Fermate il mondo, voglio scendere era un film del 1970 con Lando Buzzanca e Barbara Steele, impreziosito dalla colonna sonora di Piero Piccioni in salsa fusion. Diretto da un poco conosciuto Giancarlo Cobelli esce nelle sale italiane il 9 ottobre del 1970, e racconta di un gruppo di giovani contestatori che tentano di sfondare nel mondo dello spettacolo, conformandosi progressivamente all’andazzo che era stato oggetto di protesta. Chi volesse fermare il mondo oggi, del resto, potrebbe pensare di partire dalla politica, cosa che sarebbe più che logica e coerente, a meno che non si cerchi rifugio nell’anarchia quale unica via. Di fatto, fermare un mondo sempre più fuori tempo e sempre più di corsa, votato al nasci-produci-crepa che fu oggetto delle stesse contestazioni di cui sopra, sembra quantomeno poco agevole: sia perchè molte forze presunte antagoniste sono scomparse (o peggio, sono diventate sistemiche), sia perchè la protesta costa impegno e fatica proprio perchè ci sarà sempre qualcuno pronto a farti passare come un perdigiorno o un fannullone.
Non sarebbe male fermare il mondo dei social, in mancanza d’altro, cosa che sembra decisamente più complicata e impegnativa della classica bottarella con cui era possibile sbloccava qualunque flipper o coin-op anni Novanta, proprietario permettendo s’intende. Oggi non esiste un equivalente del genere sui social, o meglio: esiste nella misura in cui il problema è migrato sui nostri amatissimi dispositivi da 600 euro in media, dei quali difficilmente siamo disposti a disfarci.
Per parafrasare Jacques Lacan il desiderio umano è strutturato e mediato dal linguaggio e dalle relazioni che viviamo, che a loro volta si modellano su un mezzo prevalentemente digitale. Il nostro (eventuale, s’intende) desiderio di “fermare il mondo” e sfuggire alle dinamiche della società si scontra con la realtà che queste stesse dinamiche sono parte integrante delle nostre identità, fanno parte dello SPID e degli account social che ci caratterizzano, sono parte del nostro mondo e del nostro modo di interagire con esso. Karl Marx, d’altra parte, ci ricorda che la struttura economica e sociale determina le nostre condizioni di vita e il modo in cui percepiamo il mondo che vorremmo, a volte, mettere quantomeno in pausa, se non fermare del tutto. “Nasci-produci-crepa” che caratterizza la modernità è frutto del capitalistico che abbiamo accettato nostro malgrado come unica alternativa possibile, che finisce per alienare l’individuo riducendolo a un semplice ingranaggio di una macchina che è, prima di ogni altra cosa, puramente economica. Le forze antagoniste che un tempo cercavano di opporsi a questo sistema sono spesso state cooptate o neutralizzate, rendendo la resistenza una sfida ancora più ardua.
E allora se desideriamo realmente “fermare il mondo” o rallentarlo, dobbiamo riconoscere che il cambiamento autentico richiede una trasformazione profonda delle strutture sociali ed economiche che governano le nostre vite. Altrimenti rischiamo di ritrovarci come i giovani contestatori del film, conformandoci appassionatamente – ogni cosa ha il suo prezzo, del resto – a ciò che volevamo fermare.
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