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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Guida pratica all’effetto Barnum – Wikicubo

    Guida pratica all’effetto Barnum – Wikicubo

    Il termine “Barnum” può riferirsi a diverse cose in base al contesto, ma spesso è associato a Phineas Taylor Barnum, un famoso imprenditore circense e spettacolare del XIX secolo, noto per essere uno dei fondatori del circo moderno e per le sue abilità nell’attrarre l’attenzione del pubblico. Il suo nome è diventato sinonimo di spettacolo, intrattenimento e pubblicità sensazionalistica.

    Effetto Barnum

    In un contesto più ampio, l’espressione “effetto Barnum” o “principio Barnum” si riferisce a una tendenza umana a credere in dichiarazioni generiche e vaghe che sembrano specifiche e personalizzate. Questo principio è spesso usato nel contesto dell’astrologia, delle letture delle carte, delle previsioni psichiche e di altri tipi di pseudoscienze, dove gli affermatori fanno dichiarazioni che sembrano adattarsi a tutti, ma che le persone tendono a interpretare come altamente personalizzate e accurate. In realtà, queste affermazioni sono così vaghe che potrebbero applicarsi a chiunque, ma le persone sono inclini a credere che siano specifiche per loro, un effetto noto come “effetto Barnum”.

    L’”Effetto Barnum,” noto anche come il “Principio Barnum” o “Barnum Effect” è un fenomeno psicologico in cui le persone tendono a dare credito a descrizioni generali, vaghe o ambigue sulla loro personalità che sembrano essere specifiche e uniche per loro. Questo effetto è chiamato così in onore di Phineas Taylor Barnum, l’impresario circense noto per le sue tattiche di marketing spettacolari e sensazionalistiche.

    L’Effetto Barnum può essere applicato ai social network e all’uso dei test e delle personalità online. Ad esempio, quando le persone partecipano a test di personalità su piattaforme di social media o siti web, spesso ricevono risultati che sembrano accurati e pertinenti alla loro personalità, anche se le domande poste erano generali o vaghe. Questi risultati possono essere scritti in modo tale da far sentire agli utenti che le descrizioni siano specifiche per loro, anche se potrebbero applicarsi a molte altre persone.

    Immagina di fare un test di personalità su una piattaforma di social media. Le domande potrebbero essere del tipo “Preferisci stare in compagnia di amici o trascorrere del tempo da solo?” o “Ti consideri una persona estroversa o introversa?” Dopo aver completato il test, ricevi il risultato: “Sei una persona equilibrata che apprezza sia la compagnia degli amici che il tempo da sola. Sei estroverso quando vuoi, ma hai anche il tuo lato introverso.” Anche se queste affermazioni potrebbero essere abbastanza generiche e applicarsi a molte persone, l’Effetto Barnum può far sì che gli utenti credano che il test abbia identificato accuratamente la loro personalità unica.

    In realtà, questi test di personalità spesso utilizzano tecniche psicologiche basate su generalità che possono applicarsi a molte persone. Tuttavia, le persone tendono a identificarsi con queste descrizioni e a considerarle accurate, il che può influenzare la loro percezione di sé stesse e la loro interazione online.

  • I social NON leggono nel pensiero (ma ci arrivano lo stesso): fenomenologia del mago di Segrate

    Grand Hotel Excelsior era il cult di Castellano e Pipolo uscito nel 1982, giocato su un umorismo schietto, senza fronzoli e dai tratti surreali, oltre che precorritore di carovane di personaggi assurdi, macchiettistici, italiano-medio – tra cui naturalmente il mago di Segrate interpretato da Diego Abantantuono. Tra gli ospiti dell’hotel del film troviamo infatti il famoso “Mago di Segrate”, un mago autodidatta dotato di straordinari poteri paranormali, tra cui quello (gettonatissimo anche oggi, a giudicare dal successo dei cartomanti online) di prevedere il futuro di alcune persone, oltre a indovinare l’esito di un incontro di boxe.

