Se mi lasci ti cancello racconta una relazione tossico-distopica
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Il 22 ottobre del 2004 arrivava nelle nostre sale “Se mi lasci ti cancello“; un film molto apprezzato da critica e pubblico, soprattutto per l’interpretazione della coppia perfetta Carrey-Winslet e, peraltro, per la sua narrazione anti-convenzionale, non lineare e struggente. Uno dei film che ha avuto il merito, tra le altre cose, di switchare gli interrogativi classici della critica sul merito, sull’arte e sul contenuto all’interno di un contesto sostanzialmente pop. Non è poco, ma a dirla tutta è stata un’operazione ad alto rischio sopravvalutazione, se possiamo dirlo.

Che tutto questo sia avvenuto sfruttando (almeno in Italia) una mala-traduzione del titolo, oltre che proponendo un’estetica (solo apparente, per fortuna) da commedia amorosa americana, sarebbe di per sè accettabile. Ciò che invece andrebbe rivalutato è l’effettiva qualità dell’opera, anche in vista di recensioni da sempre fin troppo entusiastiche. Su RottenTomatoes che Metacritic, ad esempio, il film riporta 8,5 su 10 in un caso e 89 su 100 nell’altro, mentre addirittura Roger Ebert (che di sicuro non regalava elogi, e a volte stroncò film meritevoli) gli diede quasi il massimo. Nel climax di pregevoli recensioni in merito, Se mi lasci ti cancello viene considerato da alcuni critici addirittura uno dei migliori film dell’inizio del 21° secolo. Tutto questo, a 17 anni dalla sua uscita, può diventare un punto di partenza da cui riprendere a discutere l’opera in un’ottica, se possibile, leggermente più razionale e attualizzata.

Per quanto possa sembrare logorante ripartire dal titolo, pensiamoci per un attimo e ancora un volta: se avessero deciso di tradurlo letteralmente, tragicamente, sarebbe diventato “La luce sempiterna della mente pura“, dal sapore mistico o new age. Ad oggi, in tal caso, sarebbe ricordato solo nei meandri del cinema d’essai o di genere: de-genere, a questo punto, quale pregevole deviazione di livello dalla norma. Eppure l’idea di tradurre il titolo come se fosse l’ennesimo Henry ti presento Sally oppure, in tempi più recenti, Pazzo per lei potrebbe avere una giustificazione accettabile, in questo caso. La qualità dell’opera e l’idea che porta avanti non sono in discussione, ovviamente: l’idea da rivedere, semmai, sta in quel cullarsi su aggettivi come “capolavoro” e “masterpiece” che tanta critica gli ha affibbiato orgasmicamente – in modo gradevolissimo ma non sempre oggettivo, a questo punto.

Del resto è già grottesco di suo, per certi versi, che si debba ogni volta premettere la traduzione easy del titolo originale a qualsiasi discussione in merito, come a dire “ehi, è un film colto, di quelli che guardano i tizi barbosi che capiscono Kubrick e Cronenberg“. Una premessa non solo didascalica, a ben vedere, ma che ricorda l’accezione sballata di “politicamente corretto” a cui fa riferimento Slavoj Zizek: non un sincero rispetto delle diversità, bensì una conferma involontaria di maldisposizione e intolleranza verso l’altro.

Poi è vero che Eternal spotless sfrutta pregevolmente nella propria narrazione  non lineare elementi da dramma psicologico, e – diciamolo – anche un po’ della nostra sana ed amatissima fantascienza, ma lo fa per indagare sulla relazione inconfessabile tra la nostra memoria (viziata dai falsi ricordi oggetto di Vital – Autopsia di un amore) e l’amore romantico, l’idealizzazione spesso sperticata dell’altro. Il che rischia di essere superficiale e semplicistico, quasi come convincersi che i libri di Cioran siano manuali per depressi cronici o che, per fare un altro esempio grottesco e fuorviante, Crash sia un film su gente che fa sesso in macchina.

