Salvatore

  • I 14 corti horror più brevi di sempre

    I 14 corti horror più brevi di sempre

    Siete amanti della sintesi? Riuscireste a credere che possano esistere corti horror che durano pochi minuti, se non addirittura secondi? Se non ci credete, questa lista è quello che vi farà cambiare idea per sempre. Ovviamente il fatto che siano i più brevi non sempre comporta che siano i migliori, ma sicuramente l’approccio è apprezzabile e lascia vivido l’interesse nello spettatore.

    Noi vi sfidiamo a guardarli tutti di fila: secondo noi il migliore è l’ultimo, anche perchè – ci crediate o meno – dura circa 10 secondi!

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    Lights out

    Un corto sulla paura del buio che colpisce anche gli adulti, con un tocco di ironia nera che non guasta.

    Red Girl

    Forse non perfetto nel finale, si segnala per un’idea notevole quanto migliorabile. Da segnalare, comunque, per la buona capacità di sintesi.

    Love Hurts

    Horror intimista e allucinato, forse prevedibile quanto dotato di un notevole doppio twist. Da non perdere…

    The black hole

    Un originale corto sull’idea di buco nero, un modo per collegare punti fisici non direttamente connessi, e qui espresso attraverso uno stratagemma semplice ed efficace.

    Emma

    Uno dei corti più famosi sul web per la sua brevità, forse eccessiva quanto efficace nel suo concepimento.

     

    Night terrorizer

    Il tema del doppio e dell’autolesionismo ricorre, tra realtà ed immaginazione, in questo breve ennesimo corto ambientato in una camera da letto.

    The drawing

    Notevole per l’idea e per come viene sviluppata: questo soprattutto perchè vengono usate due tecniche differenti all’interno dello stesso corto, con risultati oserei dire davvero splendidi. Da non perdere neanche questo!

    Clickbait

    Last bus home

    Bedfellows

    The moonlight man

    NUN

    The mirror

    Balcony

    Terrificante, inaspettato quanto surreale nelle conclusioni: forse uno dei migliori corti usciti negli ultimi anni.

  • Rabbits: cosa rappresentano i conigli per David Lynch?

    In a nameless city deluged by a continuous rain… three rabbits live with a fearful mystery.

    L’uso figurativo degli animali nei suoi film è stato più volte esplicitato da David Lynch: anche nell’ultimo corto proposto su Netflix, WHAT DID JACK DO?, che mostra l’interrogatorio del regista ad una scimmia – ma forse soprattutto nella web series da lui diretta dal nome Rabbits, per certi versi un vero e proprio oggetto di culto e di mistero. E, neanche a dirlo, si concentra su dei conigli.

    La web series, di genere orientativamente horror surreale / thriller, è disponibile nel canale ufficiale Youtube del regista, anche se apparentemente manca uno degli episodi che lo comporrebbero. La sua composizione narrativa è basata su un contrasto evidente: la storia, che tratta tematiche violente e conflittuali, è intervallata da applausi e risate registrate tipiche, invece, della leggerezza delle sitcom e delle serie TV.

    Interpretato da Scott Coffey, Laura Harring, Naomi Watts e Rebekah Del Rio, Rabbits è composto da 8 mini-film in tutto, ambientati in una “città senza nome” nella quale piove in continuazione, e tre conigli antropomorfi vivono dentro uno “spaventoso mistero”. Intrigante, senza dubbio, ma è il caso di approndire un po’ meglio il senso ed il contesto dell’opera.