    Oggi il “pubblico” che assiste a qualsiasi film (inclusi quelli delle vite dei popoli, ci viene da scrivere) lo osserva mediante internet. Nel film i poteri reali del mago rimangono in forte discussione per scopi grotteschi, ma il personaggio finisce lo stesso per conquistare il pubblico per il modo in cui viene costruito e per come presenta le cose – tanto che, ci verrebbe da scrivere, potremmo arrivare proporre una fenomenologia del mago di Segrate per la comunicazione sul web.

    La fenomenologia del Mago di Segrate potrebbe offrire un approfondimento interessante su come, alla lunga, le abilità magiche possono influenzare la percezione e la cognizione umana, oltre ad esplorare il significato culturale e storico di tali abilità. In particolare quella annessa alla lievitazione, che si vede verso la fine del film – quando il mago decide di eseguire una autentica levitazione dal balcone della sua camera, davanti a un pubblico entusiasta.

    La gioia e l’ammirazione sono di breve durata, nonostante tutto: l’assistente del mago, Ginevra, nel momento in cui si complimenta per la sua impresa, gli dà una pacca sulla spalla con un po’ troppa forza, che lo fa perdere l’equilibrio e cadere dal balcone, finendo così in ambulanza.

    I social hanno invaso le nostre vite private e produce una moderata indignazione, per dirla con un eufemismo, che i loro meccanismi siano ancora oggi poco comprensi e inquadrati dai più come qualcosa di esoterico. Perchè è inutile girarci attorno: quella del mago di Segrate voleva essere solo un’immagine suggestiva per mostrare l’idea che oggi, nonostante la mole di dati gigantesca con cui dobbiamo avere a che fare ogni giorno, nostro malgrado, dopo miriadi di spiegoni e di tomi che hanno spiegato in lungo e in largo il fenomeno della gestione “allegrotta” della privacy sui vari strumenti social, tutto sommato è “accettabile” scrivere che:

    i social “leggono nel pensiero”

    cosa che evidentemente rende l’idea e serve (si spera per loro) ad attirare qualche click in più.

    Strano a dirsi, ma questa è (articoli di settembre 2023).

    Nessun blog, nessuna testata è veramente immune al clickbait, per cui lungi da noi, sia chiaro, fare moralismo fine a se stesso per questo genere di scelta: del resto va detto non c’è lettura nel pensiero, signori, ci sono big data e analisi statistiche in ballo, oltre a numerosi bias psicologici che ci fanno sentire ancora più osservati del dovuto (il fenomeno più noto a riguardo è quando leggi qualcosa su internet e pensi che si rivolga automaticamente a te).

    Non vogliamo nemmeno minimizzare la portata dello spionaggio social, che peraltro sosteniamo non da oggi (da molto prima che diventasse una fissazione come un’altra per fan rossobruni e luddisti “le tecnologie sono il male“): ci piacerebbe, più che altro, che quei titoli (peraltro cappello di contenuti quasi sempre dettagliati e dignitosi, non è questo il punto) rischino di diventare l’espressione dell’epistemologia del Mago di Segrate, chie fa capire le cose a modo suo, fa ridere un po’ tutti (e nessuno ci crede sul serio, si spera) eppure tutti gli danno retta, in mancanza d’altro.

    Alzi la mano chiunque non sia incappato nella discussione con una persona qualsiasi che riteneva seriamente di attribuire poteri sovrannaturali al proprio smartphone, ad esempio. Se è vero che la quantità di dati personali trattati dall’IT è ultra-industriale, si potrebbe anche sostenere che nessuno è obbligato a stare sui social e tantomeno è obbligato (per quanto le condizioni contrattuali siano sempre più stringenti) a fornire dati reali agli stessi. Si potrebbe anche discutere sul fatto che non è affatto ideale fare uso di questi strumenti se davvero ci sentiamo come lo scarico di un lavandino in cui finisce letteralmente tutto.

    Rispondo sempre, in questi casi, che non si tratta di magia, magari fosse così semplice: magia in effetti sarebbe una spiegazione chiusa e ben definita (se ovviamente la scienza riuscirà mai a spiegarla, s’intende). Il punto è che promettere anche di magico a spiegazioni che sono ben note da tempo, significa anche sospettare che parlare di big data e di inferenza sui dati sia troppo per il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo, E a qualche malizioso potrebbe venire il sospetto che si tratti di insopportabile snobismo. Ne stavo giusto parlando con un amico su WhatsApp, prima, sottolineando peraltro come – a mio umile parere – la migliore scrittura è sempre quella che spiega le cose difficili in modo semplice. Quello che forse dovrebbero fare quegli articoli, o altri che ne usciranno. Senza mai usare parallelismi con la magia e con i maghi di Segrate, se possibile.

