Video-chat erotiche nella società dello spettacolo
Tra le suggestioni che ci ha lasciato il 2020 – tra arrivo del Covid-19 e del lockdown di massa – si trova indubbiamente l’episodio (almeno uno, emblematico di molti o troppi altri epigoni) in cui una coppia (a volte un singolo) veniva ripresa inavvertitamente mentre faceva sesso (o si masturbava) durante una formalissima riunione di lavoro.
Il contrasto era forte, sonoro, decisivo, simbolo del voyeurismo sfrenato e di uno dei simulacri sessuali per eccellenza: l’immagine del corpo sessualizzato sul web, dove non occorre neanche più spogliarlo per soddisfare i propri desideri sempre più repressi e in apparenza irrealizzabili. Un contrasto, in bilico tra il mondo del porno e quello del lavoro, forse addirittura emblematico: in effetti, a ben vedere, apriva una falla nelle nostre debolezze, esibendo un mondo cinico e disperato, non solo perchè la sessualità (specialmente quella occasionale) era stata ridotta all’osso (assieme a socialità, lavoro e tutto il resto della piramide di Maslow), ma anche perchè il cinismo della società di massa si divertiva, perversamente, a sottolineare quelle debolezze e sbertucciarle sui sociali, sempre e comunque a discapito della privacy.
- La società in cui viviamo oggi è fortemente interconnessa, e si poggia su un insieme di micro-economie guidate dal modello liberista. Ad oggi, nella sua accezione internet, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli virtualizzati. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione: le call di lavoro o il cybersex ne sono la prova lampante.
- Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto della vita, si fondono in un unico insieme, in cui l’unità di questa vita non può più essere ristabilita. La realtà considerata parzialmente si dispiega nella propria unità generale in quanto pseudo-mondo a parte (Skype, Zoom, e via dicendo), oggetto di sola contemplazione. Nessuno fornisce il proprio autentico nome – inteso come autentico essere – in una videochat: modelle e modelli vendono la propria immagine. La specializzazione delle immagini del mondo si ritrova, realizzata, nel mondo dell’immagine resa autonoma, in cui il mentitore mente a se stesso. Le immagini che vediamo, che si tratti del collega di lavoro o di una sconosciuta camgirl collegata in live chat, diventano un’unità a se stante, staccata da noi – eppure legata a ciò che l’Altro fa in quel momento: spogliarsi, polemizzare, masturbarsi, lavorare, far finta di lavorare, far finta di masturbarsi. Lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è ancora una volta il movimento autonomo del non-vivente.
- Lo spettacolo virtualizzato si presenta nello stesso tempo come la Società stessa, come parte della società e come strumento di unificazione. In quanto parte della società, esso è espressamente il settore più tipico che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, è il luogo dell’inganno visivo e della falsa coscienza; e l’unificazione che esso realizza non è altro che un linguaggio ufficiale della separazione generalizzata.
- Lo spettacolo virtualizzato non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini. La società virtuale vive sulla rete internet, patria della connessione e del dover comunicare ad ogni costo, ed è tanto fortemente connessa quanto intersoggettiva.
- Lo spettacolo virtualizzato non può essere compreso come l’abuso di un mondo visivo, il prodotto delle tecniche di diffusione massiva di immagini. Esso è piuttosto una Weltanschauung (concezione del mondo) divenuta effettiva, materialmente tradotta. Si tratta di una visione del mondo che si è oggettivata. Niente è completamente virtuale, perchè dietro ogni videocall c’è sempre almeno una persona vivente ad osservare. Nulla è completamente reale, al tempo stesso, dato che chi si esibisce in webcam per spettacoli sessuali non vuole essere considerato una vera e propria prostituta, rimanendo gelosa della propria privacy e rifiutando legami coi clienti, proprio come farebbe una prostituta. Pertanto nulla è totalmente virtuale, ma paradossalmente nulla è nemmeno reale.
- Lo spettacolo virtualizzato, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell’irrealismo della società reale. Quanto può considerarsi irreale “lavorare” online? Quanto è ancora più grottesco “fare sesso in webcam“? Nell’insieme delle sue forme particolari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo virtualizzato costituisce il modello presente della vita socialmente dominante. E’ l’affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione (ciò che hanno deciso per noi i siti di videochat o i capufficio), e il suo consumo ne è corollario. Forma e contenuto dello spettacolo sono ambedue l’identica giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza permanente di questa giustificazione, in quanto occupazione della parte principale del tempo vissuto al di fuori della produzione moderna.
