La storia è quella di Henry, un impiegato come tanti fin troppo incline alla sopportazione: non fa una grinza quando scopre che la moglie lo tradisce col suo capo, e gli amici usano truffarlo cinicamente approfittando della sua buona fede. La sua esistenza, in sostanza, sembra segnata da un crudele destino: ancor più triste perchè, in fondo, auto-imposto dalla sua tolleranza sterile e dal quieto vivere.
In breve: episodio cinematografico poco noto (e piuttosto valido) di uno dei registi forse più sottovalutati (al netto delle opere sugli zombi) del cinema horror americano.
La maschera bianca della copertina è presto spiegata: Henry si alza dal letto e scopre che la sua faccia è diventata completamente inespressiva: l’aver subito per troppo tempo situazioni pesanti deve averlo segnato in modo profondo. Questa mutazione diventa la motivazione per il protagonista per attivare una vendetta spietata contro tutti coloro che gli hanno procurato del male.
Tra le apparizioni celebri, i Misfits che suonano durante una festa in maschera, Jason Flemyng aka Henry e Tom Atkins (già visto in altri fim come “Fuga da Los Angeles” di John Carpenter) nella parte dell’ispettore di polizia. Per il resto, la consueta fiera della violenza visiva cinematografica, neanche troppo spinta all’estremo come in altri film del regista. Molto ben fatte le allucinazioni che rappresentano i pensieri di ribellione verso la realtà del protagonista: del resto, sebbene molto criticato, George Romero si è sempre segnalato per una maggioranza di pregi rispetto ai difetti.
Le considerazioni sociali andrebbero molto al di là della sostanza della pellicola, che si rivela (nonostante tutto) abbastanza debole in alcuni punti. La recitazione è probabilmente a buon livello, ma il film è sceneggiato come se si trattasse quasi di un banale telefilm, e questo (quale che sia la motivazione) tende a far scendere la valutazione positiva di qualche punto.
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