CULT_ (123 articoli)

Gli imperdibili: una selezione di pellicole da non perdere per qualsiasi appassionato del genere horror, commedia, thriller, trash.

  • Uccelli d’Italia: quando gli Squallor girarono un film

    Uccelli d’Italia: quando gli Squallor girarono un film

    Uno dei due cult cinematografici degli Squallor: commedia ad episodi con assurdità demenziali all’ennesima potenza per un genere che, nel 1984, aveva ancora tanto da raccontare. La regia è di Ciro Ippolito, lo stesso che realizzò lo spin-off di fantascienza noto come Alien 2.

    Il trash è consapevole di se stesso: troviamo le scenette tipiche dell’italiano medio riportate in chiave umoristica e non-sense (ma anche, c’è da dire, con grande intelligenza e parsimonia). In questo film i quattro geniacci della musica italiana (Bigazzi, Pace, Savio e Cerruti), spesso in compagnia a bellissime attrici (Sabrina Siani, o la fulciana Cinzia de Ponti) prestano i propri volti a scene irriverenti, fuori dalle righe, inconcepibili da raccontare, quasi sempre legate al demenziale più cristallino oltre che infarcito di siparietti pazzeschi e, proprio per questo motivo, assolutamente spassosi.

    Tutto è demenziale in “Uccelli d’Italia“, e tutto è dotato di uno humor pazzesco e piuttosto inedito per l’epoca, a cominciare dal titolo che fa riferimento all’inno nazionale “Fratelli d’Italia” (ma che secondo alcuni sarebbe anche la parodia di “Uccelli di rovo“, una miniserie iconica di metà anni Ottanta diretta da Daryl Duke). Ma attenzione, questo non deve far pensare a quella comicità gratuita a cui potremmo essere abituati oggi (la stessa che Maccio Capatonda ha fatto varie volte oggetto di meta-umorismo), fatta di vuoti tormentoni dei quali ridere in modo fine a se stesso.

    Ippolito e gli Squallor aggrediscono i luoghi comuni dell’epoca, il perbenismo (ben prima che diventasse patrimonio culturale dei troll della politica e dei social) e – direi soprattutto – sfidano la censura con la propria irriverenza. Come fa ad esempio Daniele Pace quando pronuncia la parola “eiaculare” la bellezza di dieci volte di fila, perchè sì. Uno schiaffone alla cultura mediocre (e rigorosamente democristiana) dell’epoca che, di sicuro, nel suo piccolo non passò inosservata, e che fu in fondo la forma di ribellione insofferente per cui gli Squallor stessi nacquero, vissero e spirarono qualche anno dopo.

    Uccelli d’Italia, con la sua iconica capacità di dire tutto senza dire nulla, di esagerare senza andare mai al punto, di diventire senza raccontare quasi nulla, è altresì abile a costruire atmosfere seriose (molto spesso da telenovela anni 80, in cui il modello era naturalmente Uccelli di rovo), per poi smantellarle con la spontaneità delle barzellette di Pierino o, se preferite, con l’immediatezza di battute al fulmicotone che oggi passano relativamente indifferenti ma che, per l’epoca, furono avanti e anche di molto.

    Non bisogna dimenticare che dietro questo film vi è il lavoro artistico di Bigazzi, Savio, Cerruti e Pace, attivi per circa 40 anni in una band seminale che nel frattempo è diventata di culto, artefice di ciò che tanti altri gruppi successivi avrebbero banalizzato come “rock demenziale”, e che avrebbe ispirato orde di artisti estasiati da quegli ascolti – era meglio quando c’erano gli Squallor, in effetti. E sono giusto i non-sense esasperati degli artisti che crearono “38 luglio”, “Cornutone” e “Tutto il morto minuto per minuto”, diretti dal regista di Alien 2 – Sulla terra, a prendere quasi completamente la scena e ad occuparla con insensatezze che lasciano lo spettatore sbigottito, costretto a ridere. Immersi in una colonna sonora in parte degli stessi Squallor (ad esempio “A chi lo do’ stasera“, che venne reinterpretata con testo leggermente diverso da Nadia Cassini), in parte dei Village People – che conferiscono, questi ultimi, al film quell’atmosfera così ottantiana – non mancano tanti riferimenti a tormentoni e serie TV che ancora oggi fanno il loro effetto: su tutti l’intermezzo fisso tra un episodio e l’altro, che da “Italia Unoooo” diventa inesorabilmente “Italia culoooo“. Senza dimenticare che “Anche i ricchioni piangono” (anche qui, se parlassimo di politicamente corretto non ne usciremmo più) e soprattutto <<“Osvaldo non sarà più tuo”, un dramma tra due donne ed un mezzo culo in 185 puntate>>.