    Stiamo peraltro imparando a nostre spese che le spiegazioni delle “cose” – le cose di cui si occupa la fenomenologia, di per sè: comprensione della coscienza e dell’esperienza umana – sono quasi sempre complesse, niente è mai causa di tutto, non è mai colpa di X (con X singoletto), e soprattutto sappiamo bene che constatare la complessità del mondo crea scompensi notevoli ad alcuni: negazionismo, complottismo, cecità al cambiamento ostentata come la tessera di un partito politico. Che finisce anche per svilire la nobiltà degli intenti di chi vorrebbe denunciare le violazioni della privacy, che non dovrebbe fare appello ad allegorie fantasmologiche, sortilegi o fatture (se non in senso fiscale: gran parte dei social network si affida a data broker per rivendere i dati che volontariamente ci chiedono, come spiegato in quel primo articolo del Corriere dove, purtroppo, rimane il difetto di fondo dell’aver voluto fare uso dell’immagine impropria della “lettura nel pensiero”, nè più nè meno che attribuire il moto di un’automobile al turco meccanico).

    Se il concetto di “lettura del pensiero” può sembrare affascinante o misterioso, in definitiva, spesso le spiegazioni razionali si basano su processi cognitivi e comunicativi ben compresi, tutt’altro che noiosi o incomprensibili (breaking news: si possono divulgare tranquillamente a scuola e nei corsi di formazione per chiunque), il che sarebbe preferibile per limitare allarmismi ed isterie (una cosa di cui non abbiamo bisogno, nel contesto attuale). Le aziende che gestiscono i social sono più mentalisti che altro, al giorno d’oggi. Il mentalismo, lo ricordo, è un tipo di performance in cui il mentalista  fa sembrare di avere la capacità di leggere i pensieri, mentre sta usando tecniche consolidate di cold reading, suggestioni, bias psicologici e chi più ne ha, ne metta.

    Non che uno debba conoscere per forza queste cose, però almeno dotarsi della capacità di razionalizzarle, visto che parliamo di tecnologia e non di magia, sarebbe molto meglio.

  • Paura e delirio a Las Vegas: cast, storia, cenni alla regia, produzione, stile, sinossi, curiosità, spiegazione

    “Paura e delirio a Las Vegas”

    Eravamo dalle parti di Barstow, ai confini del deserto, quando le droghe cominciarono a fare effetto. Ricordo che dissi qualcosa tipo “Sento la testa leggera… potresti guidare tu?” D’un tratto ci fu un terrificante ruggito intorno a noi, e il cielo si riempì di cose che sembravano enormi pipistrelli stridenti in picchiata sulla nostra macchina… e una voce urlava “Santo iddio cosa sono questi maledetti animali?!

    Cast:

    • Johnny Depp come Raoul Duke
    • Benicio Del Toro come Dr. Gonzo
    • Tobey Maguire in un ruolo non accreditato
    • Christina Ricci come Lucy
    • Ellen Barkin come la cameriera North Star Waitress

    Regia: Il film è stato diretto da Terry Gilliam.

    Produzione

    “Paura e delirio a Las Vegas” è uscito nel 1998 ed è basato sull’omonimo romanzo di Hunter S. Thompson. Il film è una commedia nera e surreale che esplora il viaggio psichedelico e controculturale di due amici giornalisti attraverso il deserto del Nevada.

    Stile

    Il film è noto per il suo stile visivo e narrativo unico, che riflette l’esperienza alterata dei protagonisti a causa delle droghe psichedeliche. L’uso di effetti speciali, sequenze allucinatorie e montaggio frenetico contribuisce a creare un ambiente distorto e surreale che riflette lo stato mentale dei personaggi.