    Nel suo film Inland Empire (2006), peraltro, David Lynch ha riutilizzato alcuni filmati di Rabbits e filmati inediti con i medesimi personaggi della serie, in modo apparentemente de-contestualizzato. L’unica cosa che sappiamo dall’inizio è che il capofamiglia – o caponiglio-famiglia, se volessimo esibire un neologismo che suona, se non altro, divertente – racconta di avere un “terribile segreto” da nascondere. Emerge un primo aspetto interessante, anche solo da qui: in alcune fasi più tragiche e tese della storia, Lynch ha inserito le risate pre-registrate delle serie TV tipo Friends per satireggiare, presumibilmente, la spettacolarizzazione delle tragedie immerse nel tubo catodico, ormai radicato su internet e non solo sui canali TV tradizionali. In seconda istanza, poi, i coniglietti sembrano rappresentare in modo grottesco la famiglia di uno dei personaggi (Devon, o Billy), cosa che riusciamo ad intuire dal tono e dal contenuto di alcune telefonate.

    Cosa significano quei conigli?

    Essendo una serie di corti focalizzati programmaticamente su un “mistero“, è impossibile dare una risposta netta a questa domanda. La prima idea che mi sono fatto, tuttavia, è che il tutto volesse essere una sorta di metafora dell’ingabbiamento sociale determinato dalla vita familiare, cosa che emerge soprattutto in relazione ai conflitti violenti che i personaggi vivono tra loro. Il tutto mediante l’immagine di “conigli in gabbia”, intrappolati in quella dimensione domestica dalla quale faticano ad uscire ed in cui, soprattutto, sono presenti silenzi interminabili e laceranti (che complicano forse più di tutti la visione dell’opera).

    Esiste anche una seconda possibile interpretazione, peraltro, forse anche più “paracula” ma che spiega buona parte del cinema di Lynch: pensare che non si tratti di narrazione bensì di evocazione di sensazioni, sentire, feeling generale teso a provocare una sorta di disorientamento al pubblico. Se molte teorie autorevoli sono emerse a riguardo – e non mancano le fan theory più fantasiose, peraltro – nessuna ha mai davvero convinto, trattandosi comunque di un intreccio dalla natura vaga e che lascia, più che altro, un profondo senso di straniamento nel pubblico. L’elemento sitcom (le risate e gli applausi registrati) sono la cosa che rimane più impressa anche al pubblico non abituato a vedere Lynch, per quanto poi sia un film (credo) apertamente dedicato solo ed esclusivamente ai loro fan.

    Caratteristiche della serie

    L’occhio di Lynch sull stanza in cui girovagano i conigli, presi da faccende domestiche varie, ha due caratteristiche: è distante (non ci sono mai primi piani), anzitutto, ed è girato con camera fissa. È un po’ come se si volesse trasmettere la sensazione di essere a teatro, il non-luogo per eccellenza, se vogliamo, nel quale tipicamente assistiamo a commedie e tragedie ivi delimitate, peraltro quasi sempre dal vivo e con gli attori davanti a noi.

    Immagine di copertina: Copyrighted, Collegamento

  • I migliori episodi di South Park (secondo me)

    Da serie particolarmente longeva, South Park di Trey Parker e Matt Stone ha sempre mantenuto una coerenza narrativa ed una qualità di fondo, a differenze di altre serie concorrenti forse altrettanto interessanti quanto, col tempo, più dispersive. La sintesi di South Park, con i suoi episodi prolungati e autoconclusivi (al massimo divisi in due puntate in un paio di casi), è il dono forse più prezioso posseduto e mantenuto dalla serie.

    Tanto per capire la sintesi fin dove si sia spinta, ogni episodio non supera mai i 22 minuti, evidente format indipendente ed orgogliosamente diverso da quello delle serie (anche antologiche) che “devono” durare per forza almeno 40 minuti ad episodio. Quelli che seguono sono, se non altro, i miei episodi preferiti di sempre (la maggioranza di questi li trovate facilmente su Netflix).

