Jessica Barrett è la moglie incinta di un discografico di San Francisco; la gravidanza inizia ad assumere contorni inquietanti, ed un medico amico della coppia se ne interessa …
In breve. Rip-off chiaramente ispirato a L’esorcista, e (solo in parte) a Rosemary’s baby di Polanski. Di suo, non dovrebbe avere troppi motivi di interesse: eppure la storia è accattivante e, come si conviene, sinceramente nichilista (ancor più che nelle pellicole citate). L’artigianalità degli effetti – che provano ad ogni costo ad imitare il capolavoro di Friedkin – va a braccetto con il tentativo spontaneo di riprendere il successo di un cult. La figura del prete esorcista viene a mancare e viene rimpiazzata da quella del medico, oltre alla figura di un inquietante guru.
La scarsa simpatia del pubblico (per non parlare della critica: Roger Ebert scrisse che questo film è “fastidiosamente inappropriato di fronte ai propri orrori“, bollandolo notoriamente come “scary trash“) nei confronti di “Chi sei?” – se non altro, uno dei titoli più suggestivi del cinema horror del periodo – deriva dal suo carattere fin troppo derivativo. Non c’è da meravigliarsene: nel 1968 era uscito Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York, appena un anno prima L’esorcista. Eppure quello di questo film è un soggetto scritto a quattro mani da Assonitis / Troiso, che tengono parecchio in considerazione sia il film di Polanski che il modello di Friedkin ma finiscono, piaccia o meno, per sviluppare un soggetto piuttosto originale.
Certo, sarà impossibile non pensare almeno una volta ai modelli di riferimento, da cui la regia non ha voluto distaccarsi troppo, e gli effetti speciali, visti oggi, rischiano solo di far sorridere. Eppure, se collocato nel contesto dell’epoca, e con la promessa solenne da parte dello spettatore di non prendere a pugni la propria sospensione di incredulità – la stessa che Coleridge chiamerebbe “fede poetica” – i presupposti per passare circa due ore con uno dei migliori rip-off horror del periodo ci sono eccome. Partendo da una situazione di totale normalità, il film è molto abile, infatti, a farla degenerare grazie all’intervento del maligno, di cui arriviamo a sentire la voce all’inizio del film a mo’ di introduzione. La sua presenza, labile e mutevole come tradizione impone, si ramifica in modo del tutto imprevedibile all’interno della narrazione, arrivando ad insinuarsi, nel finale, dove tutti (o quasi) temiamo possa essere finita.
Uno dei principali motivi di interesse di questo film è a livello narrativo: manca, infatti, la figura del prete esorcista, l’eroe-tranquillante che ha reso famoso il film di Friedkin, tanto da meritarsi la celebre locandina. La stessa figura che, personalmente, mi ha fatto diffidare dal successo del film stesso, ipervalutato da generazioni di pubblico che hanno bollato come “scary trash” qualsiasi tentativo di riprendere il tema. Assonitis e Troiso se ne sbarazzano del tutto, sostituendolo con la figura del medico, pacato e razionalista, che segue la gravidanza della protagonista: questa, dal mio punto di vista, è una scelta coraggiosa e senza pari. Senza alcun riferimento alla religione, infatti, i tratti di “Chi sei?” diventano tanto inquietanti da far sembrare la presenza del maligno realistica ed inestirpabile.
Della possessione satanica in sè, del resto, si evidenziano all’inizio le spaccature prodotte sulla famiglia, classico ceto medio americano, con due genitori troppo presi da se stessi per occuparsi dei figli (e della loro stessa relazione). Nella seconda metà di “Chi sei?” si passa alla possessione vera e propria, e saranno proprio i due bambini a subirne le conseguenze per primi: la sequenza in cui i peluche della camera iniziano a muoversi, nella sua orgogliosa artigianalità, non lascia indifferenti, ed è costruita con un ritmo eccellente.
Aspetto molto sottovalutato di questo film, del resto, è il lavoro al montaggio di Angelo Curi, che costruisce parecchie sequenze alternando vari momenti temporali, costruendo bellissimi flashback che finiscono per diventare caratteristica determinante della narrazione. Come nelle sequenze iniziali, ad esempio, in cui la band che sta suonando i titoli di testa si ferma, interrotta bruscamente dal produttore, ed i titoli con lei. Da ricordare, in proposito, le belle musiche di Franco Micalizzi, classico groove anni 70 dal sapore sinistro, nulla da invidiare al celebre tema di Mike Oldfield.
Il cast, a differenza di altri omologhi che soffrono a volte della mancanza di interpreti credibili, è di tutto rispetto: l’ottimo Gabriele Lavia (che girerà l’anno successivo Profondo rosso) al sulfureo Richard Johnson, il guru che si offre di aiutare Jessica poichè, in passato, ha fatto un patto col diavolo. Juliet Mills, poi, composta e tormentata interiormente (da un punto di vista razionale, è proprio il ricordo dell’affascinante guru con cui ha avuto una relazione a turbarne la tranquillità familiare) appare credibile come donna borghese progressivamente posseduta dal demonio, finendo per diventare del tutto irriconoscibile (anche grazie ad un trucco di qualità).
Si può ironizzare quanto si vuole, ed il più delle volte a ragione, su difetti e scopiazzature di un film su cui, ancora, il critico Roger Ebert ironizzò financo sui suoni della possessione, che – a suo dire – “sembravano fuoriuscire da un sistema di ventilazione“. Ma la sostanza non cambia, e questo “Chi sei?” continua, ancora oggi, ad essere uno dei b-movie più citati, se non altro, del genere.
(fonti: Roger Ebert)
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