    Particolarmente riusciti rimangono l’episodio iniziale, con il prete che illustra chiaramente le proprie intenzioni nei confronti dell’amante clandestina, la storia di Bigazzi – scrittore in crisi creativa – tormentato da moglie e figli che decide di risolvere la questione con una bomba a mano (!) e, forse soprattutto, una coppia che rientra a casa, lui è appena tornato da un viaggio, lei chiede insistentemente “Cosa mi hai portato da Parigi?“, e dopo uno strip-tease totalmente inutile ai fini della storia l’uomo tira fuori dalla giacca … una provola (!). Mini-film a sè stanti, quindi, perennemente in bilico da demenziale e comicità assurda, con alcune volutissime sbavature come il momento in cui Pace (che interpreta un morto di recente) scoppia dal ridere per via dei riferimenti di Cerruti, vestito da vedova, al capitone ed al celebre “e mo chi mi chiava ammè“.

    Un film sincero e spassoso, da tempo uscito in DVD assieme al degno compagno “Arrapaho“, che si lascia guardare con piacere anche oggi, nonostante alcuni momenti alquanto spiazzanti, ma solo perchè i riferimenti non sempre si riescono ad intuire (come avviene molto facilmente, invece, con la parodia dei Visitors, altro cult d’epoca). Probabilmente sulla scia di “Uccelli d’Italia” con qualche mezzo in più sarebbe potuta nascere una sorta di Troma all’italiana (il feeling c’è tutto); del resto sappiamo tutti come venga visto un certo cinema dalle nostre parti, per cui probabilmente va benissimo già quello che abbiamo.

  • Le regole della casa del sidro racconta tematiche sociali nell’America rurale negli anni Quaranta

    Le regole della casa del sidro racconta tematiche sociali nell’America rurale negli anni Quaranta

    “Le regole della casa del sidro” (titolo originale: “The Cider House Rules”) è un film del 1999 diretto da Lasse Hallström, basato sull’omonimo romanzo scritto da John Irving nel 1985. Il film è una dramedy che affronta temi complessi come l’aborto, l’identità personale e il senso di famiglia. Il film è stato elogiato per le interpretazioni del cast, in particolare di Michael Caine e Tobey Maguire, e per la sua trattazione sensibile di questioni etiche complesse. Il film è stato nominato a diversi premi, tra cui sette candidature agli Oscar, vincendo due per Migliore Attore Non Protagonista (Michael Caine) e Migliore Sceneggiatura Non Originale. È un lavoro che affronta temi delicati con profondità e compassione, suscitando riflessioni sulle scelte morali e sulla complessità delle relazioni umane.

    Sinossi del film

    La storia è ambientata in un orfanotrofio chiamato St. Cloud’s nella zona rurale del Maine, negli Stati Uniti, durante la seconda guerra mondiale. Il protagonista, Homer Wells (interpretato da Tobey Maguire), è un giovane che è cresciuto nell’orfanotrofio e ha sviluppato una relazione molto stretta con il dottor Wilbur Larch (interpretato da Michael Caine), che gestisce l’istituzione e compie aborti illegali per le donne incinte.

