corso. IT-alert è attualmente in fase di sperimentazione.
La gente sembra in discreta percentuale aver paura di IT Alert. In parte per la paura dell’ignoto in senso lovecraftiano, senza dubbio (catastrofi imminenti, ad esempio, ha fatto pensare alle teorie del complotto sul controllo dei terremoti). Ma c’è pure dell’altro. Sappiamo ad esempio che esiste un gruppo Telegram che propina teorie del complotto a riguardo (molte migliaia di iscritti), e che insegna aranzullianamente come disattivare le notifiche IT Alert per sempre, addirittura rimuovendo forzosamente da Android la notifica stessa, grazie ai soliti smanettoni che si dannano l’anima in questi casi per trovare un modo per farlo. Non sarebbe male che qualche tecnocrate governativo venga a spiegarci perchè auto-craccarsi il telefono è una pessima idea in generale, ma figurarsi: meglio che lo faccia qualche Youtuber. Poi pero’ non ci lamentiamo se queste persone confondono deliberatamente un’azienda privata con un’istituzione pubblica, perchè la delega è stata fornita indirettamente dal pressappochismo.
C’è da riflettere su un po’ di cose, peraltro:
- sull’ennesima ri-normalizzazione del complottismo, ormai radicato e parte della cultura italiana a livello trasversale (ricicliamo il termine diagonalismo, comparso nel 2021 per sottolineare come no mask, no vax e compagnia fossero di qualunque partito politico, di destra come di sinistra);
- sul fatto che esiste una teoria del complotto per qualsiasi cosa, il che non depone in favore della loro credibilità (accogliamo, per inciso, l’idea proposta da Wu Ming 1: non chiamiamole più “teorie” bensì “ipotesi di complotto“, le teorie sono ben altro – e sono ben più nobili);
- l’atteggiamento medio (qualora sia borioso e ostenti superiorità intellettuale) di tecnocrati e addetti ai lavori in genere non è d’aiuto, in generale: non è ridicolizzando quelle persone (o peggio, ostentando il proprio sapere alla plebe) che riusciremo a far loro capire a cosa serva IT Alert (e perchè debba funzionare anche senza internet e senza segnale: se c’è un’emergenza, i cellulari potrebbero non funzionare);
- a dispetto del punto 2, la radicalizzazione di chi tende a credere al complotto è sempre più marcata, e non è da escludere che possa dipendere anche dall’atteggiamento da debunker oltranzisti propinato da troppi: in un gruppo Telegram a tema tecnologie molto popolare a cui sono iscritto, ad esempio, i no IT Alert (secondi solo ai no QR code, quelli che sarebbero contrari ai menu digitali e restano in favore di quelli cartacei) venivano biecamente insultati e trattati come dei poveracci da trattare con il TSO. Questo alla lunga non farà altro se non alimentare la paranoia da sindrome di accerchiamento, e poco perorerà la giusta e sacrosanta causa del razionalismo. Non solo: chi parlerà crudamente di quegli argomenti e di quanto siano idioti A, B e C, senza nemmeno provare a dialogare “in diagonale”, non farà altro se non parlare con chi già la pensa come lui, barricato nella proprio bolla autoreferenziale da debunking. E come dire, tutto questo non servirà praticamente a niente.
- No, i social non sembrano propriamente responsabili della diffusione di questo genere di idee, per quanto ne siano il vettore prediletto e più immediato. Del resto confondere, anche qui, mezzo di diffusione con causa dell’evento è preoccupante quanto prendersela con la TV se la propria squadra del cuore perde.
Chi scrive non pensa che si debba boicottare IT Alert, ovviamente, ed anche il fatto di doverlo specificare a scanso di equivoci depone a favore di un altro aspetto rilevante, in questa vicenda: molte istanze di privacy reali come il sistema di credito sociale (in parte raccontato da Black Mirror) sono certamente da discutere e da criticare, ma vengono messe nello stesso calderone dei microchip nei vaccini, delle scie chimiche o del culto religioso di Spider Man. Ed è chiaro che questo depotenzia le istanze critiche che sono lecite, banalizzando la questione come fosse tutta roba da sfigati che credono nei complotti (quando invece, ancora: bisognerebbe discernere e spaccare il capello in quattro, perchè altrimenti il mostruoso passo successivo sarà quello, prima o poi, di considerare Edward Snowden e Julian Assange come complottisti).
Gran parte delle istanze diffuse nei gruppi Telegram di quel tipo sono ovviamente viziate da bias cognitivi e rispondono al vecchio mantra I want to believe (un po’ come in certa ufologia spicciola, credere agli UFO è questione di fede, non di prove effettive), per cui non è facile intervenire. Il complottismo è soprattutto fideismo, a nostro avviso, e finchè non si capirà questo e non si troverà una dialettica che sia adeguata a penetrare nelle sue maglie ogni discorso che faremo sarà inevitabilmente svolto di fronte allo specchio.
Ecco perchè il problema non è IT Alert, alla fine: nè tantomeno è l’ennesima cricca di bastian contrari che si riunisce spontaneamente su internet, sfruttando bolle social e onorando le sempre sottovalutate regole di internet. Ci sono sempre state e sempre ci saranno, in questi anni, e con loro bisogna imparare a comunicare in modo adeguato. Il problema, semmai, a nostro avviso, è soprattutto quando un messaggio istituzionale (quale la nascita di un sistema di emergenza per la trasmissione in broadcast) viene comunicato in modo tale da essere confuso con l’ennesimo messaggio pubblicitario, propinando spiegoni certamente in italiano quanto non comprensibili a chi sarebbe più interessato a capire. Con il rischio classista che si creino elites intellettuali di tecnocrati vs popolino che al massimo usa Facebook, e non sa distinguerlo da Tinder, da Google o da Instagram.
Chi ha fatto IT Alert, del resto? Google? Android? La Protezione Civile (risposta corretta, ndr)? Il Governo? Le regioni? Facebook? Elon Musk? È questa deliberata confusione tra aziende private che pensano ai propri profitti vs. governi (che a volte danno grottescamente la stessa impressione) a confondere molti di noi. È questo basculare paranoico tra il programma Quark e la pubblicità stupidotta delle caramelle, tra una ad pubblicitaria e un comunicato stampa ufficiale a disturbarci, a non far capire, a confondere, a generare la paura in molte persone. Forse sarebbe il caso di iniziare a trattare chi crede in quelle ipotesi di complotto come persone spaventate e confuse, prima ancora che come imbecilli (e chi cita ancora una volta Umberto Eco, per una volta, farebbe meglio a tacere).
Non basta capire, ovvio che bisogna agire: come non mi è ancora chiaro, sono onesto. Ma va fatto, in qualche modo. (immagine di copertina generate da DALL E)
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