Ju-on: un eccellente horror indie, senza rancore. Anzi, con tanto rancore

Può il rancore della vittima di un omicidio propagarsi come un virus nell’ambiente?

In breve. Horror indipendente distribuito inizialmente solo sul mercato home video, da non confondersi con il remake americano “The grudge“: assolutamente seminale per il genere, dimostra ampiamente il valore delle (buone) idee rispetto a qualsiasi impianto scenico fine a se stesso. Intenso, essenziale e privo di sbavature: un vero cult.

“Ju-on” (“rancore” in giapponese) segue l’idea che un delitto possa far contaminare l’ambiente circostante del risentimento della vittima, e che possa inoltre avere la capacità di propagarsi all’esterno utilizzando come veicolo gli sfortunati che capitano da quelle parti. Si basa su questi presupposti, al di là della storia specifica, questo piccolo gioiello dell’orrore di poco più di un’ora, distribuito per il mercato home video – e sfruttato ampiamente in una saga piuttosto popolosa – a formare uno dei lavori più citati di Shimizu (futuro regista di Marebito e The shock labyrinth). Nonostante questi primo episodio della saga si presenti in un formato piuttosto amatoriale, per quanto in presenza di interpreti piuttosto convincenti oltre che di effetti ed ambientazione molto ben focalizzati, si tratta senza ombra di dubbio di un film di buonissima fattura, di cui venne subito intuito il potenziale commerciale nonostante rimanga una forte considerazione da fare: Ju-on sa far paura, e probabilmente riesce a farne molta più di qualsiasi suo epigono. Al centro delle vicende narrate (6 storie esposte in ordine temporale e con vari “salti” nello spazio) vi è proprio il rancore, quasi un’entità maligna che si diletta cinicamente ad usare i corpi degli esseri umani per propagarsi (spingendo all’estremo l’idea di fondo de La cosa). Per il resto sono i piccoli dettagli a fare di questo film un oggetto di culto, per quanto in parte ridimensionato – come scrivevo prima – dalla tipologia di formato home-video (ergo non pensato per il cinema): il ragazzino che emette un miagolìo, il cellulare che suona ossessivamente (e fa paura già da solo), la macabra fanciulla privata della mascella e via dicendo. Solo brevi istanti di terrore, alla fine, che si susseguono con una pacatezza – unita ad una vaga frammentarietà degli episodi – che non impedirà certo allo spettatore di godere appieno della visione; ammesso che, ovviamente, l’horror “spiritistico” – già vagamente minaccioso per definizione, ed anche relativamente credibile data l’atmosfera – sia nelle sue corde.

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