    Sinossi

    Il film segue le avventure di Raoul Duke, uno scrittore di giornalismo gonzo, e del suo avvocato Dr. Gonzo, mentre viaggiano verso Las Vegas per coprire una gara motociclistica. Nel corso del viaggio, i due consumano una varietà di droghe psichedeliche, il che porta a una serie di situazioni bizzarre e allucinatorie. Mentre attraversano il deserto, incontrano personaggi eccentrici, partecipano a feste selvagge e si trovano coinvolti in situazioni sempre più surreali.

    Il film si basa su una storia autentica?

    Il film si fonda su un romanzo del 1971 scritto da Hunter S. Thompson, intitolato “Paura e disgusto a Las Vegas“. Sebbene il film sia ispirato al libro, è importante sottolineare che sia il romanzo che il film sono opere di finzione che incorporano elementi di esperienze e riflessioni dell’autore. La storia si basa su una storia romanzata scritta da Hunter S. Thompson, ma molte delle situazioni e degli eventi rappresentati sono esagerati e distorti in modo surreale per fini narrativi e satirici. Quindi, pur avendo radici nella riflessione dell’autore sulla cultura e la società dell’epoca, non si tratta di una rappresentazione puramente autentica dei fatti.

    Curiosità

    • Il film è basato sul libro di Hunter S. Thompson, che a sua volta era un resoconto romanzato dei suoi viaggi e delle sue esperienze con droghe psichedeliche negli anni ’70.
    • Johnny Depp si è avvicinato a Hunter S. Thompson per prepararsi per il ruolo, trascorrendo tempo con lui e persino accompagnandolo a eventi pubblici.
    • Il film è stato girato principalmente in California, ma è riuscito a catturare l’atmosfera surreale e unica di Las Vegas e del deserto circostante.

    Spiegazione dettagliata finale (SPOILER)

    Verso la fine del film, Raoul Duke ha un’intensa allucinazione in cui si trova in una stanza d’hotel, circondato da creature strane e inquietanti. Durante questa scena, sembra attraversare momenti di angoscia e confusione. Questa sequenza è emblematica dell’effetto delle droghe psichedeliche e della perdita di contatto con la realtà.

    Verso la fine del film, Raoul e Gonzo sono costretti a lasciare Las Vegas, lasciando alle spalle il caos e la distruzione che hanno causato. La sequenza finale vede Raoul guidare fuori dalla città, riflettendo sulla natura del sogno americano e sulla follia della società. La voce narrante di Raoul esprime un senso di disincanto e disillusione, evidenziando come le loro avventure allucinatorie abbiano messo in luce la falsità e l’ipocrisia del mondo che li circonda.

    La conclusione del film rappresenta una sorta di risveglio per Raoul, che si rende conto dell’assurdità delle sue azioni e dell’illusione dietro il “sogno americano”. La sua riflessione finale porta a una sorta di catarsi personale, anche se il film non offre una risposta chiara o definitiva. L’intera esperienza può essere interpretata come una critica all’eccesso, all’alienazione e alla ricerca di significato in un mondo distorto.

    Tieni presente che questa è solo una possibile interpretazione del finale del film, e il suo stile aperto e surreale permette a ciascuno spettatore di trarre le proprie conclusioni.

