La corsa al nucleare ha prodotto effetti devastanti sulla Terra: il clima muta senza preavviso e l’asse terrestre si è disallineato. Un giornalista di una testata locale indaga sul caso…
In breve. Sci-fi apocalittica classica, con numerosi spunti che saranno fonte di ispirazione per film successivi ed un climax angosciante di sottofondo. Da riscoprire.
The day the earth caught fire rientra nei classici del genere di ogni ordine e grado, probabilmente tra i film in nuce di un trend che poi, in varie sale, avrebbe spopolato nelle sale in seguito. La fine del mondo viene espletata e discussa in un climax ascendente di dettagli, tensione e paura, con la formazione di relazioni tra esseri umani e problematiche personali dei singoli (il protagonista, Peter Stenning, è un giornalista depresso con il vizio dell’alcol e un divorzio tormentoso alle spalle).
Le basi di questo film del 1961 scritto da Val guest e Wolf Mankowitz (e diretto dal primo) servono a montare le basi di un genere che poi prenderà le pieghe più diverse. Le immagini iniziali di una Londra deserta, in effetti, non possono che evocare in prima istanza quelle di 28 giorni dopo, con i suoi celebri zombi rallentati ed il suo clima asfissiante.
Ma in questa pellicola di culto dei primi anni Sessanta, in effetti, non c’è traccia di morti viventi: a minacciare di distruggere la terra è il cambiamento climatico, indotto da esperimenti nucleari che hanno disallineato l’asse terrestre. Il tutto ha provocato sconvolgimenti del clima, carenza di acqua e un innalzamento globale delle temperature.
Durante i primi fotogrammi assistiamo pertanto alle conseguenze dei fatti (un caldo incessante che domina la città), per poi vivere un lungo flashback di come ci siamo arrivati introdotto da una cupa voce narrante. A rendere più leggero il contesto, in qualche modo, la consueta storia d’amore tra un giornalista svogliato e depresso e la centralinista di un centro metereologico.
The day the earth caught fire non spaventa, visto oggi, per ciò che è, in effetti, ma per quello che lascia intendere; gioca molto di sottintesi e fa da monito al pubblico ad una maggiore sensibilità per l’ambiente. In tal senso la geniale trovata del finale ambiguo (con i due titoli di giornali alternativi pronti alla stampa: La terra è salva & La terra è finita) lascia un barlume di speranza per la sopravvivenza del genere umano. Cosa che in altri film come La notte dei morti viventi (che uscirà solo 7 anni dopo) registi come George Romero non avevano fatto, preferendovi un cupo pessimismo (La terra è finita per definizione), e che è probabilmente, in questo frangente, una delle cause della memorabilità pop della pellicola (senza contare che, all’epoca, un finale troppo pessimista sarebbe stato difficilmente accettato dai più).
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon