La storia d’amore tormentata tra due ragazzi (Aurora e Rino) fa da scenario ad una spirale di violenza da cronaca nera: un gruppo di sbandati sotto l’effetto di ecstasy prova ad aggredirli mentre sono appartati in un bosco. Dopo poco si avvicina una macchina guidata da altri due sconosciuti…
In breve. L’esordio in chiave splatter di Albanesi: low-cost, cinico, brutale e senza mezzi termini.
Opera di esordio di Gabriele Albanesi che firma soggetto, sceneggiatura e regia, e si avvale di Sergio Stivaletti agli effetti speciali; un lavoro che non è passato inosservato ai vari appassionati di horror sia perchè omaggia i classici del cinema di genere all’italiana – ed è puramente “tarantiniano” in tal senso – sia perchè possiede uno script convincente, anche se non certo inedito. È inevitabile quindi tirare fuori paragoni col passato, a questo punto, e per avere un’idea potremmo citare lo stile di Hooper in “Non aprite quella porta”, il criminale stradaiolo debitore dei vari “Autostop rosso sangue” o “Cani arrabbiati” – senza dimenticare, dulcis in fundo, il Craven insostenibile de “L’ultima casa a sinistra” (in effetti il titolo del film sul mercato internazionale è “The last house in the woods“, quasi a voler evocare questo indispensabile cult).
Cinema “brutto e cattivo”, insomma: mai troppo banalmente horror, e girato con una prospettiva alla Dario Argento di Phenomena, sul quale dobbiamo peraltro limitare le nostre masturbazioni mentali e farci più semplicemente guidare dalla mano insana del regista. Di fatto Albanesi ha proposto scelte vagamente impopolari come, ad esempio, il fatto che non esista un vero e proprio personaggio in cui identificarsi: questo spiazza almeno quanto l’idea di fare un horror italiano di vecchia scuola nel 2006. Uno stile che qualcuno chiamarebbe brutalmente “autoreferenziale” o “citazionista”: del resto, in questa sede, non esiste un reale motivo di biasimo, come illustrato efficacemente da un’intervista ad Albanesi di qualche anno fa per MoviePlayer.
“Volevo fare un film di genere puro, e lavorare all’interno delle sue regole, attuando solo lievi forzature di stile […] il cinema di genere tutto è per forza di cose un cinema manierista, dove cioè non conta l’originalità della storia (che è sempre la stessa), ma la ricerca espressiva e stilistica che vi si nasconde dietro…”(G. Albanesi)
Di fatto questi presupposti sono indispensabili da tenere d’occhio prima di addentrarsi all’interno de “Il bosco fuori“, che rimane un’opera di sostanziale intrattenimento, senza che questo sia minimamente da intendersi come qualcosa di negativo. Un horror di buona fattura, girato con mezzi minimali e letteralmente immerso nel sangue, che rielabora in modo originale vari stereotipi del terrore bilanciando con cura anche gli aspetti più eccessivi (e tra secrezioni, budella, torture e sangue ne abbiamo davvero per tutti i palati). Tra le sequenze più intense almeno un paio sono destinate a rimanere impresse nella memoria dello spettatore, tra cui la crudissima sorpresa finale, le sequenze di mera macelleria della parte centrale ed i continui ribaltamenti di fronte, capaci di conferire un ritmo alla pellicola davvero d’altri tempi (in senso positivo). Altra nota notevole è legata al fatto che nella trama – pur nella sua sostanziale linearità – esistono almeno tre o quattro punti dai quali l’intreccio prende un nuovo sviluppo, diramandosi in ulteriori sviluppi accattivanti pur senza far mai gridare al miracolo, come del resto suggerivo all’inizio. Di fatto tutte le scene clou possiedono, a mio avviso, un che di evocativo, e questo potrebbe divertire il cinefilo più incallito ma disgustare quello meno avvezzo ai collegamenti cinematografici; effetti inevitabili con cui a mio parere Albanesi riesce a fare i conti a testa alta, e senza far segnalare nessun vero e proprio difetto all’interno della sua pellicola (avere pochi mezzi è un vero difetto?). Se poi si va a considerare l’interpretazione dei singoli, è davvero impossibile non segnalare la prestazione convincente della novella scream queen Daniela Virgilio, molto ben caratterizzata e splendidamente calata nella parte. Un po’ più anonimi, invece, risultano essere l’insicuro Rino (Gennaro Diana), a mio parere troppo ostinatamente mite nel proprio comportamento, e la coppia di coniugi che sembra letteralmente “evasa” da un altro film (questo). “Il bosco fuori” vive di un ritmo moderno e martellante, sviluppandosi in modo appassionante per tutti gli amanti del sano horror di vecchia scuola: d’altro canto è intepretato da attori italiani, e questo porterà facilmente alcuni spettatori esterofili a sottovalutarlo o snobbarlo. Ma voi che leggete non fatelo: questo è un buon film, in controtendenza con le melense produzioni nostrane e non merita davvero di essere maltrattato.
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