- Vedo un’immagine in movimento e la associo ad una persona con preferenze, carattere, gusti e sessualità ben specificate, a seconda dei casi, in alcuni casi confondendo pericolosamente le due cose (esempio: fantasie sessuali sull’immagine di un collega connesso su Skype, con cui sogno una sessione di sesso virtuale dopo una lunga giornata di lavoro a distanza). La separazione fa parte essa stessa dell’unità del mondo, della prassi sociale globale, che si è scissa in realtà e in immagine. Sono immagini separate da noi eppur presenti nella nostra intimità, lavorativa o sessuale che sia. La pratica sociale, di fronte alla quale si pone lo spettacolo autonomo, è anche la totalità reale che contiene lo spettacolo. Ma la scissione in questa totalità la mutila al punto da far apparire lo spettacolo virtualizzato come il suo scopo. Il linguaggio dello spettacolo è strutturato con i segni della produzione imperante, che sono nello stesso tempo la finalità ultima di questa produzione.
- Non si possono opporre astrattamente lo spettacolo virtualizzato e l’attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo virtualizzato che inverte il reale è effettivamente prodotto. E nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riprende in se stessa l’ordine spettacolare, offrendogli un’adesione positiva. Guardo, ma non posso toccare. Posso guardarmi mentre agisco e tanto basta alla mia soddisfazione. La realtà oggettiva è presente su entrambi i lati. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio all’opposto: la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa reciproca alienazione è l’essenza e il sostegno della società virtualizzata esistente.
- Nulla è vero, nella società dello spettacolo virtualizzata. Eppure tutto è reale: nel mondo falsamente rovesciato, pertanto, il vero è un momento del falso.
- Il concetto di spettacolo virtualizzato unifica e spiega una gran diversità di fenomeni apparenti. Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di quest’apparenza socialmente organizzata che dev’essere essa stessa riconosciuta nella propria verità generale. Considerato secondo i suoi veri termini, lo spettacolo è l’affermazione dell’apparenza e l’affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come semplice apparenza. Ma la critica, che coglie la verità dello spettacolo virtualizzato, in questa accezione specifica dello spettacolo, lo scopre come la negazione visibile della vita; come negazione della vita che è divenuta visibile.
- Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni e le forze che tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente degli elementi inseparabili. Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso dello spettacolare, in quanto si passa sul terreno metodologico di questa stessa società che si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è niente altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, del suo impiego del tempo. E’ il momento storico che ci contiene.
- Lo spettacolo virtualizzato si presenta come enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più che “ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare”. L’attitudine che esige per principio è questa accettazione passiva che esso di fatto ha già ottenuto attraverso il suo modo di apparire insindacabile, con il suo monopolio dell’apparenza.
- Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo virtualizzato, deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono nel contempo anche i suoi scopi. È l’immagine prodotta come prodotto finale, è un mezzo tecnologico che diventa un fine. E’ il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna. Esso ricopre tutta la superficie del mondo e si bagna indefinitamente nella propria gloria.
- La società basata sull’industria moderna non è fortuitamente o superficialmente spettacolare, essa è fondamentalmente virtual-spettacolare. Nello spettacolo, immagine dell’economia dominante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole realizzarsi che solo in se stesso.
- In quanto indispensabile parure degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, in quanto settore economico avanzato, che manipola direttamente una crescente moltitudine di immagini-oggetto, lo spettacolo è la principale produzione della società attuale.
- Lo spettacolo virtualizzato sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è altro che l’economia sviluppantesi per se stessa. E’ il riflesso fedele della produzione delle cose e l’oggettivazione infedele dei produttori.
- La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva originato, nella definizione di ogni realizzazione umana, un’evidente degradazione dell’essere in avere. La fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell’economia, conduce a uno slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire, da cui ogni “avere” effettivo deve desumere il proprio prestigio immediato e la propria funzione ultima. Nello stesso tempo ogni realtà individuale è divenuta sociale, direttamente dipendente dalla potenza sociale da essa plasmata. Le è permesso di apparire solo in ciò che essa non è.
- Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini diventano degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo virtualizzato, come tendenza a far vedere attraverso differenti mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente percepibile, trova normalmente nella vista il senso umano privilegiato, che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, più mistificabile, corrisponde all’astrazione generalizzata della società attuale. Ma lo spettacolo virtualizzato non è identificabile con il semplice sguardo, anche se combinato con l’ascolto. Esso è ciò che sfugge all’attività degli uomini, alla riconsiderazione e alla correzione della loro opera. E’ il contrario del dialogo. Dovunque c’è una rappresentazione indipendente, là lo spettacolo si ricostituisce.
- Lo spettacolo virtualizzato è l’erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale, che costituì pure una comprensione dell’attività, dominata dalle categorie del vedere; così come si fonda sull’incessante dispiegamento della precisa razionalità tecnica che è derivata da questo pensiero. Esso non realizza la filosofia, filosofizza la realtà. E’ la vita concreta di tutti che si è degradata in un universo speculativo.
