“La critica entusiasta, il pubblico allibito, la censura in allarme! Il film è severamente vietato ai minori di 18 anni, perché trattasi di esperimento allucinante ai limiti del proibito. Dato il crudele realismo delle scene se ne sconsiglia la visione alle persone facilmente impressionabili”
In breve: un western sui generis ricco di motivi per essere visto. Può piacere anche ai non appassionati del genere.
IL 3 maggio 1967 compare nelle sale cinematrografiche mondiali uno dei film più belli ed originali della storia dello spaghetti western: trattasi di “Se sei vivo, spara”, diretto da Giulio Questi – regista italiano con un passato da partigiano, raccontato nel volume “Se non ricordo male” edito da Rubbettino Editore – ed interpretato, oserei dire magistralmente, dall’iconico Thomas Milian.
Prendete un film a tinte forti di quasi quarant’anni fa, sequestrato e/o censurato dai soliti tromboni all’italiana, ed ecco che – nella quasi totalità dei casi – uscirà fuori un “cult a basso costo”. Questa affermazione è volutamente cinica e cerca di mostrare quanto sia contrario all’idea del cultismo a prescindere (una tendenza che molta critica moderna tende a osannare, secondo me), ma rende l’idea del come molti film (che erano decisamente criticabili, in molti casi) venissero poi incondizionatamente osannati da molti critici e da parte di pubblico, sulla scia del consueto Tarantino-revival. Il tutto a prescindere dal reale valore: Per “Oro Hondo”, se fosse il caso di scriverlo, è tutto diverso. “Oro Hondo” (Se sei vivo spara) fuoriesce (esattamente come il protagonista nella prima scena) da tale seppellimento culturale, il quale tende ad attribuire meriti a film che non ne hanno, e svilisce involontariamente le opere che meritano. Oro Hondo ha veramente stile, una propria sostanza, una assoluta ed orgogliosa originalità e – cosa non da poco – si lascia guardare con passione. Quindi, se volete, merita seriamente di essere un cult.
Giulio Questi del resto, nella sua unica incursione nel genere western, viene considerat da critici come Marco Giusti come uno dei più originali registi italiani. Pare che la violenza estrema del film, tratto caratteristico (ma non certamente l’unico, beninteso) fosse ispirata alla sua militanza nella Resistenza italiana ed a quanto, di conseguenza, avesse visto con i suoi occhi durante la guerra.
Si accennava alla censura che il film subì, probabilmente per la scena scomoda (più che altro inusuale) dello stupro del ragazzo da parte di un gruppo di cowboy. Ebbene sì: invece dell’abusata sequenza della donna vittima, ribaltata da un’intera cinematografia di genere fondante il cosiddetto revenge-movie, un gruppo di cowboy consuma (o meglio lascia intendere con sguardi inequivocabili) una violenza di gruppo consumata verso un giovane dello stesso sesso. Questo scandalizzò – come prevedibile soprattutto per l’epoca – i soliti censori, molto più, credo, dell’indiano crudelemente scotennato, della bomba sui cavalli, dei proiettili d’oro estratti dal corpo del bandito (ancora vivo) oppure dello stesso metallo fuso che cola inesorabilmente addosso al bigotto Hagerman. Tutta questa violenza fu frutto, in fondo, dell’inventiva che spingeva i registi ai primi film ad inventarsi le cose più bizzarre per sopperire alla mancanza di mezzi adeguati. La violenza diventa così una considerevole espressione artistica fuori dalle righe, liberatoria ed autorevolmente anarchica.
Prima e unica incursione western di Giulio Questi: la storia è quella di un uomo (Hermano) tradito dai suoi compagni dopo una rapina (e dato praticamente per morto), alla ricerca dei suoi aguzzini. Nel frattempo i banditi sono in fuga, e si fermano in una misteriosa cittadina, dove presto i suoi abitanti manifesteranno la propria avidità (consci del bottino portato dagli stranieri) in una sorta di karma apocalittico in crescendo. Quello che viene evidenziato, in fin dei conto, è il ping-pong della crudeltà umana al cospetto del “vile denaro” che rende ognuno di noi uno schiavo, succube dell’ingordigia e destinato a consumarsi fino alla morte. Passerella di anti-eroi da manuale. Il “finalone”, poi, sembra dare finalmente ragione alla lealtà del protagonista, la cui parziale vittoria non potrà che essere consumata in perfetta solitudine.
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