    Stagione 3: Una moda pericolosa

    L’episodio è incentrato sulla moda dei Chinpokomon, una serie animata giapponese apparentemente innocua, evidente riferimento satirico ai Pokemon (creati nel 1996, l’episodio è del 1999 ed è uscito in Italia nel 2002). Questo è forse uno degli episodi più emblematici dello stile, praticamente perfetto, raggiunto dalla serie: giocando sugli stereotipi delle serie di quel genere (entusiasmanti per i ragazzi, quanto incomprensibili per gli adulti zoticoni), degli orientali (tra cui quello delle dimensioni del pene, che viene utilizzato per adulare e compiacere l’americano medio il quale, tronfio e vanesio, ce l’ha più grosso) e delle manìe guerrafondaie del genere umano, Parker & Stone raccontano di un oscuro e spassoso complotto alla base dell’intreccio: in realtà i Chinpokomon servono ad intruppare i ragazzini americani, sfruttando messaggi subliminali e convincendoli ad entrare nell’esercito giapponesi, pronti a conquistare il mondo.

    Stagione 5: Scott Tenorman deve morire

    Questo episodio racconta una storia di bullismo: Scott è il bullo che perseguita Cartman nei modi più atroci ed impensabili, ed il buffo ometto protagonista ha deciso di prendersi una rivincita. Gran parte dell’episodio è focalizzato sui suoi goffi, allungatissimi e prevedibili tentativi, fino ad un finale a sorpresa davvero molto cruento, che lascia di stucco in quanto a cinismo e crudeltà.

    Stagione 5: Kenny muore

    Ovviamente è un meta-episodio: Kenny, il bambino più povero dei quattro, morirebbe sempre e comunque, ad ogni puntata. Ma in questo caso la questione viene drammatizzata ed esplicitata, mostrando un singolare focus – per trovare la cura al male incurabile che lo affligge, bisogna scontrarsi col dilemma etico delle cellule staminali, che servirebbero alla sperimentazione per trovare una cura mentre vari gruppi religiosi ed anti-abortisti negano questa possibilità.

    All’epoca (2001) la discussione etica sulle staminali occupò gran parte delle cronache mondiali, ed il punto di vista della serie – per quanto sia sostanzialmente libertario – rimane fortemente satirico, dileggiando i difetti sia dei sostenitori della scienza (che spesso si fanno prendere la mano: vedi l’ingegnere genetico) che dei detrattori (fondamentalisti religiosi e redneck vari).

    Stagione 5: L’episodio di Butters

    Episodio capolavoro incentrato sul personaggio di Butters, il ragazzino un po’ tonto che si farà prendere in giro e raggirare nel peggiore dei modi. Si parte da presupposti pacifici: i genitori devono festeggiare l’anniversario, ed il padre di Butters esce di casa a comprare un regalo alla moglie. Butters viene incaricato dalla mamma di pedinarlo per scoprire che regalo le farà, e le cose degenerano in fretta: non solo suo padre va in un cinema porno (rimanendoci al massimo per 15 minuti, viene specificato), ma si reca pure in un locale per adulti gay.

    Questo ovviamente provocherà una spaccatura nella vita di Butters, con la madre che impazzirà e proverà ad ucciderlo, e dirà che è stato rapito da un generico portoricano (l’americano medio è ovviamente sotto tiro: per lui, a quanto pare, il razzismo è naturale).

    Stagione 5: Il ritorno della compagnia dell’anello alle due torri

    Sulla scia del successo della trilogia de Il signore degli anelli di Peter Jackson, l’episodio si basa su un’idea semplice quanto geniale: i genitori di Stan fittano una videocassetta porno (il più porno dei porno) e credono di lasciare il film fantasy al figlio, che va a vederlo con gli amici.

    Ma c’è un problema: hanno scambiato inavvertitamente i film, ed i bambini starebbero per vedere così il loro primo porno. Se da un lato la narrazione è fantastica (l’immaginario dei bambini), dall’altro la vera e propria ricerca dell’anello sarà la riconsegna del film porno in videoteca, tra varie reminiscenze di film come Stand by me. Magistrale la riduzione parodica di Gollum, interpretato da Butters che rivorrebbe “il suo tesoro” (che in questo caso è semplicemente Troie da dietro 9)

    Stagione 7: I cristiani pestano duro

    Era il 2000, ed il caso Metallica vs. Napster, Inc. occupò per molto tempo le pagine dei giornali: la band di Lars Urlich aveva fatto causa alla società di Shawn Fanning (di cui si parla anche in The social network di Fincher), perchè con Napster si scaricavano gratis i primissimi MP3 in P2P (Peer To Peer).