    La trama si sviluppa quando Homer inizia a sentire il desiderio di esplorare il mondo al di fuori dell’orfanotrofio e scoprire la vita al di là di ciò che ha sempre conosciuto. Lascia l’orfanotrofio e inizia una serie di avventure che lo portano in un frutteto di mele, la “casa del sidro“, dove incontra una famiglia di lavoratori migranti, inclusa la giovane Candy Kendall (interpretata da Charlize Theron) e suo padre Wally (interpretato da Paul Rudd). Homer si innamora di Candy, ma la relazione si complica a causa degli sviluppi che coinvolgono Wally e l’intensa influenza di Homer sulle decisioni personali dei membri della comunità. Il sidro, per inciso, è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del succo di mele. Le mele vengono pressate per estrarre il loro succo, che contiene zuccheri naturali. Questo succo viene quindi lasciato fermentare grazie all’azione dei lieviti, i quali trasformano gli zuccheri in alcol e anidride carbonica. Il risultato finale è il sidro.

    Il film affronta in modo attento temi morali e sociali, compresi l’aborto, il diritto di scelta e il concetto di famiglia. Esplora anche la crescita personale di Homer mentre cerca di trovare il proprio posto nel mondo, bilanciando il suo senso di responsabilità verso l’orfanotrofio con il desiderio di una vita autonoma.

    10 curiosità su Le regole della casa del sidro

    1. Adattamento del romanzo: Il film è tratto dal romanzo omonimo scritto da John Irving nel 1985. L’autore stesso ha partecipato alla stesura della sceneggiatura.
    2. Ruolo di Tobey Maguire: Tobey Maguire, l’attore che interpreta il protagonista Homer Wells, ha dichiarato che questo è stato uno dei suoi ruoli preferiti e più significativi nella sua carriera.
    3. Ruolo di Michael Caine: L’interpretazione di Michael Caine nel ruolo del dottor Wilbur Larch gli ha fruttato l’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista nel 2000.
    4. Luoghi di ripresa: Il film è stato girato principalmente in Vermont, Stati Uniti. Il paesaggio rurale ha contribuito a creare l’atmosfera del film.
    5. Titolo originale: Il titolo originale del film, “The Cider House Rules“, deriva dal nome dell’orfanotrofio in cui si svolge gran parte della trama.
    6. Colonna sonora di Rachel Portman: La colonna sonora del film è stata composta da Rachel Portman ed è stata molto apprezzata per il suo contributo emotivo alla storia.
    7. Influenza del regista: Lasse Hallström, il regista del film, è noto per la sua abilità nel dirigere storie umane e sentimentali. Ha anche diretto altri film di successo come “Chocolat” e “La mia vita a Garden State“.
    8. Tempo di sviluppo: Il film è stato in sviluppo per molti anni prima di essere realizzato. L’adattamento cinematografico del romanzo è stato un processo complesso che ha coinvolto vari registi e sceneggiatori.
    9. Differenze tra il libro e il film: Come spesso accade nelle trasposizioni cinematografiche, il film semplifica alcune parti della trama del libro e apporta alcune modifiche ai personaggi e agli eventi.
    10. Messaggi sociali: Il film affronta temi sociali importanti, tra cui l’aborto e la lotta per l’autonomia individuale nella società. La storia solleva questioni etiche che stimolano la riflessione e la discussione.

    Spiegazione del finale (contiene spoiler)

    Il finale del film “Le regole della casa del sidro” è aperto e ricco di significati, lasciando spazio a interpretazioni personali da parte degli spettatori. Attenzione: Spoiler sul finale a seguire.

    Nel finale, Homer Wells fa una scelta che riflette la sua crescita personale e la sua comprensione della complessità della vita. Dopo essere tornato all’orfanotrofio e aver incontrato il dottor Wilbur Larch, Homer decide di prendere una decisione indipendente riguardo al suo futuro. Decide di rimanere con i bambini rimasti all’orfanotrofio e di prendersi cura di loro.

