Roma: Simona Sano (nomen omen) sta lavorando alla sua tesi in medicina, indagando le differenze tra suicidi apparenti e reali. Inizierà presto ad avere strane allucinazioni (cadaveri dell’obitorio che si rianimano, le sorridono ed iniziano a fare sesso). Tali visioni sembrano correlate con la personalità complessa della donna, il cui carattere unisce profondità e deliri violenti a causa di frustrazioni di natura sessuale.
In breve. Buon film di culto che parte da presupposti eccellenti – un inizio davvero col botto, per un film dell’epoca – e che finisce per perdere per strada parte del suo mood positivo. Nonostante tutto da riscoprire, e certamente non banale nel suo concepimento.
Partendo da presupposti di natura psicologica e visionaria, Crispino costruisce un discreto giallo-thriller, poco scontato quanto leggermente contorto in alcuni passaggi: se sembra di assistere ad un giallo a tinte horror (almeno all’inizio, con quegli indimenticabili pseudo-morti viventi), vengono poi tirate in ballo spiegazioni sociologiche ed esistenzali, in cui la protagonista è tanto bella, a conti fatti, quanto fragile e vittima di se stessa. Affascinante, senza dubbio, quanto dichiaratamente fuori dal circuito mainstream dei film fatti giusto per spaventare o intrattenere. Tensione che, per inciso, non manca di sicuro in questo film, che per certi versi potrebbe ricordare lo stile del primo Argento a cui, quasi certamente, molte scene sembrano ispirarsi, esattamente come il consueto gioco del “tutti sospettati” al fine di scovare l’assassino.
Il riferimento alle macchie solari – che come evidenzia Exxagon sono, più esattamente, brillamenti – cerca di suggerire una spiegazione, una causa esterna a certi omicidi apparentemente irrazioni compiuti durante il film, tra i quali lo spettore viene condotto in parallelo con l’analisi della psiche di Simona (in questo il film potrebbe ricordare, in parte, Le orme di Luigi Bazzoni, altro thriller decisamente da riscoprire sulla stessa falsariga). In fondo le “macchie solari” potevano essere rimpiazzate dalle maree nei giorni dispari, dalle fasi lunari, dagli influssi magnetici di Marte o dagli UFO: la sostanza non sarebbe cambiata, perchè il vero focus rimane sull’introspezione. La spiegazione realistica degli eventi, dunque, si scontra solo apparentemente con i presupposti della storia, la quale – come è stato scritto, un po’ conformisticamente, in giro – tenderebbe ad annoiare nella seconda parte. Secondo me questo non è vero, perchè l’intreccio fa parte di un linguaggio surreale ben codificato all’epoca, quanto sostanzialmente scomparso fino ad oggi.
Menzione d’onore ovviamente per Mimsy Farmer, nota (nella sua sterminata filmografia) per Quando il sole scotta e Quattro mosche di velluto grigio: convincente e ben caratterizzato il suo personaggio in questa sede, oltre che portatrice di una bellezza unica quanto poco convenzionale, e piuttosto conturbante in molti passaggi. Macchie solari (con buona pace dell’equivoco astrofilo) è a mio avviso un buon film, registra momenti di tensione fuori dalle righe, possiede quel tocco bizzarro che lo rende interessante anche ad una visione successiva alla prima, ed è recitato bene da quasi tutti i protagonisti.
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