    Nell’era dello streaming sugli smartphone o dei nati dopo il 2000 questo episodio, in un certo senso, non si capirebbe neanche troppo, ma fu davvero esplosivo: raccontando una storia parallela, ovvero Cartman che fonda una band christian rock (dichiaratamente per fare soldi), e gli altri bambini che cercano passivamente ispirazione per una propria band dagli MP3 di Napster, venendo braccati dall’FBI e arrestati per averlo fatto.

    La satira qui è molto tagliente e paradossale: il poliziotto mostra ai bambini il danno che stanno causando scaricando MP3 gratis, perchè adesso il batterista dei Metallica non potrà comprarsi la piscina nuova, mentre Britney Spears non si potrà permettere il jet privato che sognava. La critica implicita alla strumentalizzazione di quei casi (gente che scaricava MP3 trattata come fossero criminali di guerra), casi che in parte abbiamo conosciuto anche in Italia e che hanno portato al decreto Urbani, viene qui splendidamente rappresentata, resa ridicola con intelligenza e cristallizzata. Trey Parker e Matt Stone, peraltro, con un bell’atto di coerenza, hanno pubblicato in streaming gratuito tutti gli episodi di South Park dal proprio sito (e continuano a farlo da più di 20 anni, a conti fatti).

    La band di christian rock di Cartman, poi, è divertente in modo surreale, emblema dell’ipocrisia di certe band che vogliono sembrare devote solo per accaparrarsi fan facilmente. Il nostro eroe, peraltro, rinnegherà la fede che aveva finto solo per soldi iniziando ad imprecare dal palco in presenza di un pubblico inorridito.

    Stagione 7: Casa Bonita

    Parodia di vari film post-apocalittici di ogni ordine e grado (un motivo molto, molto comune in South Park): Butters viene raggirato da Cartman, che lo convince che un asteroide stia per schiantarsi sulla terra, portando l’amichetto in un rifugio anti-atomico.

    Butters rimarrà chiuso lì dentro, terrorizzato e pronto a sopravvivere ad ogni costo (oltre che, naturalmente, ad accoppiarsi con l’ultima donna sulla terra), ma è solo una farsa: Cartman lo ha preso in giro perchè è frustrato, infatti non è stato invitato a Casa Bonita, il ristorante tipico messicano in cui sognava di andare per il compleanno di Kyle, e vorrebbe solo di prendere il posto di Butters.

    Stagione 7: Divertirsi con le armi

    Altro episodio a sfondo giapponese molto divertente, questa volta incentrato sugli anime: è una delle prime volte in cui SP abbandona lo stile essenziale/artigianale che l’ha reso famoso, e mostra le doti degli animatori che stilizzano i bambini della città come ninja muscolosi e combattivi. I bambini comprano con l’inganno delle vere armi ninja in una fiera, ed iniziano un gioco che si svolge a South Park e che si alterna tra la realtà e l’immaginazione (quest’ultima girata interamente come un anime a tema arti marziali).

    L’episodio si incentra sull’uso disinvolto delle armi da parte degli americani.

    Stagione 8: Fico-o

    Cartman si traveste da robot e si auto-spedisce a casa di Butters, ancora una volta bersagliato dal bullismo del crudele bimbo obeso: l’equivoco degenera molto presto, soprattutto quanto Cartman scopre che Butters ha registrato un video compromettente che lo riguarda. Non solo Butters, poi, è realmente convinto che sotto quel travestimento goffo fatto con delle scatole di cartone ci sia davvero un robot, ma lo porta con sè dalla zia a Los Angeles, e l’inganno viene creduto da tutti (inclusi dei produttori di Hollywood che lo usano per farsi suggerire quantità industriali di idee per film banali).