    Frasi famose del film / Citazioni

    [Al convegno della polizia] Riconosci i drogati, potrebbe salvarti la vita. Potresti non vedergli gli occhi perché hanno gli occhiali da sole, ma avranno le nocche bianchissime per la tensione interna… e i pantaloni incrostati di sperma per le continue masturbazioni quando non trovano una vittima da stuprare. Barcolleranno e balbetteranno se interrogati e non avranno rispetto per il tuo distintivo. Il drogato non ha paura di nulla: ti attaccherà senza motivo con ogni arma a portata di mano… Compresa la tua. Fa attenzione: qualsiasi agente che arresti un sospetto consumatore di marijuana deve usare immediatamente tutta la forza necessaria. Un colpo in tempo su di lui di solito lo evita… A te! (Bumquist)
    [Parlando di Lucy] Tra meno di un’ora sarà abbastanza lucida da farsi venire un attacco religioso in nome di Gesù al confuso ricordo di essere stata sedotta da uno strano, crudele samoano che l’ha nutrita di alcol e LSD… l’ha trascinata in una camera d’ albergo, dove le ha selvaggiamente penetrato ogni orifizio del suo corpicino col suo palpitante e non circonciso membro! (Raoul Duke)
    [Strafatto di adrenocromo, prima di cadere per terra] Finisci questa tua storia del cazzo!… Cos’è successo… Che c’entrano le Ghiandole?!? (Raoul Duke)
    [Strafatto di adrenocromo] Sto per diventare un quadrupede! Quadrupede! (Raoul Duke)
    Al mondo non c’è nulla di più irresponsabile e depravato di un uomo negli abissi di una sbornia di etere, e io sapevo che ci saremmo arrivati abbastanza presto. (Duke voce narrante)
    Avevamo due buste di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di acido superpotente, una saliera mezza piena di cocaina, un’intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti. E anche un litro di tequila, un litro di rum, una cassa di birra, mezzo litro di etere puro e due dozzine di fialette di popper. Non che per il viaggio ci servisse tutta quella roba, ma quando ti ritrovi invischiato in una seria raccolta di droghe, la tendenza è di spingerla più in là che puoi. (Raoul Duke, voce narrante)
    Chi l’ha detto? Chi è che vuole farti a pezzetti? Volevo solo farti una piccola Z sulla fronte. (Avv. Gonzo)
    Con un po’ di fortuna la sua vita sarà rovinata per sempre, pensando che proprio dietro una porta in tutti i suoi bar preferiti, uomini con camicie rosse di lana, provano sballi incredibili con cose che lui non conoscerà mai… (Raoul Duke)
    È una cosa che fa ribrezzo… Questo è aah… aah! Questo è aah… aah! Questo è aah… (Avv. Gonzo)
    Etere diabolico… ti fa comportare come l’ubriacone del villaggio di un romanzo irlandese: perdita totale di ogni elementare capacità motoria, vista offuscata, niente equilibrio, lingua intorpidita. La mente si rifugia nell’orrore incapace di comunicare con la colonna vertebrale, il che è interessante perché ti permette di osservarti mentre ti comporti in quel modo spaventoso ma non puoi farci niente. (voce narrante)
    Fetente! Scoprirò dove abiti e ti brucerò la casa, brutto pezzo di merda! (Avv. Gonzo)
    Fuoco! (Raoul Duke)
    Guida tu. Guida tu! Non credo di essere a posto. (Avv. Gonzo)
    Hai visto!? Un figlio di puttana mi ha spinto da dietro! (Avv. Gonzo)
    Ho visto questi bastardi in Easy Rider non credevo fossero veri, non così, ce ne sono centinaia. (Avv. Gonzo, al convegno dell’antidroga)
    Il circo Bazooko è tutto quello che il mondo alla moda sarebbe al sabato sera se i tedeschi avessero vinto la guerra, è il Sesto Reich. (voce narrante)
    In quella stanza c’erano prove di un eccessivo uso di quasi ogni tipo di droga conosciuta dall’uomo civile dal 1544 dopo Cristo. (Raoul Duke)
    Inutile parlare di pipistrelli pensai… Il povero bastardo presto li avrebbe visti da solo. (Raoul Duke)
    L’acido gli aveva alterato i meccanismi. La prossima fase sarebbe stata probabilmente uno di quegli incubi introspettivi, diabolici e intensi. Quattro ore o giù di lì di disperazione catatonica. (Raoul Duke)
