Terrifier – L’inizio (All Hallows’ Eve) segna la prima apparizione di Art The Clown

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La storia è questa: All Hallows’ Eve (distribuito in Italia col titolo Terrifier – L’inizio) si presenta in veste antologica (e almeno in parte meta-filmica) presentando una serie di corti horror a cui assiste la baby sitter protagonista, giusto durante la notte di Halloween. La videocassetta di cui viene in possesso presenta apparentemente le gesta di Art the Clown, un brutale killer che sarebbe diventato iconico nella popolare serie di horror Terrifier.

Siamo all’esordio registico di Damien Leone (che cura personalmente gli effetti speciali), anno 2013, ed il film viene girato per l’home video o direct-to-video, qualche anno prima che lo streaming diventasse popolare per la diffusione di serie TV e film. Nelle intenzioni registiche All Hallows’ Eve (letteralmente “La vigilia di Ognissanti”) non era pensato come antologia e serviva esclusivamente a far conoscere il personaggio al grande pubblico.

Di fatto, questa primordiale versione di Terrifier rientra negli horror low budget ad ogni latitudine, mostrando discreti effetti speciali, una storia molto essenziale quanto canonica per il genere e interpretazioni attoriali nella media. Le reazioni della critica sono state divisive, tra chi ha parlato di un sincero tributo al genere a chi ha stroncato l’operazione senza appello per la sua eccessiva amatorialità. All Hallows’ Eve ha un suo perchè, per quel che vale saperlo: per quanto rientri nell’affollato novero dei film ispirati ad Halloween (31, Halloween, e la lista potrebbe continuare) è un horror compatto, incisivo e coinvolgente, soprattutto per i fan degli “horror pseudo-amatoriali” che si ispirano allo stile POV (Point Of View).

Siamo al numero 237 (lo stesso citato in Shining) di una casa americana, dove si trovano due ragazzini con la baby sitter. È notte, è Halloween. All hallows’ Eve esordisce con l’orrore atavico e cristallizzato de La notte dei morti viventi, citato nelle prime sequenze (anche perchè di pubblico dominio, peraltro), sottolineando il disinteresse per lo stesso da parte dei personaggi (mentre il film è in proiezione la ragazzina vestita da strega trova più interessante il proprio cellulare). Come a dire: non basta più girare horror sociologici, siamo troppo disillusi per comprenderli, troppo de-sensibilizzati a qualsiasi tema, e quello che sembra scuoterci non può che essere l’intruso, l’estraneo che aggredisce senza movente, il pagliaccio assassino (sulla falsariga di Pennywise) pronto ad intrufolarsi in casa mentre viviamo un tranquillo momento domestico, che uccide senza una ragione nè uno straccio di storytelling sulle motivazioni, mentre ostenta davanti alla camera l’orrore prodotto.

Immagini tratte da imdb.com

I ragazzi protagonisti, affidati ad una baby sitter, trovano nel cesto dei dolci di cui hanno fatto incetta il nastro di una VHS senza etichetta; dopo una breve trattativa in cui l’adulto è ovviamente contrario a far vedere ai ragazzi il contenuto, per quanto sembri segretamente attratto dalla prospettiva. In seguito alla considerazione che “non potrà essere peggio di quello che si vede di solito su internet“, il trio decide di guardare la videocassetta.

Si tratta ovviamente di un escamotage perchè il pubblico possa visionare un film diviso in tre episodi: The 9th Circle, Something in the Dark e Terrifier. Il tema centrale è, naturalmente, legato all’idea della videocassetta maledetta, del nastro che evoca orrori occulti dopo averlo visto, che già aveva caratterizzato un cult come Ring di Hideo Nakata, noto perlopiù per il remake del 2002 interpretato da Naomi Watts. I tre episodi che compongono il film sono ovviamente collegati alla trama principale, ma si tratta di un horror antologico “ibridato” da una narrazione unificata, sulla falsariga della tradizione inaugurata da Ai confini della realtà e, forse soprattutto, I racconti di zio Tibia (Uncle Creepy). Il piano meta-narrativo esce fuori, ovviamente, nel momento in cui dubitiamo di aver assistito ad un fatto di cronaca e non ad una fiction, simboleggiato da Art The Clown che sembra scalpitare per fuoriuscire dallo schermo.

Nell’ordine The 9th Circle racconta di una ragazza che viene rapita in una stazione da Art the Clown, figura grottesca e dall’aria ambigua – prima la distrae ridacchiando e offrendole un fiore, poi la rapisce dopo averla narcotizzata. In questi istanti siamo consapevoli di “stare guardando un film”, perchè assistiamo periodicamente alle reazioni dei tre personaggi che abbiamo visto all’inizio, che guardano la videocassetta assieme a noi con tre mood molto diversi. Se in questa fase i “convenevoli” sono tipici del genere – in particolare dei sottogeneri exploitation e torture porncolpisce l’essenzialità del girato, la rapidità del divenire, i dialoghi essenziali quanto efficaci, la capacità di rigenerare il tema – nonostante sia abusato e piuttosto sfruttato dal cinema.