    Questo finale rappresenta il culmine del viaggio interiore di Homer. Fin dall’inizio del film, Homer ha cercato di trovare il suo posto nel mondo e di definire il suo senso di appartenenza. L’orfanotrofio è stato per lui un punto di riferimento costante, e il dottor Larch è stato una figura paterna. Tuttavia, con l’esperienza nella “casa del sidro” e le sfide che ha affrontato, Homer ha maturato una prospettiva più ampia sulla vita.

    La sua decisione di restare all’orfanotrofio rappresenta la sua accettazione di responsabilità e la sua volontà di creare una famiglia alternativa per quei bambini che sono stati abbandonati o non hanno un luogo dove chiamare casa. Questo è anche un modo per Homer di continuare il lavoro del dottor Larch, che aveva dedicato la sua vita a prendersi cura di chi aveva bisogno.

    Il finale suggerisce che il concetto di famiglia può essere costruito in modi diversi e che l’idea di “casa” può essere più profonda di un semplice luogo fisico. Homer ha finalmente trovato un significato nella sua vita, abbracciando il ruolo di guida e protettore per i bambini dell’orfanotrofio.

    In sostanza, il finale del film esplora temi di identità personale, scelte morali, responsabilità e il concetto di famiglia, offrendo agli spettatori una riflessione sul percorso di crescita e auto-scoperta del protagonista.

    Cast del film

    Ecco il cast principale del film “Le regole della casa del sidro” (1999):

    • Tobey Maguire nel ruolo di Homer Wells
    • Michael Caine nel ruolo del dottor Wilbur Larch
    • Charlize Theron nel ruolo di Candy Kendall
    • Paul Rudd nel ruolo di Wally Worthington
    • Delroy Lindo nel ruolo di Mr. Rose
    • Jane Alexander nel ruolo di Nurse Edna
    • Kathy Baker nel ruolo di Nellie Worthington
    • Erykah Badu nel ruolo di Rose Rose
    • Kieran Culkin nel ruolo di Buster
    • Heavy D nel ruolo di Peaches
    • Kate Nelligan nel ruolo di Olive Worthington
    • Paz de la Huerta nel ruolo di Mary Agnes
    • J.K. Simmons nel ruolo di Ray Kendall
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    i-mostri

    I Mostri (1963, Dino Risi): il ritratto impietoso dell’Italia

    I Mostri non è una semplice commedia, ma un’indagine senza compromessi sul volto più crudele e grottesco dell’Italia del boom economico. Dino Risi, insieme a Age & Scarpelli, costruisce un mosaico di quaranta episodi brevi — quaranta frammenti di realtà — in cui la quotidianità diventa teatro di ipocrisia, avidità e perversione morale. Totò e Ugo Tognazzi non sono protagonisti, sono specchi deformanti: ogni gesto, ogni battuta, rivela un paese che ride e insieme si rivela nella sua miseria interiore.

    I Mostri è una macchina da specchi: riflette la società che ride di sé stessa, ma allo stesso tempo la condanna con uno sguardo implacabile. La satira è radicale perché non risparmia nessuno: il burattinaio e il burattino, il potente e il subalterno, il corrotto e il piccolo borghese complice. Ogni episodio diventa un frammento di verità storica e psicologica, dove l’osservazione del comportamento umano si trasforma in strumento di critica sociale.

    Risi non offre catarsi, ma conoscenza: lo spettatore comprende che la comicità può essere strumento di denuncia, e che i mostri non sono sempre lontani, ma spesso seduti accanto a noi, tra risate e convenzioni sociali.

    L’arte di Risi è materialista e lucida: I Mostri non cerca redenzione o morale consolatoria. Ogni episodio è una fotografia dell’Italia che cresce e al contempo si corrode: automobilisti violenti, borghesi opportunisti, politici corrotti e cittadini egoisti. La macchina da presa osserva senza giudizio apparente, ma il giudizio è implicito: il film ride, ma la risata è acida, specchio di una società che si diverte a consumarsi.

