Quattro giornalisti scompaiono in Amazzonia, ed un docente universitario di antropologia viene inviato sul posto a scoprire cosa sia successo: il resto è un film “cannibalico” di culto, nel bene e nel male.
In breve. Una delle pellicole più crude mai viste su uno schermo, che deve buona parte della propria fama ai tagli di censura, agli intentati processi, ai sequestri della pellicola nonchè alla diffusione virale dei suoi contenuti su internet. Deodato non firma un Capolavoro – e va scritto a chiare lettere – ma bisognerebbe dargli atto di avere realizzato il massimo con il minimo. A livello tecnico, in effetti, la pellicola è tecnicamente e narrativamente notevole (in primis il filmino amatoriale che rivela la verità, ispirazione mai tributata per la successiva strega di Blair), per la fusione tra girato in 35 e 16mm, per il montaggio impeccabile e per il realismo che trasuda da ogni singolo fotogramma. Al di là di questo, si tratta di un film che lascia sconvolti, oggi, più per la forma (che è un saggio di cinismo come pochi) che per il messaggio di fondo (“mi chiedo chi siano, in fondo, i veri cannibali” è quasi l’uovo di Colombo). Un film non per tutti, da non prendere sottogamba o sottovalutare: visione “oltre ogni limite” per eccellenza.
Solitamente occuparsi di un film del genere, o anche solo commentarlo su Youtube – cosa che si fa in risposta a sequenze del film, trailer o considerazioni di critici più o meno improvvisati – scatena il più classico”vespaio di polemiche”, la sequela di opinioni divergenti ed annessi insulti reciproci che accompagna tristemente le partite di calcio, come i più oscuri fatti di cronaca nera.
C’è chi scomoda sociologia, nichilismo, razzismo o filosofia della comare, chi parla di buonsenso e voyeurismo, e resta il fatto che il “successo” di una pellicola del genere, nel bene o nel male, fa riflettere di per sè. Per quanto abbia trattato già abbondamentemente di film controversi – ed altrettanto violenti – come Snuff 102, Cannibal Ferox e Mondo Cane, qui si registra un’estremizzazione della violenza inedita, camuffata (con estremo realismo) da filmino snuff. Abbiamo di fronte contenuti pesanti, che strumentalizzano l’orrore del borghese “civilizzato” ed ipocrita nei confronti dei selvaggi, e lo declinano come se il sangue e le morti fossero tutte, indistintamente reali, non frutto di effetti speciali ben realizzati.
Il regista lo fa con lo stesso espediente della pellicola di Jacopetti, a ben vedere, ovvero mostrando l’aspetto più selvaggio e impresentabile, in contrasto stridente con il mondo di facciata dei grattacieli, finendo per farsi prendere la mano: la denuncia contro il voyeurismo dei quattro reporter d’assalto, disposti a devastare gli indigeni gratuitamente pur di “fare la notizia“, finisce per passare quasi in secondo piano. E questo è un peccato (se posso dire così), perchè ciò che si vede come morte reale (la scimmietta, la testuggine e la vedova nera) va demolire programmaticamente qualsiasi presupposto di discussione che avrebbe dato più significato al film di quanto non ne abbia. La forma trionfa, infierisce e banchetta sulla sostanza, mostrando Cannibal Holocaust per quello che è: un crescendo di violenza e sadismo senza un reale sbocco, che sembra suggerire qualcosa a livello sociale e che lascia, di prima intenzione, un incolmabile senso di vuoto nello spettatore. Se poi si dovesse stilare una classifica dei primi dieci film puramente nichilisti, questo credo ci rientrerebbe a qualsiasi latitudine.
Ma non voglio con questo degenerare nelle reazioni scomposte (in parte giustificabili) di molti, perchè questo prescinderebbe dall’aspetto cinematografico il quale, per quanto piaccia poco ammetterlo, è di grande livello e tutt’altro che inesistente. Certo è che Deodato ha giocato parecchio su una forte ambiguità, soprattutto nel destreggiarsi tra scene documentaristiche e finzione, senza far capire quando ci si trovi nell’uno o nell’altro caso. Questo spiazza, disorienta e fa venire dubbi atroci allo spettatore, il quale – se già poco avvezzo a fare ragionamenti durante la visione di un film – si trova ad essere ripetutamente “maltrattato” dal punto di vista visivo.
La forma (orrida, disgustosa ed insostenibile), come raramente era avvenuto fino ad allora, calpesta la sostanza (una filippica a ben vedere pure sensata contro la stupidità del “bianco”), e risulta alla fine riduttiva per la pellicola stessa. Del resto il vero sacrificio della mucca in Apocalypse now , ad esempio, o la morte dei cavalli in molti western, avrebbero dovuto far gridare allo scandalo in eguale misura. Cosa che non mi pare sia avvenuta, per cui certe reazioni scomposte (per quanto perfettamente comprensibili, come ho già scritto) dovrebbero quantomeno valere senza distinguo e non, come è avvenuto, soltanto sulla base del regista o del titolo del film.
