Crimes of the future: il post-apocalittico del 1969 targato Cronenberg

In una società distopica del prossimo futuro c’è stata un’epidemia (oggi sappiamo cosa sia una pandemia, qui eravamo solo nel 1969): a causa dell’effetto collaterale di un cosmetico molto utilizzato, gran parte delle donne adulte sono morte. Chi viene infetto dal virus e non muore sembra perdere il controllo della propria volontà, e inizia a secernere una schiuma dal petto e dalle orecchie, il che lo rende sessualmente attrattivo e vettore di contagio al tempo stesso. Sono sopravvissute le bambine, rimaste tragicamente sole in un mondo di soli uomini. Adrian Tripod è un sedicente scienziato dallo sguardo gelido e la voce atona e monocorde; sta visitando una serie di cliniche guidato da un insondabile flusso di coscienza. Ad ispirarne le gesta, il controverso dermatologo Adrian Rouge, responsabile di un trattamento cosmetico che ha ucciso tutte le donne adulte sulla terra.

In breve: il primissimo David Cronenberg ultra-low budget, produce un film imprevedibile, un horror clinico che prefigura certo body horror e che risulta ancora oggi da riscoprire, nonostante una forma molto essenziale, numerosi sottintesi non sempre intellegibili e varie velleità da cinema d’essai.

Crimes of the future é un mediometraggio scritto e diretto dal David Cronenberg nel 1969, differente da quello del 2022 di prossima uscita (non c’è relazione tra le due pellicole, nonostante si possa pensare ad un remake). Crimes of the future del 1969 anticipa, almeno in parte, le tematiche che saranno sviluppate ampiamente dal regista nel seguito della sua lunga carriera: soprattutto quelle concettuali e biologico-filosofiche, legate ai limiti della scienza e della tecnologia ed alla definizione (impresa che sembra persa in partenza) di una sua etica universale. Il che lo rende un film difficilmente estendibile al grande pubblico, che in genere non vede di buon occhio lavori del genere, a cui bisogna ammettere come sostanziale difetto l’essere ostinatamente ripiegati sulle proprie spiegazioni, auto-indulgenti per partito preso.

Analisi generale del film

Preso per quello che è, Crimes of the future (Crimini del futuro, a sottolineare probabilmente il senso di responsabilità e le potenziali minacce sul genere umano prodotte da un uso distorto della scienza) risulta ancora oggi un prodotto “di nicchia” schizofrenico, eversivo, fuori dai canoni e denso di significati, dal sapore molto poco mainstream. Al tempo stesso, col suo incedere lento o addirittura esasperante, lo rende ben lontano dall’essere l’Opera Perfetta, per quanto sia dotato di un’affascinante narrazione criptata che, per la verità, il finale chiarisce solo per via di allusioni. Al tempo stesso le idee che scomoda sono inquietanti nella loro semplicità, tra cui quella di una malattia organica che sia in grado di contagiare un virus mortale mediante secrezioni di schiuma, che tale malattia sia afrodisiaca e che, soprattutto, il mondo del futuro sia totalmente defemminizzato, ovvero privo di donne adulte e popolato da uomini e bambini/e.

Il che porta Crimes in una direzione da horror puramente rituale: sarà necessario trovare e “sacrificare”, ovviamente in senso prettamente sessuale, una giovane donna, la quale possa consentire alla specie di riprendere a prolificare. L’alternativa a questa idea è, senza mezzi termini – e per quanto il film non sia troppo esplicito in merito – l’estinzione del genere umano.

A cosa si riferisce Crimes of the future

La storia di Adrian Tripod ci introduce a uno scenario surreale e vagamente post-apocalittico, in cui in ogni sequenza si muovono massimo tre o quattro personaggi accompagnati da inquadrature in camera fissa, lotte psicologiche di potere, pazienti potenzialmente aggressivi tenuti a bada da medici dall’aspetto ancora più inquietante, claustrofobia (quasi tutti gli scenari sono esterni di cliniche da cui, in apparenza, non c’è modo di uscire); il tutto mentre all’esterno minaccioso futuro (quello del titolo) dai contorni indefinibili, si scontano sia crimini innati nell’uomo che il frutto di scelte degenerate e ciniche contro la natura.

Gli sguardi enigmatici dei protagonisti che si interrogano senza parlare spingono il pubblico a porsi mille domande di natura clinica, esistenziale, a volte legata alle parafilie (il paziente che estrae indumenti intimi femminili d’epoca), in un mix multilivello che ha da sempre caratterizzato la filmografia di Cronenberg da Videodrome a Inseparabili, passando per Spider e tutti gli altri. Al tempo stesso Crimes of the future è il perfetto film d’essai che non si può, nè mai si dovrebbe, provare a spiegare in termini didascalici, pena banalizzarne il contenuto o renderlo ciò che non è (peggio ancora, far dire al film ciò che non dice, cosa che certe recensioni e forse addirittura libri sull’argomento potrebbero aver sciaguratamente fatto).

Molte stranezze che si vedono nel film (e sono tante), non rimarranno risolte nemmeno nel finale: nonostante il cerchio non si chiuda in modo matematico, per così dire, rimane una grandissima carica di fascino ed il film resta di ottimo livello, e quel sorriso finale della giovane vittima in camera provoca i brividi solo se ci si rende conto del perchè si trovi lì (poco prima gli uomini inquadrati sono stati caratterizzati come pedofili).