    Addirittura i militari americani, in riunione segreta al Pentagono per spiare le altre nazioni e scoprirne le armi segrete, si convincono che Fico-o sia un robot potentissimo e cercando di convertirlo in arma da guerra.

    Stagione 8: Gli immigrati dal futuro

    Uno dei migliori episodi di sempre: il tema dell’immigrazione e del razzismo vengono affrontati in un’ottica davvero originale, immaginando che una macchina del tempo abbia portato nell’oggi vari uomini dal futuro, affranti e desolati per non avere un lavoro. Integrandosi a South Park, emergeranno i problemi sociali di sempre: gli immigrati che “rubano il lavoro” (mantra ripetuto ossessivamente per tutto l’episodio) perchè offrono manodopera low cost rapportata ad una realtà, quella da cui provengono, in cui gli basterebbero pochi dollari per sopravvivere.

    La cosa si risolverà in maniera decisamente grottesca: gli abitanti capiranno che l’unico modo per evitare che arrivino è quello di migliorare la società, costruendo un futuro migliore. Oppure, in caso, diventare tutti gay ed iniziare a fare le orge in modo da non procreare più.

    Stagione 7: Il Natale degli animaletti del bosco

    Ispirandosi alle produzioni natalizie e favolistiche modello Disney, Parker & Stone asfaltano la tradizione puritana e propongono una storia dai tratti invertiti, al limite del traumatizzante, in cui il puma (che sembra il cattivo) è in realtà il buono mentre gli animaletti del bosco, apparentemente tonti e innocenti, sono adepti di Satana.

    Stan si troverà all’interno di una storia delirante che vedrà anche l’intervento di Stan e di Babbo Natale.

    Stagione 7: Balla coi Puffi

    Stagione 12: Internet dipendenti

     

  • Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Lo zio di Brooklyn del titolo è un personaggio che non dice una parola nell’intero svolgimento della trama, e che l’unica che dirà (quando vorrebbe rivelare il proprio nome) sarà coperta da un sonoro peto. Giocando sui toni del grottesco all’italiana brutalizzati ed essenzializzati dentro una Palermo che sembra post-apocalittica, Ciprì e Maresco realizzano questa opera prima nel 1995, dovendo buona parte della propria fama all’attenzione che gli volle dedicare Enrico Ghezzi su Rai Tre.

    Girato nel bianco e nero più ruvido che si possa immaginare, fu caratterizzato da personaggi grotteschi, isterici e rivoltanti. All’epoca fu in grado di innescare polemiche a non finire sul contenuto del film, senza che nessuno capisse che i due registi stavano inventando qualcosa di nuovo, qualcosa che sarebbe stato (spesso malamente o confusamente) imitato da molti altri: un cinema d’essai che sbeffeggia e parodizza prima di tutto se stesso, poi la critica snob (c’è il personaggio del critico musicale, che spesso sbaglia e non trova le parole giuste per esprimere concetti che, nelle intenzioni, vorrebbero essere parecchio elaborati), e poi attacca almeno una parte del pubblico delle sale.

    Viene quasi in mente, a riguardo, il mai abbastanza compreso “Largo all’avanguardia, pubblico di merda” di Roberto “Freak” Antoni e dei suoi Skiantos. Il codice comunicativo dei personaggi è stravolto rispetto a qualsiasi canone cinematografico, o addirittura di buon gusto: molte scene sono cinicamente inquadrate da lontano, e i due nani protagonisti, ad esempio, comunicano mediante rutti.

    [il dadaismo] rifiuta gli standard artistici, come dimostra il nome dada che non ha un vero e proprio significato, tramite opere culturali che erano contro l’arte stessa.