    L’etere stava svanendo, l’acido era sparito da un pezzo, ma la mescalina stava andando forte. (Raoul Duke)
    La parola d’ordine è “una mano lava l’altra”… Quando te la senti dire, risponderai “non temo nulla”. (Raoul Duke)
    Ne hai preso troppo bello… ne hai preso troppo, troppo. (Avv. Gonzo, rivolto a Duke)
    Non fare Moby Dick con me. Io sono Achab. (Raoul Duke)
    Ordina delle scarpe da golf, o non usciremo vivi da questo posto! (Raoul Duke)
    Ormai era tutto finito: avevamo violato tutte le norme che regolavano Las Vegas, sfottendo gli abitanti, oltraggiando i turisti, terrorizzando il personale… L’unica speranza, pensavo, era la possibilità che avessimo talmente ecceduto che nessuno che si trovasse nella posizione di condannarci avrebbe creduto alla cosa. (Raoul Duke)
    Passammo il resto della serata a ramazzare materiali e a stivarli nella macchina, poi ingurgitammo della mescalina e andammo a nuotare. (voce narrante)
    Qualcuno vuole dell’LSD? Ho qui tutto il necessario! Cerco solo un posto per cucinare!. (Hunter Stockton Thompson)
    Quelli di noi che erano stati in piedi tutta la notte non erano dell’umore giusto per caffè e frittelle, volevamo bere forte. Dopotutto eravamo la crema della stampa sportiva nazionale. (Raoul Duke)
    Sappiamo cos’hai in mente. (Avv. Gonzo)
    Siamo tuoi amici… Non come gli altri bello… (Avv. Gonzo)
    Solo un altro orrendo profugo della generazione dell’amore. (voce narrante)
    Sono delle cazzate madornali! Mi trovi al casinò. (Avv. Gonzo)
    Sta’ a sentire brutta testa di merda, sono stato fottuto a sangue nella mia vita da una ragguardevole congrega lercia di meschini irascibili poliziotti fanatici delle regole e ora, è il mio turno… perciò vaffanculo agente… comando io! (Sven)
    Strani ricordi in quella nervosa notte a Las Vegas. Sono passati cinque anni? Sei? Sembra una vita. Quel genere di apice che non tornerà mai più. San Francisco e la metà degli anni sessanta erano un posto speciale e un momento speciale di cui fare parte. Ma nessuna spiegazione, nessuna miscela di parole, musica e ricordi poteva toccare la consapevolezza di essere stato là, vivo, in quell’angolo di tempo e di mondo, qualunque cosa significasse. C’era follia in ogni direzione, ad ogni ora, potevi sprizzare scintille dovunque, c’era una fantastica, universale, sensazione che qualunque cosa facessimo fosse giusta, che stessimo vincendo. E quello, credo, era il nostro appiglio, quel senso di inevitabile vittoria sulle forze del vecchio e del male, non in senso violento o cattivo, non ne avevamo bisogno, la nostra energia avrebbe semplicemente prevalso, avevamo tutto lo slancio, cavalcavamo la cresta di un’altissima e meravigliosa onda. E ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e guardare a ovest, e con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno dell’acqua alta, quel punto, dove l’onda infine si è infranta ed è tornata indietro. (voce narrante)
    Ti pagano per fotterti quell’orso? (Avv. Gonzo)
    Ti prego! Di a questi di tirare fuori le scarpe da golf! (Raoul Duke)
    Trovare le droghe e le camicie, non era stato un problema. Ma la macchina e il registratore non erano facili da rimediare alle sei e mezzo di venerdì pomeriggio a Hollywood. (voce narrante)
    Una delle cose che impari dopo anni che hai a che fare con drogati è che puoi voltare le spalle a chiunque, ma mai voltare le spalle a un drogato. Soprattutto quando ti agita davanti un coltello da caccia affilatissimo. Cosa stavo facendo lì? Che significato aveva quel viaggio? Stavo solo vagando sotto l’effetto di qualche droga, o ero davvero venuto a Las Vegas per scrivere un pezzo? Chi sono queste persone? Queste facce? Da dove vengono? Sembrano caricature di rivenditori di auto usate di Dallas. E, Gesù Benedetto, ce ne sono tantissimi alle 4 e mezza di domenica mattina, ancora ingroppando il sogno americano, quella visione del grande vincitore che emerge dall’ultimo caos peraurorale di un trito casinò di Las Vegas. (Raoul Duke)
  • Guida pratica al panottico (πανόπτικον)