    Curiosità da IMDb

    1. Censura e tagli: Alcuni episodi furono censurati o modificati per l’uscita italiana, giudicati troppo espliciti o provocatori, in particolare quelli che trattavano di sessualità e corruzione politica. La versione originale completa fu recuperata solo negli anni successivi.
    2. Totò e Tognazzi: L’intesa tra i due attori principali nacque da una vera amicizia e un rispetto reciproco: molte battute furono improvvisate sul set, contribuendo a rendere naturale il tono grottesco e satirico delle scene.
    3. Ispirazione reale: Risi e la sceneggiatura si basarono su episodi reali di cronaca, trasformandoli in parabole satiriche. Alcuni cittadini intervistati all’epoca raccontavano di essersi riconosciuti nei personaggi, tra il divertito e il disturbato.
    4. Musica e ritmo: La colonna sonora di Armando Trovajoli non è semplice accompagnamento, ma un commento ironico e penetrante: i temi musicali accentuano la contraddizione tra il sorriso e la crudeltà, tra leggerezza e denuncia sociale.

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  • The Wicker Man (1973): il sacrificio come rivelazione (wicker-man-robin-hardy-1973)

    The Wicker Man (1973): il sacrificio come rivelazione (wicker-man-robin-hardy-1973)

    The Wicker Man (1973), diretto da Robin Hardy e scritto da Anthony Shaffer, è un film che sfida le convenzioni del genere horror. Ambientato nell’isola scozzese di Summerisle, racconta la storia del sergente Neil Howie, un poliziotto puritano che arriva sull’isola per indagare sulla scomparsa di una ragazza, Rowan Morrison. Quello che scopre è una comunità che pratica il paganesimo, con rituali di fertilità e sacrifici umani. Il film si distingue per la sua atmosfera inquietante, l’uso della musica folk e l’assenza di violenza esplicita, creando un senso di terrore psicologico piuttosto che fisico.

    The Wicker Man non è solo un film horror; è una riflessione sulla fede, sul sacrificio e sulla collisione tra razionalità e superstizione. La sua forza risiede nell’atmosfera costruita attraverso la musica, la fotografia e la recitazione, piuttosto che in effetti speciali o violenza. La sua eredità nel genere horror è indiscutibile, influenzando numerosi film successivi e continuando a essere oggetto di studio e ammirazione.

    Curiosità da IMDb

    1. Versioni multiple del film: Dopo la produzione, Hardy assemblò una versione di 99 minuti basata sullo script originale. Tuttavia, EMI Films, che aveva acquisito British Lion durante la produzione, tagliò una parte significativa del film, rilasciando una versione di 87 minuti. Nel 1976, Hardy cercò di ricostruire il film originale, ma non riuscì a ottenere i negativi originali da EMI. Utilizzando una copia fornita a Roger Corman, creò una versione di 95 minuti, conosciuta come “Director’s Cut”. Nel 2001, fu rilasciata una versione DVD più vicina alla versione originale di 99 minuti, nota come “Extended version”. Infine, nel 2013, dopo la scoperta di una stampa 35mm negli archivi cinematografici di Harvard, fu rilasciata la “Final Cut” di Hardy (Mental Floss).
    2. Conflitti durante la produzione: La produzione del film fu segnata da conflitti tra il regista Robin Hardy e lo sceneggiatore Anthony Shaffer. Lettere inedite rivelano tensioni creative e finanziarie, con tagli significativi al copione originale e difficoltà nella gestione del progetto (The Guardian).
    3. Reazioni inaspettate: Quando The Wicker Man fu proiettato in Kentucky, le autorità statali furono così impressionate dal messaggio pro-resurrezione del film che sia Hardy che Christopher Lee furono nominati “Kentucky Colonels”, un titolo onorifico conferito a cittadini distinti (twm.fandom.com).
    4. Reazioni genuine: Edward Woodward vide la struttura del “Wicker Man” per la prima volta il giorno delle riprese del climax. Il suo grido “Oh, Dio. Oh, Gesù Cristo” è una reazione autentica, parte della sua interpretazione e parte della sua sorpresa di fronte alla scena (moviemistakes.com).
  • Easy rider (1969): la libertà è una trappola

    Easy rider (1969): la libertà è una trappola

    Oggi Easy Rider non è solo un road movie o un manifesto della controcultura americana: è una lezione sul conflitto tra soggettività e sistema, sul modo in cui il desiderio di libertà può scontrarsi con strutture più grandi e coercitive. È il cinema come esperienza materiale: la strada, il vento, la musica e il corpo diventano strumenti di una riflessione politica e sociale, prima ancora che narrativa.