    Soprattutto le canzoni interpretate nel film sembrano voler rivestire un’importanza fondamentale – e con dei tratti dadaisti, nell’uso delle parole, in alcuni passaggi.

    (rivolto alla camera) 1,2,3,4…

    Ma cosa fa?

    Conto gli spettatori! … 5,6,7, …

    Il fimm da schifo! Il fimm fa schifo! Dove vai, lurido cane rognoso! Uno spettatore se n’è andato via.

    Lo Zio di Brooklyn: il degrado penetra nei classici della musica italiana

    Il contesto del film è interamente popolare, e dai tratti rozzi e semplicistici, tanto da suscitare una sensazione straniante fin dall’inizio. Già dal trailer, del resto, si intuiva che molto del film sarà determinato dall’accostamento tra i temi sobri ed eleganti della musica italiana vs. volgarità e peti vari.

    Il riferimento, qui, sembra essere la celebre esibizione di Wanda Osiris di uno dei suoi brani più famosi, Sentimental, in cui la diva scendeva le scale durante il canto – in modo malamente imitato dal buon Paviglianiti (attore palermitano scomparso nel 2000).

    Parte del feeling generale de Lo zio di Brooklyn è incentrato sul tema della desolazione, della solitudine e dell’amor perduto, almeno a sentire le parole delle canzoni proposte: il film non ha una colonna sonora vera e propria, per cui è lecito andare a riascoltare le canzoni che sono state reinterpretate per l’occasione dagli improbabili, trash e grotteschi personaggi.

    Cammela (Chianese, Palombo)

    In questa sequenza il personaggio di Anciluzzu canta “Carmela” (di Gugliermo Chianese and Salvatore Palombo) mentre aspetta le patate che ha chiesto al vicino. La scena ha una valenza teatrale e fortemente straniante, avviene senza un esplicito motivo e si avverte una costante dell’intera pellicola: i personaggi cantano e, nel contempo, danno l’idea di voler fuggire dallo schermo, trovando rifugio tra quegli stessi spettatori che, paradossalmente, finiranno per rigettarli.

    Mamma di Cesare A. Bixio e Bruno Cherubini

    La sequenza vede un personaggio cantare (fuori campo) il celebre ritornello di Mamma di Bixio, Cherubini con forte inflessione siciliana, stonando spesso e volentieri, degenerando in un improbabile falsetto, mentre due personaggi (il mago Zoras e Lo Giudice, protagonista di uno dei medley più importanti del film) si fissano ad un tavolo.

    Poco dopo, gli gli verrà consegnato una collana, che non dovrà togliere per nessun motivo perchè dagli improbabili effetti magici.

    Ancòra di G. R. Testoni

    Uno dei brani più indimenticabili del film, a questo punto, è Ancora di G. R. Testoni. Il testo del brano è intatto, e mantiene la sua carica grottesca: sembra che il personaggio sia un improbabile musicista di strada, che cerca l’approvazione di quel pubblico tanto “temuto” di cui sopra.

    https://www.youtube.com/watch?v=7d355UPxTKk

    Chella llà (U. Bertini)

    Al minuto 13:00 circa, per citare un ulteriore esempio, si può gustare una versione parodizzata ed ultra-ermetica di “Chella lla” (originale scritto da Umberto Bertini e musicata da Di Paola/Taccani), intervallata da pernacchie ed insulti (“Suca!”), oltre che da un testo leggermente cambiato.

    Uuuula! Vàsami, vàsami, vàsami, prrr!

    Chilla lla chilla lla

    te pare ca mpazzisc e poi me sparo

    polli… tutti polli sono!

    Playboy di G. Lo Giudice

    Playboy di Giovanni Lo Giudice, tanto per fare un esempio ancora più dada, ripete ossessivamente la parola del titolo con un testo delirante, probabilmente improvvisato sul momento dall’attore.

