La mala ordina è un viaggio nel lato oscuro di Milano
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La mala ordina è un prodotto tipicamente settantiano, che segue Milano calibro 9 e precede Il boss, sempre del regista Fernando Di Leo, a formare la celebre trilogia del mileu (o dell’ambiente in senso sociale, per dirla in italiano). Girando con dovizia di particolare ed ambientando nei primi anni settanta la vicenda, La mala ordina parte dal consueto presupposto pseudo-kafkiano: un piccolo criminale locale viene accusato di aver preso parte ad affari ben più grossi di lui, mentre mostra di non saperne nulla ed il pubblico rimane sospeso senza sapere se sta mentendo o meno. La Milano anni 70 che ambienta la storia per certi versi, ovviamente, rimane sul tono romanzato, ma per altri è credibile, radicata nell’immaginario popolare e nella cultura hippy emergente, tanto che non sorprende che un film del genere abbia incassato 852 milioni di lire nei cinema d’epoca.

Henry Silva e Woody Strode (rispettivamente David e Frank, i due killer americano assoldati per uccidere il protagonista) sono la coppia perfetta di cattivi, tanto che servirono come ispirazione al solito Tarantino per creare Vincent Vega (John Travolta) e Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) in Pulp fiction, un film che deve molto a questa pellicola. Silva interpreta insolitamente la parte del cattivo spietato e cinico, mentre Woody Strode viene dal kolossal Spartacus nonchè dalla celebre interpretazione del western di Sergio Leone C’era una volta il west. Ma sono Adolfo Celi (lo spietato boss don Vito) e soprattutto Mario Adorf nella parte di Luca Canali a farla da padrone nella storia, dato che i loro rispettivi personaggi evolvono dinamicamente allo scorrere della storia, e la reazione feroce di Canali alle sventure che gli capitano farà scuola, diventerà iconica per il cinema a seguire – tanto da far venire il sospetto che sia stata più volte tributata o scopiazzata da altri film del genere.

Basti anche solo considerare la celebre sequenza dell’inseguimento, quasi 7 minuti di climax crescente in cui un uomo comune, non un killer di professione, pedina l’assassino della propria famiglia per le riconoscibilissime vie della Milano d’epoca, con una tenacia che arriva alla parossistica sequenza del parabrezza del furgone sfondato a testate. Non sono casuali, in tal senso, i titoli internazionali che portarono al successo questa pellicola: Manhunt in Milan, Hitmen, Manhunt in the City, perchè la caccia all’uomo è aperta, da tempo immemorabile, sembrerebbe, sottolineata ancora una volta dalle splendide musiche di Armando Trovajoli dal sapore fusion e progressive, come di moda all’epoca.

The Italian Connection – altro titolo internazionale con cui è noto la mala ordina – pullula di VIP addirittura tra le comparse, tra cui Renato Zero (che interpreta l’hippy con la bombetta che si vede ballare più volte), Cyril Cusack (il sinistro boss al vertice dell’organizzazione), Franco Fabrizi e molti altri, senza contare la carovana interminabile di bellezze femminili: Luciana Paluzzi, Sylva Koscina, Francesca Romana Coluzzi, Femi Benussi – a costituire parte integrante e attiva della storia, in una miriade di sottostorie che non sempre c’è il tempo di sviluppare ed approfondire.

A voler trovare un difetto in questo secondo episodio della saga poliziesca di Di Leo (tratta liberamente dai racconti di Scerbanenco, ancora una volta), c’è probabilmente da non sottovalutare la narrazione non sempre espanso a dovere, tanto che alcuni personaggi vengono presentati e rimangono “appesi” in attesa di sviluppi che non arriveranno mai (è il caso del boss interpretato da Cusack, ad esempio, ma paradossalmente anche dei due killer americani, presentati in pompa magna e quasi marginali rispetto alla storia, per certi versi). Molti altri personaggi, alla faccia dell’happy end, semplicemente perdono la vita nei modi più diversi, ed in questo La mala ordina sa molto di western metropolitano, di film destinato a lasciare il segno, a farsi ricordare per sempre.

È abbastanza incredibile pensare che la riscoperta di un film del genere abbia dovuto scomodare Tarantino dagli USA quasi vent’anni dopo, che da questo film pesca piene mani per realizzare molti dei suoi lavori più citati. Sicuramente il cinema di genere italiano passa da qui, e vede gran parte dei suoi sviluppi in questa sede: con la sua regia compatta, con la sua storia diretta e coinvolgente, con i suoi personaggi tratti dalla quotidianità, il suo neorealismo gangster ed il dramma dell’uomo comune che finisce, suo malgrado, per disvelare il proprio inconscio più feroce. Emblematica e citatissima, peraltro, anche la sequenza finale, anche qui tipicamente da western cinico e senza compromessi, dove la risoluzione della storia viene affidata alla vendetta “creativa” che tanto piacerà anche a Tarantino, e che costituisce parte integrante della storia del nostro cinema.

La mala ordina è disponibile in streaming su Amazon Prime Video.

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