E poi naturalmente c’è Art The Clown, un villain crudele che sbuca da ogni angolo, emulando gli sketch di un pagliaccio ma che uccide senza scrupoli e senza giustificazioni, rendendo la morte quasi preferibile a continuare una prigionia atroce, una surreale assurda detenzione, un macabro incedere di torture irraccontàbili che, per inciso, non potevano che riguardare vittime femminili e dei cattivi maschili. La conclusione dell’episodio, solo accennata quanto piuttosto chiara, ricorda ancora oggi l’attualità del male satanico o lovecraftiano insito nel pianeta e, a vederla così, anche quello del patriarcato e dello sfruttamento del corpo femminile.

Sembra una parentesi chiusa e limitata alla televisione della VHS, che assume in questa sede un ruolo simile al puzzle cubico ( ) di Hellraiser, mediante il quale è possibile accedere ad una dimensione di sofferenza e dolore – e, naturalmente, invertire il flusso, per consentire agli orrori di spalancarsi nel mondo reale. Dopo aver mandato a letto i ragazzi, la baby sitter avverte qualcosa di sinistro, solo accennato, che poi si traduce in un uovo lanciato contro la finestra da alcuni ragazzini di passaggio. La ragazzina nel frattempo fissa per qualche istante l’anta socchiusa dell’armadio, con una suspance interminabile e magistrale come solo un horror ben realizzato riesce a sostenere (senza peraltro mostrare nulla di esplicito). Resta impressa l’espressione compiaciuta con cui il ragazzino ha guardato l’intero cortometraggio di cui sopra, nonchè una sorta di singolare “attaccamento” alla VHS che esplicita alla baby sitter prima di andare a dormire.

È la volta del secondo episodio: Something in the Dark mostra una protagonista che ha da poco traslocato in una nuova casa, quando un tonfo ed un blackout fermano le sue attività. Veniamo subito a conoscenza di un dettaglio importante: la donna è la compagna di un pittore che, senza ricordare come e quando l’abbia fatto, ha dipinto un ritratto di Art the Clown. Il blackout costringe la protagonista ad un duplice impegno mentale: l’introspezione su come dovrà agire per sopravvivere (come le vittime del corto precedente, appare come una domanda vuota, nichilista, retorica, priva di significato), a cui si aggiunge la constatazione disperata che il buio si sia propagato “per vicinanza”, o che sia stato colpa di un meteorite (il riferimento è ai fatti della meteora di Celjabinsks di inizio 2013, che causarono danni per via delle schegge prodotte dall’impatto). Nel frattempo, come tradizione impone, la macchina della donna non parte – come accadeva anche in Brivido di Stephen King (un meteorite produceva l’effetto di disattivare automobili, bancomat e quant’altro), e sarà l’inizio della fine.

Si potrà anche contestare il formato video dell’opera e l’aura di amatorialità che avvolge All Hallows’ Eve, ma non si può affermare che si tratti di un horror privo di crisma, spessore e riferimenti al genere. Il tema dell’artista visionario in grado di scrutare nelle profondità dell’abisso, del resto, presenta riferimenti negli horror classici ispirati a Lovecraft e Poe (su tutti L’aldilà fulciano e La casa dalle finestre che ridono), e finisce in questa sede per delineare l’origine del villain ed il fatto che, naturalmente, qualcuno o qualcosa verrà a reclamare quel dipinto. La sceneggiatura suggerisce peraltro che l’origine di Art possa essere extraterrestre. L’episodio è forse il più debole dei tre, soprattutto perchè l’alieno che viene mostrato è piuttosto posticcio, mentre il legame con Art the clown rimane indefinibile quanto sostanziale. Come nell’episodio precedente, le figure maschili non sono d’aiuto per la protagonista, nè sono presenti attivamente nella storia.

Terrifier chiude la carovana di orrore mostrando ancora una volta una protagonista femminile, questa volta una costumista alle prese con un viaggio notturno in cui si ferma a fare rifornimento nei pressi dell’unico distributore disponibile. È qui che ricompare Art the clown nella sua veste “ordinaria”: un pagliaccio che si esprime a gesti e mimica facciale, senza dire una parola, che evoca apparentemente un emarginato un po’ strambo o antisociale. È appena andato via dalla stazione di servizio, cacciato malamente dal proprietario, mentre la protagonista dell’episodio si appresta a proseguire il viaggio. Cosa che non potrà, ovviamente, fare.

In questa sede non è tanto l’efferatezza del killer a farla da padrone, quanto la sua ubiquità, la capacità di apparire in posti fisicamente distanti tra loro – a dispetto di qualsiasi plausibilità materiale. Non solo: gli ultimi minuti del film sono puro orrore distillato, nei quali si gioca sul senso di falso sollievo indotto sulla vittima, mentre il killer ricompare incessante e instancabile citando peraltro una delle scene più famose di Non aprite quella porta. Inutile raccontare come il film sia avviato alla conclusione, a questo punto, poichè si tratta di un ulteriore concentrato di orrore inenarrabile che trasgredisce, peraltro, una delle regole implicite del genere mainstream – per cui i protagonisti giovani in genere si salvano, o al più assistono all’orrore con valenza traumatizzante o catartica.

Tutto questo è All hallows’ eve, se preferite Terrifier – L’inizio, senza mezzi termini uno degli horror più evocativi mai girati negli ultimi anni, da non perdere per qualsiasi appassionato del genere.

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