    Il testo recita pressappoco questo:

    playboy, playboy, playboy,

    playboy, playboy, playboy

    no, non sono un playboy,

    sono un ragazzo romantico,

    che crede ancora nell’amor,

    perciò ti dico no,

    il playboy oggi è quello che ha i soddi,

    anche se è basso, pelato o grasso

    Il senso del brano, sconnesso e volutamente fuori tempo in molti passaggi, assume una valenza grottesca se inquadrato nel giusto ambito: bisogna pensare che non ci sono personaggi femminili nel film, e che – soprattutto – poco prima abbiamo assistito alla famosa (ed oggetto di infinite polemiche) scena di zoofilia con una mula.

    Lo stesso tema ricorre in seguito all’interno dello stesso film, dove assume una parvenza dai toni più tragici, rassegnati e desolanti. Che senso ha, a quel punto, essere un playboy – se comunque vivi in una città abbandonata, dai tratti post-apocalittici, in cui basta avere i soldi per vivere bene, e potresti diventare un Casanova anche se sei basso pelato o grasso?

    Curtiello cu curtiello (Fiorini, Di Domenico)

    Questo pezzo viene proposto durante il minaccioso interrogatorio di Tommasino nei confronti di due diseredati, che ne elogiano (nonostante tutto) le doti canore.

    L’originale è stata interpretata tra gli altri da Mario Merola, ed è nota per la sua versione cinematografica.

  • Perchè i pirati fanno “aaaaar”?

    Da che mondo è mondo, i pirati fanno AAARRR mentre parlano. Vi siete mai chiesti il perchè? In questo articolo proverò a svelarvi l’arcano, in modo che possiate dare finalmente un senso a questa giornata (piovosa, almeno qui).

    Nell’immaginario televisivo nostrano a fare il verso “AAARRRR” è il Capitano Horatio McCallister dei Simpson: non un pirata, ma comunque un “vecchio lupo di mare” stereotipato. Nell’immaginario popolare dei marinai sono in effetti molto comuni versi quali: “arrr”, o “harr”, “ahoy” oppure “aye”, o ancora Rrrr!”, Yarrr!, Arrr, Argh, Ahaaaarr e Yargh. Ma per quale motivo?

    La questione assume una certa importanza – tanto che l’Urban Dictionary ha dedicato ad arrr una voce specifica.

    Secondo un post di Reddit dedicato a questo importantissimo argomento, un verso del genere farebbe parte del modo di parlare degli inglese del West Country, tanto da farlo sembrare un paese frequentato da pirati per antonomasia (can confirm, I live here and everyone sounds like pirates), con particolare riferimento alla lingua cornica (Cornish) ed alla sua presunta cadenza.

    A quanto pare il grugno tipo “Arrr” – con tutte le varianti viste in precedenza – fa la propria comparsa nel cinema nel 1934, con il film L’isola del tesoro (Treasure Island), tratto dall’omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson, per poi rifare la propria comparsa nel racconto del 1940 “Adam Penfeather, Buccaneer” di Jeffrey Farnol. Ha consolidato poi la propria fama mediante il classico del 1950 L’isola del tesoro della Disney, un film che dovrebbe essere rimasto inedito ad oggi (è molto più noto il cartone animato uscito in seguito) e di cui è disponibile il seguente frammento su Youtube – purtroppo senza alcun “aarrr” al suo interno.

    L’opera comica The Pirates of Penzance,  non presenta riferimenti ad arrrr nello specifico, per quanto molti personaggi tendano a marcare la presenza delle “r” nelle parole che pronunciano i vari pirati, come ad esempio “hurrah!” e “pour the pirate sherry“.

    Andando a guardare qualche altra informazione a livello storico, si scopre dell’esistenza della giornata internazionale “Parla come un pirata” (19 settembre), ovvero la International Talk Like a Pirate Day (ITLAPD) inventata nel 1995 da John Baur (nome piratesco: Ol’ Chumbucket) e Mark Summers (o Cap’n Slappy), due americani dell’Oregon.

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