Rimane per me valido, seppur nell’orrore di aver dovuto assistere a vere crudeltà sugli animali, il discorso espresso per una mia vecchia recensione: è corretto far diventare la violenza problematica per il sol fatto che è stata ripresa da una telecamera? Non sono un antropologo o un freelance che gira il mondo, ma sono dell’idea che certe barbare esecuzioni esistano comunque, anche se nessuno ci farà mai un film sopra: non è poi da trascurare il fatto che quegli animali siano stati uccisi per essere mangiati da qualcuno, ma se critichiamo legittimamente la violenza, a quel punto, il discorso dovrebbe diventare più concreto, meno legato a quello che si mostra in una pellicola qualsiasi. Un discorso che finisce per trascendere dall’estetica cinematografica di per sè, per quanto sia lecito inorridire per l’idea di spettacolarizzare così dentro ad un film.
Tutto questo per ribadire come l’operazione “Cannibal Holocaust” non sia forse uno zenith di etica e morale, ma sta di fatto che il pubblico si scandalizza e si incazza, Nocturno ne parla periodicamente e la gente – piaccia o no – lo continua a guardare. Alessandro Pedrazzi di Exxagon (un vecchio sito di cinema ormai dismesso, che è rimasto come uno dei miei “fari” da quando mi occupo di cinema sul web) aveva espresso concetti del tutto simili ai miei a riguardo, e se non altro mi ha fatto sentire meno solo, se posso dire così.
Inoltre è il caso di riflettere, se ce ne fosse bisogno, che senza gli animali brutalmente fatti fuori (e svariate scene di questo tipo sono, come dicevo all’inizio, visibilmente e tristemente reali) non sarebbe uscito un film di siffatto culto. Questa considerazione è, in fondo, anche vagamente irritante, e costituisce il più evidente “tallone d’Achille” del film, che si bilancia solo in parte con la “consolazione” che senza quelle scene crudeli sarebbe nato l’ennesimo b-movie sgangherato, che molti avrebbero sbeffeggiato come poco credibile e perchè, in ogni caso, la critica sociale in questi contesti viene poco tollerata dai tempi del primo Romero. Se è troppo realistico, si polemizza all’infinito sul perchè lo sia; se non lo fosse stato, sarebbe stato trash senza mezzi termini. Insomma, non se ne esce – nemmeno con un triplo salto mortale, e neanche apprendendo alla lettera le tecniche del buon Houdini.
Va comunque dato atto a Deodato di aver assestato a molti chic della prima ora (quelli che blaterano di non spaventarsi per niente e per nessuno dentro ad un cinema) uno schiaffone di quelli sonori. “Cannibal Holocaust” è tremendamente serio, e – con gli opportuni distinguo – verissimo, per quanto in definitiva il suo messaggio finisca per sembrare puramente di facciata. Cosa particolare – e involontariamente ironica, in qualche modo – è la presenza di Robert Kerman (il professor Monroe, il “razionalista & civilizzato” della situazione) noto agli esperti di film hard come Richard Bolla, l’unico vero “faro morale” in cui il pubblico possa identificarsi. Pare che Deodato abbia scoperto il “talento erotico” del baffuto attore solo dopo aver iniziato le riprese, e questo va specificato perchè nessuno pensi che “Cannibal Holocaust” sia un filmetto alla buona perchè, di fatto, non lo è per niente.
Ripeto: si può discutere, inorridire o immaginare di dare fuoco al DVD deluxe uscito da qualche anno: ma questo film rimarrà vivido nelle menti di moltissimi spettatori, a ricordarci che forse, nonostante tutto, già trenta anni fa non si sapeva più come shockare e questo, indirettamente, tributa il cinema di genere “ordinario”, portandolo per contrappeso a livelli sublimi. Film ormai per pochi, o più schiettamente – e lo dico senza voler fare “sfottò” – per nessuno, specie oggi nell’era in cui “snuff e dintorni” sembrano quasi all’ordine del giorno sui social media.
Di fatto dobbiamo aggiungere che gli shockumentary e i falsi documentari che in molti abbiamo visto – o spiato – in questi anni derivano, nella stragrande maggioranza dei casi, da questo controverso lavoro, che storicamente possiede un valore davvero sostanziale. So che questo finirà per incoraggiare gli indecisi a vedere comunque “Cannibal Holocaust” (e spero di aver fatto capire i motivi per cui, senza finti moralismi, sia meglio non guardarlo), e sappiate che se il cinema di genere passa da qui ha fatto una sola, terribile fermata.
La mite colonna sonora del grande Riz Ortolani, perfetta nel fare da controcanto alle atrocità esibite da Deodato, è la ciliegina finale.
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon