L’uomo della sabbia: il classico di Hoffmann nella versione di Giulio Questi

Metà dell’Ottocento: Nataniele (interpretato da Donato Placido) sta per sposare Clara (Francesca Muzio); il film ha inizio con una confessione che riguarda l’infanzia del protagonista, che avviene in presenza del fratello di lei Lotario (Saverio Vallone). Si parla del padre, di un incidente durante un esperimento e della sua passione insana per l’alchimia: il tuto in collaborazione con un inquietante scienzato, sedicente fisico, di nome Coppelius (Mario Feliciani).

Sinossi del film

Nataniele sembra cresciuto con l’idea, apparentemente assurda, che Coppelius fosse letteralmente Il Mago Sabbiolino, un personaggio mitologico le cui storie terrificanti lo fanno sentire minacciato fin da bambino. Di suo, Nataniele è l’eroe romantico dal cuore puro per eccellenza: vive nell’idealizzazione dell’amore e rifiuta il razionalismo che invece caratterizza il futuro cognato. Epica, quasi ai livelli della scazzottata interminabile di Essi vivono, il duello tra i due uomini in cui, nel bel mezzo del combattimento, espongono ferocemente i reciproci punti di vista in materia di scienza e filosofia (!).

Del resto guardare non costa niente…

Se l’effetto di queste prime sequenze potrebbe risultare un po’ goffo, tutto sommato, non va dimenticato che il film è fortemente contestualizzato nel periodo in cui è ambientato il racconto: racconto da cui è impossibile prescindere, in quanto relativamente fedele all’originale di Hoffmann e considerato, a ragione, uno dei capolavori della letteratura fantastica di ogni tempo.

La regia di Questi (che tutti ricorderanno quantomeno per Se sei vivo spara) è ben strutturata e solida, oltre che – per contesto e mezzi in ballo, relativamente modesti per essere un film di inizio anni ottanta – abbastanza convincente, per quanto il lavoro sia pur sempre girato nel formato dello sceneggiato TV, al limite un po’ fuori dalle righe, e il lavoro sia stato quasi certamente ridoppiato in seguito.

Non si spiega, se non così, una certa rigidità nei dialoghi, che costringono lo spettatore ad adeguarsi al ritmo che, per la verità, non parte esattamente con lo sprint che ci si potrebbe attendere. E dire che si tratta di uno dei racconti più emblematici di Hoffman, un proto-Frankenstein che ha scomodato l’analisi psicoanalitica della trama da parte di Sigmund Freud.

Tra occultismo e psicoanalisi

Nella narrativa de L’uomo della sabbia vi sono vari elementi di rilievo che si barcamenano tra l’occultismo e le tecniche psicoanalitiche, all’epoca neanche pienamente sviluppate: da un lato c’è l’ossessione del protagonista per una conoscenza che non sia solo rigidità, nozionismo e sperimentazione, ma che possa arrivare qualcosa in più anche a costo di ricorrere all’occultismo e all’alchimia. Questo punto di vista gli provoca incomprensione da parte della futura sposa e del fratello di lei, che guardano con sospetto le sue posizioni fino ad allontarlo da casa.

Se l’alchimia, del resto, era pur sempre considerata scienza all’epoca, l’occultismo sarebbe quasi interpretabile come una proto-psicoanalisi: questo appare plausibile nella misura in cui la conoscenza di ciò che è nascosto potrebbe, in effetti, fare riferimento all’inconscio del protagonista, al suo scavare alla ricerca di un rimosso – tanto più che il racconto inizia con un ricordo d’infanzia, confuso e traumatizzante, che verrà via via ricostruito dalla memoria e dalla coscienza del protagonista.

Occhi, amore, ossessione

L’uomo di sabbia da’ una grande importanza allo sguardo ed alle conseguenze dello stesso: lo fa mediante gli occhi, l’organo adibito alla vista che, mediante un cannocchiale che Coppelius rifilerà a Nataniele, viene sfruttata per soddisfare una forma di parafilia o voyeurismo. Il protagonista intravede una figura algida e molto avvenente dalla finestra di fronte, e il cannocchiale gli serve per innamorarsene definitivamente. È qui che il film prende la sua svolta e costruisce un climax sempre più intenso, che è accompagnato dal sentimento di perturbanza di cui parlava Freud: un senso di straniamento, di disorientamento accompagnato dal desiderio di saperne di più, che avvinghia lo spettatore, il quale non capisce bene cosa non vada. Una sorta di “doppio” del protagonista, che nel frattempo è completamente invaghito della ragazza che scorgeva dalla finestra: è una cantante, apparentemente figlia di un fisico (Spalanzani, interpretato da Ferruccio de Ceresa), di nome Olimpia.

La scena probabilmente più bella del film è quella del ballo: Nataniele, ormai innamorato di Olimpia, le propone di ballare. La donna accetta, ma i suoi movimenti sono meccanici, quasi innaturali, freddi e determinati da una rigidità di fondo. Al tempo stesso la coppia non perde un colpo nella danza, e Olimpia sfoggia una cultura incantevole – il che alimenta l’invaghimento del romantico protagonista. La regia propone l’alternanza dei commenti degli altri partecipanti alla festa (che malignano su Olimpia – per quanto, sostanzialmente, abbiano ragione a rilevare qualcosa di strano in lei: è un automa meccanico con parvenza di donna) e il dialogo idealizzato ed ipnotizzante dell’incontro in corso. Secondo Freud, si definisce (il) “perturbante” (uncanny in inglese) l’esperienza psicologica di provare qualcosa che abbia un carattere misterioso o spaventoso, con l’aggiunta di una sorta di familiarità nell’esperienza. In tedesco Freud usa il termine un-heimlich (raccapricciante, una sorta di archetipo dell’orrore) alternato con heimlich (segretamente, ma anche pacificamente, intimamente), due termini che riferiscono la stessa semantica in coppia, e che sono tipici di alcune perversioni sessuali, specie quelle legate a parafilie e sado-masochismo.

Il tema dell’illusione amorosa

è stato sviscerato dal cinema non solo di genere, e per quanto l’idea di un robot o automa non sia nuova è chiaro che è il modello narrativo ad essere fortemente debitore verso chiunque (viene in mente Blade Runner e la controversa storia con il replicante da parte di Deckard, ulteriormenete complicata dal dilemma esistenziale, mai risolto, che non sia anche lui un “lavoro in pelle”; ma andrebbe citato anche quel piccolo capolavoro che è ancora oggi L’invenzione di Morel). L’intuizione di Hoffmann, se servisse specificato, è stata quella di raffigurare La tragedia psicologica a tutti gli effetti: non solo perchè Nataniele si innamorerà perdutamente di un automa, incapace di ricambiare il sentimento sia fisicamente che interioremente, ma anche perchè la scoperta della sua natura proto-robotica sarà causa della sua follia.

Follia da cui, inspiegabilmente, sembrerà guarire (sembra quasi di immaginare Freud offrirsi di psicoanalizzare e far guarire il ragazzo), tornando al suo vecchio amore, ma poi rievocando il trauma grazie allo strumento che glielo aveva provocato la prima volta, ovvero il cannocchiale (perturbante, evidentemente!). L’uomo di sabbia è probabilmente più efficace in forma scritta che in qualsiasi lavoro cinematografico, ma gli va comunque riconosciuto il suo carattere seminale, in grado di influenzare qualsiasi film con twist finale degno di questo nome, da Shutter Island a Dario Argento o Mario Bava, passando per il thriller psicologico anni novanta – e chi più ne ha, ne metta.

L’uomo della sabbia di Giulio Questi è un adattamento del racconto The Sandman di E.T.A. Hoffmann, ed è stato l’episodio di apertura della serie TV, suddivisa in 6 parti, dal nome “I giochi del diavolo“, che presentava storie dell’orrore ambientate nel XIX secolo.

La serie è stata trasmessa per la prima volta da Rai Uno nel 1981.

Dove vedere il film

È possibile vedere in streaming gratuito L’uomo della sabbia su RaiPlay.

REGIA: Giulio Questi
SOGGETTO: E.T.A. Hoffmann
MUSICHE: Luis Bacalov
Anno: 1981

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