    Quello che ci offre il Panottico è una visione paradigmatica del controllo sociale, uno strumento potentissimo per manipolare e modellare il comportamento umano. Bentham, in tutta la sua genialità, ha forgiato questa prigione delle menti umane, dove un occhio invisibile osserva costantemente, ma non conosciamo mai il momento preciso dell’osservazione. Il concetto di Panottico è diventato ampiamente noto grazie alle opere di Jeremy Bentham e ha influenzato notevolmente il pensiero filosofico e sociologico sulla sorveglianza, il potere e il controllo sociale. Bentham coniò il termine “panopticon” per descrivere questa struttura, basandosi sulla sua etimologia greca e latina.

    Il Panottico, o Panopticon, è un concetto architettonico e sociale ideato dall filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo. Si tratta di un modello di prigione o istituzione di sorveglianza che ha lo scopo di ottenere un controllo costante ed efficace su un gran numero di individui con il minimo sforzo da parte dei sorveglianti.

    Pensateci bene, siamo tutti potenziali detenuti in questa struttura di controllo. La paura di essere sorvegliati in qualsiasi momento ci induce a conformarci, a piegarci alle norme, anche quando nessuno ci sta osservando effettivamente. Ecco il vero potere del Panottico, una sorta di auto-sorveglianza interiore che si attiva, e questa auto-sorveglianza, questa disciplina auto-imposta, è il più subdolo dei poteri. Ma sappiamo che questo modello è imperfetto, perché, come sempre, c’è un gioco di potere in gioco. Chi detiene davvero il potere, chi controlla l’occhio che guarda? Non possiamo essere ingenui riguardo a chi ha il controllo sul Panottico. Potrebbe essere un potere centrale, un governo, o un’autorità invisibile e onnipresente, come la società stessa, le norme sociali, le aspettative internalizzate. E qui arriva il colpo di genio di Bentham: anche se il Panottico non esiste fisicamente, il suo modello permea la nostra società moderna. Le tecnologie di sorveglianza, i social media, il controllo digitale, tutto ciò sono strumenti moderni del Panottico. La nostra vita è sottoposta a un costante scrutinio digitale, e spesso siamo noi stessi a fornire volentieri i dettagli delle nostre vite.

    Panottico in chiave paranoica

    Sviluppare il Panottico come emblema per un uomo paranoico e psicologicamente fragile richiederebbe una rappresentazione che catturi i temi di sorveglianza e controllo, ma con un’attenzione particolare alla fragilità psicologica e alla paranoia dell’uomo moderno, immerso nei social e in un mondo che gli piace sempre meno. Ambientazione claustrofobica. Questo potrebbe simboleggiare la sensazione di essere intrappolati e costantemente sorvegliati, tipica della paranoia. Un occhio stilizzato e onniveggente, rappresentato come simbolo centrale.

    Una catena spezzata o un simbolo di prigionia rotta potrebbe rappresentare il desiderio di liberarsi dal controllo e dalla sorveglianza oppressivi, simboleggiando il desiderio di rompere con le paure paranoiche. Potrebbero essere presenti espressioni o elementi che rappresentano l’ansia e la tensione psicologica, come linee spezzate, forme contorte o colori discordanti. Alcuni elementi che rappresentano la mente potrebbero essere inclusi per riflettere la fragilità psicologica, come labirinti, ingranaggi o vortici, suggerendo un flusso confuso di pensieri e paure. L’uso di colori scuri o cupi, come il nero, il grigio e il blu scuro, potrebbe sottolineare la natura oscura e opprimente della paranoia e della fragilità psicologica.

    L’emblema dovrebbe essere realizzato con sensibilità e attenzione per non enfatizzare eccessivamente la paranoia o rafforzare idee deliranti, ma piuttosto rappresentare simbolicamente l’esperienza emotiva del paranoico e psicologicamente fragile, incoraggiando un’empatia verso la sua lotta interiore.

    Significato panottico

    L’etimologia della parola “panottico” deriva dal greco antico: la parola “pan” (πᾶν) nel greco antico significa “tutto”, “ogni cosa”, mentre “optikon” (ὀπτικόν) significa “relativo alla visione” o “ciò che vede”. Insieme, “panopticon” (πανόπτικον) significava “che vede tutto”, letteralmente “tutto ciò che vede”.

    Questo termine fu poi adottato nella lingua inglese dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo per descrivere il concetto architettonico e sociale da lui ideato. Il Panottico era un modello di prigione o istituzione di sorveglianza che permetteva a un unico punto di osservazione di vedere tutti i detenuti o soggetti sorvegliati, creando così un costante senso di vigilanza e controllo.