- La filosofia, in quanto potere del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non ha mai potuto da se stessa andare oltre la teologia. Lo spettacolo virtualizzato è la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa. La tecnica spettacolare non ha dissipato le nubi religiose, in cui gli uomini avevano collocato i propri poteri distaccati da se stessi: essa li ha semplicemente ricongiunti a una base terrena; così è la vita più terrena che diviene opaca e irrespirabile. Essa non rigetta più nel cielo, ma alberga in sé il proprio rifiuto, il proprio fallace paradiso. Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell’esilio dei poteri umani in un al di là; scissione realizzata all’interno dell’uomo.
- Più la necessità viene ad essere socialmente sognata, più il sogno diviene necessario. Lo spettacolo è il cattivo sogno della moderna società incatenata, che non esprime in definitiva se non il proprio desiderio di dormire. Lo spettacolo virtualizzato è il guardiano di questo sonno. Deep nude. Deep web.
- Il fatto che la potenza pratica della società moderna si sia staccata da se stessa, e si sia edificata un impero indipendente nello spettacolo virtualizzato, non può spiegarsi che con quest’altro fatto, che questa potente pratica continuava a mancare di coesione ed era rimasta in contraddizione con se stessa.
- E’ la più vecchia specializzazione sociale, la specializzazione del potere, che è alla radice dello spettacolo. Lo spettacolo virtualizzato è quindi un’attività specializzata che parla per l’insieme delle altre. E’ la rappresentazione diplomatica della società gerarchica innanzi a se stessa, dove ogni altra parola è bandita. Il più moderno qui è anche il più arcaico.
- Lo spettacolo virtualizzato è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. E’ l’autoritratto del potere all’epoca della sua gestione totalitaria delle condizioni d’esistenza. L’apparenza feticistica della pura oggettività nelle relazioni virtual-spettacolari nasconde il loro carattere di relazione tra uomini e tra classi: una seconda natura sembra dominare il nostro ambiente con le sue leggi fatali. Ma lo spettacolo virtualizzato non è un prodotto necessario dello sviluppo tecnico visto come sviluppo naturale. La società dello spettacolo virtualizzato è al contrario la forma che sceglie il proprio contenuto tecnico. Se lo spettacolo virtualizzato, esaminato sotto l’aspetto ristretto dei “mezzi di comunicazione di massa”, che sono la sua manifestazione superficiale più soggiogante, può sembrare invadere la società come una semplice strumentazione, questa non è concretamente nulla di neutro, ma la strumentazione stessa è funzionale al suo auto-movimento totale. Se i bisogni sociali dell’epoca, in cui si sviluppano simili tecniche, non possono trovare soddisfazione se non tramite la loro mediazione, se l’amministrazione di questa società e ogni contatto fra gli uomini non possono più esercitarsi se non mediante questa potenza di comunicazione istantanea, è perché questa “comunicazione” è essenzialmente unilaterale (per quanto apparentemente paritaria: vedi i sistemi peer-to-peer, in precedenza demonizzati – oggi sostanzialmente scomparsi dai radar della comunicazione di massa, per quanto furbescamente adottati dalle piattaforme di streaming a pagamento); di modo che la sua concentrazione consente di accumulare nelle mani dell’amministrazione del sistema esistente i mezzi che gli permettono di continuare questa amministrazione determinata. La scissione generalizzata dello spettacolo virtuale è inseparabile dallo Stato moderno, vale a dire dalla forma generale della scissione nella società, prodotta dalla divisione del lavoro sociale e organo del dominio di classe.
- La separazione è l’alfa e l’omega dello spettacolo. L’istituzionalizzazione della divisione sociale del lavoro, la formazione delle classi avevano elevato una prima contemplazione sacra, l’ordine mitico di cui ogni potere si ammanta fin dalle proprie origini. Il sacro ha giustificato l’ordinamento cosmico e ontologico che corrispondeva agli interessi dei padroni, ha spiegato e abbellito ciò che la società non poteva fare. Ogni potere separato è dunque spettacolare, ma l’adesione di tutti a una simile immagine immobile non significava altro che il comune riconoscimento di un prolungamento immaginario alla povertà dell’attività sociale reale, ancora largamente avvertita come una condizione unitaria. Non sopportiamo il lavoro da remoto, eppure lo pratichiamo. Ci scandalizziamo per quanto succede online – e per quanto ci si prostituisca online, ma ogni notte continuiamo a contemplare e vivisezionare segretamente quel mondo, cancellandolo dalla cronologia ed essendone parte di fatto integrante. Lo spettacolo virtualizzato al contrario esprime ciò che la società può fare, ma in questa espressione il permesso si oppone in modo assoluto al possibile. Lo spettacolo è la conservazione dell’incoscienza nel cambiamento pratico delle condizioni d’esistenza. Esso è il proprio prodotto, ed è esso stesso che ha posto le sue regole: si tratta di uno pseudo-sacro. Esso mostra ciò che è: la potenza separata sviluppatasi in se stessa, nella crescita della produttività realizzata mediante il raffinamento incessante della divisione del lavoro nella parcellizzazione dei gesti, allora dominati dal movimento indipendente delle macchine, al lavoro per un mercato sempre più esteso. Ogni comunità e ogni senso critico si sono dissolti nel corso di questo movimento, nel quale le forze che hanno potuto crescere separandosi non si sono ancora ritrovate.