Mancanza di dialoghi e colonna sonora fatta di suoni industrial

Fermo restando di accettare di buon grado il patto implicito col regista, che affida la narrazione ad un Adrian Tripod monocorde e dal sapore noir, si consideri inoltre che l’intero film è del tutto privo di parlato. La colonna sonora del film non esiste, o meglio: sono rumori, fischi, interferenze usate come colonna sonora.

La schiuma bianca: che cos’è?

Il fluido prodotto dalla malattia di Rouge è un prodotto biologico di una malattia scoperta da Rouge, e produce il duplice effetto di essere probabilmente tossico e sviluppare, al tempo stesso, attrattività sessuale da parte dei partner, così come viene spiegato da Tripod in uno dei primi passaggi del film. Non solo: Rouge ha scritto di evoluzione biologica, sviluppando originali concetti di “rievocazione genetica“, una tecnica esoterica per riportare l’uomo alle origini dell’evoluzione, fino ai tempi remoti in cui aveva delle pinne al posto dei piedi. Cronenberg fa sopperire, in modo semplice quanto emblematico, la mancanza di donne sessualmente mature sulla terra con lo smalto per le unghie che molti uomini, in questo film, usano (ovviamente senza tenere presente l’aspetto dell’estinzione delle donne sulla terra a causa degli effetti collaterali di un cosmetico sarà difficile non sgranare gli occhi o non fare considerazioni, per così dire, fuori dalle righe).

Crimes of the future include in un script decisamente originale (quanto, come si diceva prima, vagamente autoindulgente e un po’ troppo sicuro di sè) una lista di patologie inventate dalla penna di Cronenberg dall’alto sapore metafisico e simbolista: il primo paziente, ad esempio, secerne una schiuma frutto della misteriosa malattia di Rouge, il che lo presta ad un rapporto potenzialmente omoerotico; il secondo sviluppa organi interni mai visti, di cui si ignora la funzione; nell’ottica filosofica del paziente, il corpo è una galassia, e si diventa malinconici quando ci si separa da quegli organi (viene in mente che, di recente, Cronenberg sia stato operato per un calcolo renale e abbia richiesto di farlo diventare un NFT).

Seguono coloro che sembrano affetti da crisi depressive o malattie psichiatriche, secondo il narratore destinati a occupare posti dirigenziali (sic), e che portano Adrian a conoscere, nelle sequenze finali, la setta di pedofili auto-costituitati dopo aver rapito una bambina.  Le cliniche visitate dalle peregrinazioni di Adrian sono collegate tra di loro in quanto, da quello che sentiamo dire (che è il racconto di un folle non dichiarato come tale, un po’ come avviene per il Dottor Caligari), Adrian è alla ricerca del proprio mentore, Adrian Rouge, nonostante ammetta di averne constatato la morte per la malattia che porta il suo nome.

Il personaggio di Adrian Tripod

Crimes of the future è incentrato sulla figura ambigua del personaggio di Adrian Tripod, gelido, enigmatico e affetto da una sorta di morbosa parafilia per le secrezioni organiche, ma è anche attorno alla sua psicotica anima che si sviluppa l’intreccio, anticipando forse in parte ciò che sarà rifatto, con mezzi decisamente più sviluppato, in Spider. Un personaggio tanto sfumato che il suo ruolo effettivo verrà più volte messo in discussione, in un magistrale gioco di ambiguità e di ribaltamenti di fronte. La sua voce narrante, fuori campo, atona e morbosa, si contraddice più volte, è spesso poco chiara e cita spesso le scoperte del sedicente dermatologo Antoine Rouge.

Non solo: i dialoghi degli altri personaggi, che sarebbero in teoria preziosi per comprendere appieno la storia, sono sostituiti dal silenzio, rumori industriali assordanti (che costituiscono la colonna sonora del film) si alternano al monologo principale, e questo è quanto. Un film non banale da guardare, autentico pane per i denti degli amanti del regista e del cinema “fuori dalle righe”, per quanto dotato di qualche difetto insito in una poetica di fondo probabilmente poco evoluta, oltre qualche passaggio quasi incomprensibile. E posso confermare, dopo averlo visto, che ne vale la pena, e che non si tratta di una delle tante opere stucchevoli e fini a se stesse come tante, purtroppo, ne abbiamo viste uscire non solo tra anni ’60 e ’70.

Più discusso che visto?

Da buon prodotto atipico, potrebbe essere vero quanto scritto dal critico Kim Newman in Nightmare Movies, che ne parla come film più divertente da leggere che da guardare (“more fun to read about in synopsis than to watch“), soprattutto perchè ritmato in maniera poco convenzionale, tanto da rasentare il rischio noia (“it’s possible to be boring and interesting at the same time“). La metafora dell’uomo solitario, che si aggira in mondi che non sono suoi, si affianca ad una specie di mònito per il nostro futuro: i crimini del futuro verranno commessi ed accettati dalla società in nome di un’idea di progresso che, nel frattempo, potrebbe non essere più tale.

Le sequenze di immagini non paiono che una giungla di mutazioni genetiche, riferimenti all’evoluzionismo ed alla biologia, malattie contagiose, allusioni sessuali morbose, schizofrenia, solitudine e alienazione. Uno scenario insopportabile e continuamente mutevole, ambientato in cinque cliniche differenti (House of Skin, Istituto delle Nuove Malattie Veneree, Metaphysical Import-Export, Gruppo Oceanico-Podologico) nelle quali il protagonista, suo malgrado, è costretto ogni volta ad ambientarsi ed a trarre nuove conseguenze e insegnamenti. Conseguenze che saranno portate all’estremo, in un finale di quelli memorabili.

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