La nona porta promette bene, ma resta bloccata
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Nel 1999 esce La nona porta di Roman Polanski. Il film è stato oggetto di critica controversa e pareri contrastanti da parte del pubblico, nonchè di miriadi di interpretazioni della storia.

Di per sè, La nona porta si prefigura come un film accettabile, nella media del genere, a sprazzi entusiasmante, prodotto abbastanza tipico di fine anni Novanta; di fatto è un film di Polanski, le aspettative salgono e questo lo rende improvvisamente fuori norma, senza genere, intento ad intessere incomprensibili barocchismi, diecimila esercizi di stile, miriadi di concetti che alludono al satanismo senza risultare nemmeno troppo in focus nel farlo.

La nona porta avrebbe teoricamente tutto per essere un cult coi controfiocchi, ma non ha nulla per dimostrarlo, tant’è che la storia risulta poco coinvolgente e lo spettatore finisce per perdersi, strada facendo, tra mille dettagli. Nonostante Deep produca una delle sue migliori interpretazioni di sempre, si ripresenta il dramma del Caligola di Tinto Brass: Polanski non ha certamente rinnegato questo film, s’intende, ma l’analogia con la presenza di un protagonista sopra la media a cospetto di una trama diluita e poco accattivante è un peccato mortale. Sembra di vederli, quella versione dell’imperatore ed il povero protagonista de La nona porta, Dean Corso, dannarsi in eterno nel medesimo girone infernale, quello riservato ai personaggi che non ricorderà mai nessuno.

Nella storia, Johnny Deep interpreta un intrigante cercatore di libri rari, Dean per l’appunto, ingaggiato dal misterioso Boris Bolkan per studiare e mettere a confronto le uniche tre copie di un grimorio satanico: in apparenza sono esclusivamente motivi economici a spingere l’azione, ma sappiamo bene – almeno da The Omen in poi, per non parlare de L’esorcista – che la dannazione eterna è sempre dietro l’angolo. Il personaggio di Deep è sulfureo, sinistro, evocativo, e sembra promettere faville: ma poi la storia si disperde, si perde di vista il senso di ciò che si vede, per non parlare del finale (che rimane impresso per la sua debolezza narrativa ancora ribadita, e che si distacca da quello del libro) su cui è stato definitivamente più scritto che visto. La nona porta si inserisce relativamente bene nella filmografia di Polanski, caratterizzata da una narrativa intricata e una messa in scena coinvolgente, ma che si tratti di un film memorabile è altamente dubbio.

La suggestione era considerevole, tanto che il presunto libro a cui si fa riferimento è reperibile su internet (!) e il tutto sembra quasi suggerire un revival lovecraftiano modello Necronomicon. Come il regista di Rosemary’s baby e L’inquilino del terzo piano possa trattare temi dello scrittore di Providence rimarrà una morbosa curiosità (ci viene da aggiungere purtroppo): La nona porta si muove sulla falsariga di un romanzo del 1993 dal titolo Il club Dumas, firmato dallo scrittore e giornalista Arturo Pérez-Reverte. Nulla che abbia a che vedere con l’evocazione di universi spettrali e non euclidei, bensì una narrazione classicamente ancorata al satanismo “filologico”, incentrato su un antico grimorio del 1600 dal titolo, per l’appunto, Le Nove Porte del Regno delle Ombre.

Cosa sono le nove porte?

Nel libro, le nove porte – per inciso – rappresentano nove incisioni presenti in una rara edizione del libro intitolato “De Umbrarum Regni Novem Portis”, e sono descritte come segue:

  1. La Porta della Fede: Raffigura un uomo inginocchiato in preghiera di fronte a una chiesa.
  2. La Porta della Speranza: Mostra un uomo che guarda oltre l’orizzonte verso un villaggio lontano.
  3. La Porta della Carità: Illustra un uomo che offre un aiuto a un povero.
  4. La Porta della Prudenza: Rappresenta un uomo che si specchia in un fiume.
  5. La Porta della Giustizia: Mostra un uomo che giudica due contendenti in un tribunale.
  6. La Porta della Fortezza: Raffigura un uomo circondato da fortificazioni.
  7. La Porta della Temperanza: Illustra un uomo che tempera una spada.
  8. La Porta della Morte: Mostra un uomo morto in una bara.
  9. La Porta dell’Inferno: Rappresenta un uomo che scende nell’Inferno (la porta in cui si imbatte il protagonista nel finale).

Nel corso del romanzo, Corso cerca di risolvere l’enigma legato a queste incisioni, credendo che una copia autentica del libro possa contenere una formula segreta per evocare il diavolo. La trama si sviluppa attraverso il mondo dei libri rari e delle biblioteche antiche, mescolando mistero, avventura e elementi sovrannaturali. Del resto il tema del libro apocalittico e pericoloso da leggere appare desueto oggi, immersi in una pletora di micro-mercati di scrittori egocentrici, e l’idea che un libro possa provocare la fine del mondo fa quasi sorridere (a meno che non si tratti di un saggio di qualche conduttore TV, ovviamente). Eppure era un topos ricorrente in quegli anni, e basta rivedere la storia di Sutter Cane ne Il seme della follia, che rimane un masterpiece incontrastato del genere horror anni novanta e a cui per certi versi La nona porta sembra voler strizzare l’occhio.

Il finale del film (in breve)

Fermo restando che esistono miriadi di fan theory e che, soprattutto, l’intenzione registica sembra essere stata quella di lasciare il finale aperto – anche se, come si diceva prima, bisognerebbe prima capacitarsi di un mix di elementi simbolico-numerologici-religiosi tanto densi da provocare vertigini – proviamo anche stavolta a dare uan spiegazione plausibile. Il finale del film “La nona porta” è profondamente ambiguo, lasciando molte domande senza risposta e permettendo al pubblico di trarre le proprie conclusioni sulla base di gusti, preferenze, preconcetti e conoscenze dell’ambito. Alla fine del film vediamo infatti Dean Corso che riesce finalmente a trovare tutte e tre le copie del libro raro per poi unirle e rivelare la verità nascosta.

Successivamente Corso è nel giardino di una villa e finalmente riesce ad aprire la nona porta. Incontra la misteriosa donna, interpretata da Emmanuelle Seigner, che aveva già visto diverse volte durante il suo percorso. La ragazza rivela di essere l’incarnazione della dea Ishtar (dea babilonese dell’amore, dell’erotismo e della guerra), e Corso dover scegliere tra consegnarle il libro per ottenere ricchezza e potere, oppure restituire il libro al committente Boris Balkan. Il punto è che questa scelta non è chiara, ed è possibile credere sia che Corso ceda alle lusinghe del potere, sia che porti a termine il proprio compito. Il film lascia aperta la possibilità che ci siano elementi soprannaturali o diabolicamente sovrannaturali coinvolti, ma allo stesso tempo offre spiegazioni razionali per gli eventi presentati.

In genere i film migliori del genere si collocano nell’ambivalenza tra spiegazione mistica suggestiva e razionale plausibile, senza che le due cose vadano in contrasto: sarebbe anche qui il caso, se non fosse che il cammino per arrivare al finale è pieno di difficoltà narrative e non tutti, di fatto, ci arriveranno perfettamente lucidi. Forse era anche questo l’intento di Polanski, ma a noi rimane una sensazione, dopo averlo visto venti e passa anni fa (e rivisto di recente), di una sostanziale confusione di fondo. Che nel cinema non va mai demonizzata, intendiamoci, ma per un film per cui sembrano esserci più fan theory che sostanza filmica non ci sentiamo, alla fine, di dare un giudizio propriamente positivo.

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