    In definitiva, Easy Rider mostra che la libertà, per quanto spettacolare e visivamente seducente, resta sempre un frammento fragile all’interno di un mondo che la controlla, la minaccia e, inevitabilmente, la trasforma in mito

    Cinquant’anni dopo la sua uscita, Easy Rider resta uno dei film più radicali e influenti del cinema americano. Diretto da Dennis Hopper e scritto insieme a Peter Fonda e Terry Southern, il film racconta il viaggio di due motociclisti, Wyatt e Billy, attraverso un’America divisa, tra utopie hippie e resistenze conservatrici. Ma parlare di trama rischia di banalizzare: Easy Rider è prima di tutto un’esperienza sensoriale e politica, un manifesto della disillusione e della libertà condizionata.

    Il film rompe le convenzioni narrative dell’epoca. Non c’è una sceneggiatura rigida: gran parte dei dialoghi furono improvvisati sul set (IMDb Trivia), e alcune scene furono girate con pellicola 16mm per ottenere un effetto più “grezzo” e autentico. La spontaneità diventa forma: la libertà dei protagonisti è trasposta in libertà stilistica, un cinema che sembra vivere di vita propria. La giacca “Captain America” di Peter Fonda, indossata con familiarità durante le riprese, diventa un simbolo visivo immediato: ribellione e mito individuale in un solo gesto.

    Come sottolinea The Guardian il film ha rotto non solo le regole narrative ma anche il sistema industriale: prodotto con un budget ridotto e distribuito da una major, ha dimostrato che il cinema indipendente poteva competere in maniera radicale. La pellicola cattura le tensioni sociali degli anni ’60 — la frattura generazionale, la guerra in Vietnam, la disillusione verso le istituzioni — e le traduce in immagini di paesaggi aperti, cieli infiniti e strade vuote che diventano metafora della ricerca di senso e libertà.

    Il film non offre una morale, ma una costante tensione tra libertà e condizionamento. Wyatt e Billy cercano di attraversare il paese senza vincoli, ma la società in cui si muovono resiste. La loro libertà, estetizzata attraverso musica rock, conversazioni improvvisate e panorami mozzafiato, entra in collisione con un ordine sociale chiuso e ostile. La violenza finale non è solo narrativa: è il prezzo della libertà in un mondo che rifiuta chi osa infrangere le regole.

    Curiosità

    1. Dialoghi improvvisati: gran parte dei dialoghi non erano scritti, ma nascevano sul set, conferendo spontaneità e realismo alla narrazione.
    2. Uso di marijuana: durante alcune scene, gli attori erano realmente sotto l’effetto di marijuana, contribuendo a rendere autentica l’alienazione psichedelica del film.
    3. Pellicola 16mm: parti del film furono girate in 16mm per ottenere un effetto documentaristico più immediato e verosimile.
    4. Costume vissuto: Peter Fonda guidò la moto con la giacca “Captain America” per giorni prima delle riprese, conferendo al personaggio un realismo tangibile.

    Easy Rider è un film che sfida le convenzioni narrative e stilistiche, proponendo una riflessione sulla libertà, sull’alienazione e sulla ricerca di significato in una società che sembra sempre più distante dalle aspirazioni individuali. La sua forza risiede nella capacità di trasmettere un senso di disillusione e di critica sociale, rendendolo un’opera imprescindibile per comprendere le tensioni culturali degli anni ’60 e la loro eredità nel cinema contemporaneo.