Subito dopo la fine di una guerra, è in atto un’ennesima battaglia tra la polizia ed una banda di feroci motociclisti.
In breve. Un cult che merita ampiamente ancora oggi, e che risente dei mezzi (pochi) e dell’età quasi per nulla. Da riscoprire, se non si è ancora visto.
George Miller gira la sua opera prima – Interceptor, che apre la saga di Mad Max – in soli tre mesi, investendo i soldi guadagnati come medico: attività che effettuava spesso in situazioni di emergenza e, in molti casi, dopo incidenti stradali. La trama di Interceptor, a questo punto, risente di questo punto di vista (anche a livello di ricostruzioni) e sembra quasi voler esorcizzare ciò che il regista ha visto coi propri occhi. È un mondo impazzito in cui, semplicemente, vige la legge del più forte, ed in cui le macchine sono diventate vere e proprie armi.
Decisamente curioso l’ingaggio di Mel Gibson come protagonista, all’epoca, visto che stava semplicemente accompagnando la sorella ad un’audizione e – racconta IMDB – era reduce da una rissa in un bar, giusto la sera prima. Aveva pertanto un aspetto malconcio, e la produzione lo invitò a ritornare per interpretare … uno dei cattivi. Quando rientrò tre settimane dopo non venne quasi riconosciuto, e riuscì ad ottenere la parte del protagonista.
Se si è parlato di post-apocalittico per Interceptor, del resto, la definizione sta un po’ stretta e si potrebbe parlare, al limite, di un poliziesco classico al limite del distopico (all’inizio del film la tagline definisce l’ambientazione temporale con “tra qualche anno…“). I mezzi dell’epoca, in effetti, non permettevano di mostrare città in rovina o scenografie alla Fuga da Los Angeles; si vede, più semplicemente, la provincia australiana contemporanea (che sembra molto americana), c’è pochissima fantascienza (giusto la mitica auto V8 Interceptor), poi ci sono le strade percorse all’infinito, locali frequentati quasi esclusivamente da brutti ceffi, violenza cruda ed imprevedibile (anche contro una donna ed un bambino) e la storia di un poliziotto leale quanto vendicativo. Classici temi del cinema americano traslati nella realtà australiana, insomma, e che probabilmente contribuirono al successo planetario del film – che segnò anche l’inizio di una vera e propria saga. L’ambientazione scarna deriva quindi, stando ad un’intervista recente al regista, dal voler fare di necessità virtù. E tanto per capire come nasce un film di successo a scarso budget, molti dei biker del film erano davvero tali (i Vigilantes) – tanto che la produzione, nel farli andare sul set ogni giorno, si era dovuta preoccupare di avvisare le autorità australiane dei particolari requisiti del film, dato che molti di loro arrivavano sul set già pronti per girare (e a volte armati). La sequenza del furto della benzina dal camion in movimento, del resto, si ispira alla crisi energetica del 1973, che portò effettivamente ad un brusco aumento dei prezzi dei carburanti.
Any longer out on that road, I am one of them. A terminal crazy. I wear the bronze badge to show them that I’m one of the good guys.
Col rischio di farla sembrare una considerazione da fan, a questo punto, Interceptor è (nella sua onesta artigianalità) un film perfetto, anche unico nel suo genere – per quanto non il primo a tema motociclisti (Easy Rider era già uscito dieci anni prima). L’unicum deriva da una varietà di motivi: prima di tutto perchè si tratta di un road movie che eredita le dinamiche narrative da quelle del poliziottesco, evitandone i peggiori luoghi comuni e costruendo una storia accattivante e, a suo modo, realistica. La vendetta feroce è tipica di quel genere, il poliziottesco che veniva spesso (a volte a torto, a volte no) accusato di volersi mostrare troppo reazionario. I poliziotti sono distinguibili dagli antagonisti solo per l’aspetto (e per la poca polvere che si ritrovano sui vestiti), ma spesso useranno gli stessi metodi dei criminali a cui danno la caccia. Interceptor è il film “polveroso” per eccellenza, ambientato in zone ostili per l’uomo ed in cui, per certi versi, sembra di assistere alternativamente ad un western, ad un poliziesco classico e per brevi sprazzi ad un thriller.
Del resto è impossibile prescindere dall’eredità del cinema di genere che questo film, artigianale, essenziale eppure di grande successo – così come, guardando il film oggi, non si può non pensare alle storie feroci tipiche del rape’n revenge. Analogamente sarà facile rievocare il finale di Milano odia…, che sembra presentare almeno una similitudine con quello di questo film (in entrambi i casi il “buono” si vendica più ferocemente del previsto, contravvendo all’antipatica regola del “buono e tonto” tipica del cinema di larga diffusione). Finale di Interceptor che, per inciso, lascia ambiguo il fatto che effettivamente l’ultimo motociclista muoia, dato che il protagonista gli lascia la scelta di avere salva la vita a costo di segarsi da solo la gamba a cui è ammanettato (un’idea che ispirerà anche il primo episodio di Saw, immagino incidentamente). Il personaggio di Max, comunque, sembra ispirarsi perlopiù a quello di The Punisher della Marvel (nato cinque anni prima): il poliziotto italo-americano che decide di vendicarsi dei criminali che gli hanno ucciso la famiglia.
In conclusione, questo è un film sostanzialmente più realistico che fantascientifico, ed è nell’equilibrio delle sue parti ad essere perfetto.
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