- Con la divisione generalizzata del lavoratore e del suo prodotto, si perde ogni punto di vista unitario dell’attività svolta, si perde ogni comunicazione personale diretta tra i produttori. Seguendo il progresso dell’accumulazione dei prodotti divisi e della concentrazione del processo produttivo, l’unità e la comunicazione divengono attributo esclusivo della direzione del sistema. Il successo del sistema economico della separazione è la proletarizzazione del mondo.
- Per la riuscita stessa della produzione separata in quanto produzione del separato, l’esperienza fondamentale, legata nelle società primitive a un lavoro principale, sta spostandosi al polo dello sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l’inattività. Ma questa inattività non è per nulla liberata dall’attività produttiva: dipende da essa, è una sottomissione inquieta e ammirativa alle necessità e ai risultati della produzione: è essa stessa un prodotto della sua razionalità. Non ci può essere libertà al di fuori dell’attività, e nell’ambito dello spettacolo ogni attività è negata, esattamente come l’attività reale è stata integralmente captata per l’edificazione globale di questo risultato. Così l’attuale “liberazione dal lavoro”, l’aumento dei divertimenti, non costituiscono in alcun modo liberazione nel lavoro, né liberazione di un mondo modellato da questo lavoro. Nulla dell’attività rubata nel lavoro può ritrovarsi nella sottomissione al suo risultato.
- Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare dell’isolamento. L’isolamento fonda la tecnica, e il processo tecnico isola a sua volta. Dall’automobile alla televisione, passando per smartphone e offerte di fibra ottica senza limiti, tutti i beni selezionati dal sistema spettacolare sono anche le sue armi per il rafforzamento costante delle condizioni d’isolamento delle “folle solitarie”. Lo spettacolo ritrova sempre più concretamente, ancora una volta, i propri presupposti.
- L’origine dello spettacolo virtuale sta nella sua innata interconnessione e la perdita dell’unità del mondo; e l’espansione gigantesca dello spettacolo moderno esprime la totalità di questa perdita: l’astrazione di ogni lavoro particolare e l’astrazione generale della produzione d’insieme si traducono perfettamente nello spettacolo, il cui modo di essere concreto è giustamente l’astrazione. Nello spettacolo, una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo, e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione. Ciò che lega gli spettatori non è che un rapporto irreversibile allo stesso centro che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo riunisce il separato ma lo riunisce in quanto separato.
- L’alienazione spettatore a vantaggio dell’oggetto contemplato (che è il risultato della propria attività incosciente) si esprime così: più esso contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio. L’esteriorità dello spettacolo, in rapporto all’uomo agente, si manifesta nel fatto che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. Questo perché lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto.
- Il lavoratore non produce più se stesso, egli produce una potenza indipendente. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza, ritorna al produttore come abbondanza dell’espropriazione. Tutto il tempo e lo spazio del suo mondo gli divengono estranei con l’accumulazione dei suoi prodotti alienati. Lo spettacolo è la mappa di questo nuovo mondo, mappa che copre esattamente lo spazio del suo territorio. Le forze stesse che ci sono sfuggite si mostrano a noi in tuta la loro potenza.
- Lo spettacolo virtualizzato nella società corrisponde a una fabbricazione concreta dell’alienazione. L’espansione economica è principalmente l’espansione di questa produzione industriale precisa. Ciò che cresce con l’economia, muovendosi autonomamente per se stessa, non può essere che l’alienazione che era propriamente insita nel suo nucleo originario.
- La vita di ognuno finisce online e diventa prodotto. L’uomo separato dal proprio prodotto sempre più potentemente produce esso stesso tutti i dettagli del proprio mondo. Quanto più la vita è ora il suo prodotto, tanto più è separato dalla propria vita.
- Lo spettacolo virtualizzato è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine.
Testo liberamente ispirato e rielaborato su: Guy-Ernest Debord – LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO (versione online), Buchet/Chastelm, Paris 1967 Massari Editore. In accordo alla tradizione situazionista, sulla traduzione e cura di quest’opera non vi è alcun copyright, alcun diritto d’autore, di traduzione o di edizione (nota dell’editore). ISBN: 88-457-0183-2 – Immagine di copertina generata da StarryAI (titolo: group videochat with men, women, weird creatures, nude guys).