Film trasmesso questa sera (8 febbraio) alle 21.20 su Rai4
Samuel è un ragazzino paraplegico che vive in una villa, isolato dal resto del mondo. Non è dato sapere cosa ci sia all’esterno, e l’ambiente è completamente asettico, rigido, spettrale. Le cose inizieranno a cambiare con l’arrivo di Denise, una coetanea del protagonista.
In breve. Horror dal messaggio socio-antropologico, quasi certamente impegnativo per buona parte del pubblico. Ma si tratta di un gran film, che possiede come unico difetto un forte feeling criptico nel dare spiegazioni.
The Nest è sostanzialmente un horror sociologico in stile romeriano, che utilizza – come differenza stilistica – una forma diversa da quella del compianto regista: sfrutta infatti i dettami del thriller più claustrofobico, ma anche quello delle case coi fantasmi derivativo del gotico di Mario Bava. È stato girato quasi interamente presso la Villa dei Laghi, in una location che si trova in Piemonte. Sì, perchè The Nest si presenta come un horror di vecchia scuola all’inglese – ma è un film italiano, distribuito nel nostro paese dalla Vision Distribution con una produzione ad ampio respiro, pensata per il mercato internazionale.
Quello di The Nest è un horror astratto, quasi cristalizzato nel tempo, tanto che si fatica a identificare la nazionalità dei personaggi: questo per una scelta precisa in fase di casting e per evitare di provincializzare un contesto che, diversamente, sarebbe stato da mero b-movie. Cosa molto importante, del resto, dato che buona parte del pubblico horror non ama le ricette horror di questo tipo, o forse le ama solo se a proporle è Pupi Avati. Nel gioco inevitabile di influenze del film, del resto, andrebbe citato almeno un grandissimo horror di qualche anno fa, ovvero La stanza delle farfalle – da cui viene ereditato il contesto familiare oppressivo ed il percorso di fuga (o di crescita, se preferite) del protagonista.
Tutto questo per un film che, come da tradizione di genere, rielabora abilmente i più comuni stilemi del thriller mainstream, dando subdolamente massima importanza al contesto in cui la storia si sviluppa. Definirlo horror puro è riduttivo, in ogni caso, perchè parliamo di un film che accarezza il genere thriller più di qualsiasi altra cosa, viene introdotto come fosse un sulfureo film satanico per poi crescere in un climax di tensione che, incredibilmente, lo scaraventa sui lidi di uno dei sottogeneri più popolari del terrore (che è impossibile citare senza essere tacciati di fare spoiler). Una scelta che piacerà a parte del pubblico e che, obiettivamente, potrebbe spiazzarne in negativo il resto.
Ma per capire e gustarsi The nest è fondamentale seguirne ogni passaggio fin dall’inizio, e cercare soprattutto di contestualizzarne l’atmosfera: la quale, di per sè, sembra apparentemente non avere troppo senso, dato che non si capisce per quale ragione, in tempi moderni, una madre decida di isolare dal resto del mondo il figlio, e tremi all’idea che possa scoprire la realtà in cui vive. Madre interpretata da Francesca Cavallin che, in questa sede, indossa i panni della madre severa e irreprensibile, crudele ed algida nella sua bellezza, la quale segue misteriose indicazioni “dall’alto” imponendo regole fin troppo severe al timido Samuel: suonare ed ascoltare solo musica classica, non avere contatti con l’esterno, non simpatizzare con alcun coetaneo, non mangiare troppo e soprattutto non uscire per nessuna ragione dalla villa, che viene anche sorvegliata da guardiani armati.
Arriverà presto un elemento perturbante o di disturbo, visibile nella figura della teenager ribelle Denise, che farà conoscere il rock a Samuel (omaggio migliore al genere tutto non si poteva concepire), piuttosto brava ad interpretare il personaggio, e senza degenerare negli stereotipi mielosi tipici di questi casi. La sequenza di Samuele che suona il brano dei Pixies al pianoforte con la ragazzina che balla, la prima volta spontaneamente la seconda meccanicamente, è emblematica del senso del film: la libertà è persa, forse per sempre, e l’unico anestetico imposto dal modo di pensare comune sembra quello di rifugiarsi nei gesti di sempre, costruendosi una felicità di facciata. In questi termini diventa chiaro, dopo aver visto il film, quando il contesto abbia avuto una parte fondamentale e come, di fatto, The Nest sia un horror autoriale di natura sociologica. Motivo per cui non è un film easy o popolare come tanti ne sono usciti (e come sembrerebbe nella prima mezz’ora di film), come tanti hanno motivo di essere – e come tanto pubblico, suo malgrado (secondo me), potrebbe pensare (sbagliando) che sia.
Se film come La frusta e il corpo, infatti, si sviluppavano quasi in camera stagna, tra mura del castello e catene – in un contesto avulso dal resto del mondo. Lì contavano soltanto il territorio delimitato dal castello e le relazioni tra i personaggi – ma in questo caso la deviazione dalla norma è fondamentale. Bisogna capire per quale motivo una madre sia spinta a fare quel genere di scelte, e il regista De Feo ha deciso di riservare la risposta solo agli ultimi fotogrammi. Con un po’ di malizia la soluzione dell’enigma è intuibile da alcuni piccolissimi dettagli, impossibili anche solo da accennare senza svelare tutto – e scelti con grande cura in fase di sceneggiatura.
Sviluppando un crescendo di tensione che è considerevole da vari punti di vista, con numerosi omaggi di alcuni personaggi ai classici del cinema di genere (gli sgangherati guardiani, ad esempio, sembrano tirati fuori da un exploitation prima maniera di Wes Craven, prima ancora che al pluri-citato Quentin Tarantino). Per completare il quadro è necessario specificare ulteriori aspetti: The nest presenta come unico, sostanziale difetto il fatto che alcune sequenze sembrino scollegate tra loro. Soprattutto quelle che riguardano il medico simil-Mengele, personaggio focalizzatissimo ma del quale, alla lunga, si fatica a comprendere il ruolo ed il senso. O meglio: il personaggio è molto ben interpretato, ma il suo comportamento non appare sempre funzionale alla narrazione. Questo perchè non è chiaro quanto – e se – il piano di isolarsi dal resto del mondo sia stato formalizzato e ben congegnato (probabilmente no). Al netto di questo, e con l’ovvia considerazione che il richiamo più sostanziale del film sia da ricondursi a film come The divide, non tanto a Bunuel (L’angelo sterminatore aveva un senso ed una sostanza differenti, e – per inciso – parlare di personaggi borghesi oggi, come certa critica ha fatto, sembra fuori luogo e fuori dal tempo: i personaggi in cui identificarsi siamo noi, senza distinzioni). Rimane la considerazione complessiva che The Nest sia un prodotto filmico eccellente nel suo genere, al netto di certe astrazioni concettuali forse eccessive, e vagamente fini a se stesse.
De Feo comunque conosce il genere e conosce il cinema, tanto da divertirsi ad inserire due omaggi al cinema di Kubrick (la sequenza dell’elettroshock e la Nona Sinfonia di Beethoven). In questo modo, dal complesso, emerge un film sostanzialmente riuscito, che chiameremo “Horror” solo per comodità – e che merita a pieno titolo l’iniziale maiuscola.
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