    Film e serie TV ispirate al panottico

    Questi film e serie televisive esplorano il tema del controllo sociale, della sorveglianza e della manipolazione delle masse, spesso offrendo spunti di riflessione sulla nostra società e sul futuro delle tecnologie.

    1. The Truman Show” (1998) – Questo film diretto da Peter Weir è un esempio classico di un individuo che vive in un ambiente controllato e sorvegliato senza saperlo. Il protagonista, interpretato da Jim Carrey, vive in una città fittizia dove ogni aspetto della sua vita è trasmesso in diretta televisiva.
    2. The Circle” (2017) – Un film diretto da James Ponsoldt basato sull’omonimo romanzo di Dave Eggers. Affronta il tema dei social media e della sorveglianza digitale, dove una giovane donna viene assunta in un’importante società tecnologica che promuove la trasparenza estrema e il controllo dei dati personali.
    3. “Gattaca” (1997) – Un film di fantascienza che esplora temi di eugenetica e controllo genetico. La società è organizzata in base al perfezionamento genetico, e chi non ha le qualità genetiche desiderate viene emarginato.
    4. “Equilibrium” (2002) – Questo film distopico presenta un futuro in cui le emozioni sono considerate illegali e soppresse attraverso l’uso di una droga. La società è altamente controllata e qualsiasi forma di espressione emotiva è punita.
    5. Black Mirror” (2011-2019) – Una serie televisiva antologica che esplora le implicazioni sociali e psicologiche delle tecnologie avanzate, spesso mettendo in evidenza la sorveglianza, la perdita di privacy e il controllo sociale.
    6. “Minority Report” (2002) – Un film di fantascienza diretto da Steven Spielberg, basato su un racconto di Philip K. Dick. La trama coinvolge un’unità speciale di polizia in grado di prevenire i crimini futuri attraverso la visione dei “precog”, individui in grado di vedere il futuro.

    Immagine di copertina generata da DALL E (a dark modern panopticon).

  • Che cos’è uno stilema

    Lo stilema è un concetto utilizzato nella teoria della letteratura per indicare una caratteristica stilistica ricorrente o distintiva all’interno di un’opera o di un autore. Si tratta di un elemento riconoscibile che si ripete e che può essere considerato un marchio distintivo dello stile di scrittura di un autore o di un periodo letterario.

    Gli stilemi possono riguardare vari aspetti della scrittura, come figure retoriche, modalità espressive, temi ricorrenti, schemi linguistici o persino motivi specifici nella trama o nel modo in cui viene presentato il testo. L’identificazione degli stilemi può aiutare gli studiosi a comprendere meglio lo stile e le caratteristiche peculiari di un autore o di un’epoca letteraria.

    Il concetto di stilema può essere esteso anche al contesto cinematografico. Nei film, gli stilemi possono riguardare elementi ricorrenti o distintivi che caratterizzano lo stile di un regista, di un genere cinematografico o di un periodo specifico nella storia del cinema.

    Gli stilemi cinematografici potrebbero includere:

    1. Tecniche di regia: Modalità di ripresa, uso della luce, inquadrature specifiche, movimenti della macchina da presa che identificano il regista o un certo genere.
    2. Motivi visivi o simbolici: Elementi visivi ricorrenti che hanno significati simbolici o tematici all’interno del film.
    3. Stile narrativo: Modi particolari di strutturare la trama, di presentare il racconto o di sviluppare i personaggi che caratterizzano il regista o il genere cinematografico.
    4. Ripetizioni tematiche o di genere: Temi ricorrenti o motivi specifici che si presentano frequentemente nei film di un regista o in un particolare genere cinematografico.
    5. Tecniche di montaggio: Modalità di montaggio o uso della colonna sonora che diventano distintive per un regista o per un periodo specifico del cinema.

    Identificare gli stilemi nei film può essere utile per comprendere meglio il lavoro di un regista, il contesto storico-culturale di un’opera o per analizzare come certi elementi contribuiscano a definire un genere cinematografico. Foto di Dmitriy da Pixabay

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