Tenendo conto del soggetto e sceneggiatura di Charlie Kaufman – e del fatto che, quasi certamente, non si tratta nemmeno di una delle sue opere migliori (se pensiamo che ha scritto i ben più validi Essere John Malkovic e Confessioni di una mente pericolosa) – vale la pena di osservare che il primo problema rilevabile in Se mi lasci ti cancello è che richiama un’estetica romanticheggiante restrittiva e, se vogliamo, fuori tempo massimo. Se è vero infatti quanto riferisce la socialità odierna, nelle cronache e nei fatti che ci arrivano via passaparola, tra coppie che scoppiano, egocentrismo sempre più marcato, totale incapacità di mettersi in discussione e culto del passivo-aggressivo, un film del genere assuma la valenza di lavoro puramente idealistico, ideologicamente ancorato ad un’idea di romanticismo al limite del tossico, in cui i protagonisti “devono” vedersi, rivedersi e relazionarsi perchè sì. Un altro lavoro come The Lobster è stato, a questo punto, decisamente più incisivo e spiazzante, proprio perchè non rinuncia ad una dose di realismo, coinvolge il pubblico senza scomodare tomi filosofici e presenta, per inciso, un finale anch’esso romantico-ideologico (per quanto aperto).

Tornando al film di Gondry, la storia della coppia che continua a ritrovarsi nonostante la richiesta di farsi cancellare la memoria – in cui si evidenzia il conflitto cuore vs. cervello fino allo stremo – a dirla con ironia sa quasi di condanna per contrappasso per i poveri protagonisti, per quanto a suo modo possa richiamare concetti di fantascienza visionaria o distopica (tanto che qualcuno ha accostato la trama addirittura alle storie di Philip Dick).

Per certi versi non convince, rivedendo Se mi lasci ti cancello oggi, quel suo sviluppo vagamente banalizzante, soprattutto nelle agghiaccianti conclusioni che la caratterizzano, in cui i protagonisti accettano il proprio destino, vanificano la propria lotta e in qualche modo si conformano alle pressioni sociali che li circondano (e poco importa se il “Grande altro” sia la Lacuna che cancella i ricordi, la società in cui viviamo o gli amici che sputano sentenze). Tutto questo piace al pubblico e non ci sono dubbi, ma a vederla con attenzione è anche una specie di profezia che si auto-avvera, in cui il narratore sembrava sapere dall’inizio che sì, abbiamo dei difetti, ma ci proveremo comunque a stare assieme perchè è scritto – che so, tipo nelle stelle.

In secondo luogo, vista da un punto di vista clinico (e solo apparentemente cinico) una persona che preghi di non farsi cancellare dalla memoria chi l’ha fatta stare male ravvisa una sorta di masochismo implicito, che certo da’ l’idea di un tipo umano diffuso,  non certo qualcosa per cui gasarsi. I soliti apologeti, a questo punto, potrebbero essere tentati dal dire istintivamente “ehi, in fondo è solo una commedia americana” (imbarazzo: abbiamo premesso che non è così). In definitiva è proprio questo suo non esserlo che risiede la ragione del mio scarso entusiasmo in merito.

Ho comunque apprezzato all’epoca Se mi lasci ti cancello, all’epoca mi colpì perchè ci vidi pezzi del mio vissuto recente (una relazione da cui mi sono dovuto dolorosamente congedare, per via di varie incompatibilità). Il principale pregio di Eternal Sunshine a questo punto forse risiede proprio in questo, nel suggerire al pubblico (sia pur a sprazzi irregolari) che potrebbe succedere anche a loro, che in fondo non siamo soli -avendo al tempo stesso l’orgoglio di non definirsi commediola, dandosi una parvenza colta anche perchè, signora mia, nel titolo c’è pure la citazione del poeta inglese Alexander Pope contenuta in Eloisa to Abelard. Al tempo stesso, e chiudo, non trovo azzeccata l’idea di associarlo un film colto, di genere e via dicendo, perchè secondo me, semplicemente, non lo è.

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