David Cronenberg irrompe come un tornado fanta-horror nelle sale: si tratta di un inatteso ritorno al body horror delle origini, e ad un mood narrativo e concettuale che mancava forse dai tempi di eXistenZ. Crimes of the future è scritto nonchè diretto da Cronenberg, ed è orgogliosamente di vecchia scula: la fantascienza che vediamo è puramente ballardiana (autore interpretato dal regista in Crash), e questo è ravvisabile nello scenario poco illuminato, oscuro, post-apocalittico (eppure impeccabile, in apparenza) in cui si muovono i suoi personaggi.
Il nuovo Cronenberg non è per niente banale, scomoda un apparato concettuale e filosofico non da poco – ma non per questo si presenta come inintellegibile, o peggio ancora tanto d’essai da risultare ostico: al contrario, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore fin dall’inizio: questo soprattutto grazie all’interpretazione solida dell’inossidabile Viggo Mortensen e alla presenza algida e inquietante di Léa Seydoux, pur lasciando qualche spiraglio narrativo irrisolto (e qualche altro personaggio non proprio compiuto).
Del resto il regista canadese è ben in grado – fin dagli anni Novanta – a presentare ogni nuova creazione in veste imprevedibile, introducendo una narrazione innovativa, inedita, ricollegabile a mille influenze eppure originalissima, da cui lo spettatore può gradevolmente, tutto sommato, lasciarsi trasportare. Va tenuto conto di come si tratti di un’opera molto diversa da quelle più recenti, e che i lidi dell’horror fantascientifico non venivano lambiti da troppo tempo: sono trascorsi, per la cronaca, ben otto anni dal precedente Cosmopolis, che era una una trasposizione del romanzo omonimo di De Lillo, al limite del saggio socio-politico, dal punto di vista del giovane yuppie protagonista. Nel frattempo Cronenberg si è cimentato con il genere storico-psicoanalitico con A Dangerous method, con il genere thriller più classico (senza troppo successo, probabilmente), mentre qui riprende un tema narrativo che richiama i suoi horror delle origini, di cui (a parte eXistenZ, con cui questo Crimes of the future ha più di qualcosa in comune, a livello soprattutto visivo) potremmo indicare come riferimento basilare horror criptici come Brood, con le sue invenzioni cliniche (la tecnica “psicoplasmatica”) qui rimpiazzata dall’uso della chirurgia, in un prossimo futuro, non solo come attività ordinaria o qualunquistica – ma anche come vero e proprio stimolo erotico. È chiaro già da qui che Cronenberg intenda da fantascienza in senso puramente ballardiano, non come progresso tecnologico positivistico bensì come oggetto feticcio che provoca spaesamento, inquietudine, perturbanza e, in alcuni casi, mutazioni organiche vere e proprie.
La chirurgia è il nuovo sesso.
Si tratta di un vecchio lavoro incompiuto ripreso dall’anno 2003, all’epoca girato da Cronenberg con il titolo provvisorio Painkillers, incentrato sul mondo della performance art e dell’arte concettuale, ed ambientato in una società in cui il dolore è stato soppresso dalla medicina. Anche senza aver letto La società senza dolore di Byung-Chul Han è facile intuire che questo ha delle conseguenze rilevanti: se da un lato sembra aver prodotto un benessere generale, dall’altro ha finito per modificare la fisiologia umana fino cambiare la sessualità, rendendo impraticabile il BDSM e, alla lunga, rendendo altresì inutili gli organi riproduttivi. I personaggi che vediamo in Crimes of the future sono confusi da stimoli che non sanno più come interpretare, tanto da doversi interrogare sulla propria alimentazione o sulla compatibilità dell’uno con l’altro; la fredda regia cronenberghiana rappresenta la storia come se fossimo in una piece teatrale dove tutto è ordinario (fino a prova contraria).
Il risultato è un’umanità frammentata in molteplici mutazioni genetiche: ci sono umani che hanno una sessualità come la conosciamo, altri che devono ricorrere a dei feticci per stimolarla (il feticcio più sconvolgente è senza dubbio l’uso della chirurgia amatoriale come coadiuvante erotico, cosa resa possibile dalla scomparsa del dolore). Alcuni umani si possono cibare di una strana cioccolata sintetica (che risulta tossica per altri), altri umani hanno subito mutazioni all’apparato digerente e sono in grado di cibarsi solo di plastica: questi ultimi, secondo la narrazione del film, sono coloro che secondo Cronenberg rappresentano meglio il connubio evolutivo inevitabile tra la tecnologia e la biologia, prefigurandosi a diventare forse gli esseri umani del futuro. Una inquietante profezia dal tono ambientalista con cui il regista (autore del soggetto abbandonato nel 2003 e ripreso tra agosto e settembre 2021 in Grecia) sembra aver inserito riferimenti impliciti alle problematiche moderne della pandemia, del contagio sociale e delle tematiche cliniche affrontate da un punto di vista relazionale.
Crimes of the future (che è anche il titolo di uno dei primi mediometraggi del regista, con cui pero’ non c’è quasi nulla in comune se non, forse, qualche sprazzo di idea) segna il ritorno di Cronenberg all’arte del body horror, l’idea di un terrore legato non ad esseri sovrannaturali bensì al mondo delle patologie e della medicina: una rappresentazione della perversa commistione tra corpi e macchine, tra bisturi e carne. La storia evoca le dinamiche narrative viste in eXistenZ e narra di una coppia di artisti dedita a varie exhibit (mostre d’arte) in cui si prestano volontariamente ad esportazione di organi umani a vista. Una pratica macabra ed apprezzatissima dai fruitori d’arte del futuro, qui rappresentata con toni grotteschi o satirici e che mostra il personaggio di Saul Tenser, da tempo malato eppure iperattivo artisticamente, mentre il proprio organismo produce nuovi organi di cui nessuno conosce la funzione, e Caprice, sua compagna, che li estrae e li mette in mostra chirurgicamente (il senso letterale di exhibit è qui evidente: mostra come esibizione, spettacolarizzazione, tanto più che sono presenti ironici riferimenti alla “bellezza interiore”).
Lo stesso concetto che molti hanno riferito come cyberpunk, per inciso e per pigrizia, e che va ben oltre le.frontiere stabilite da film come Tetsuo. Quello di Crimes non è solo connubio uomo-macchina nel senso classico e già visto in passato: è la rappresentazione di una tecnologia dirompente, organica, con cui l’uomo cerca di sopperire a mancanza fisiche (la sedia fatta di ossa che aiuta nella masticazione e nella digestione, ad esempio) mentre la disperazione esistenziale arriva al suo zenith: si parla di algofobia e di un uomo che cerca di provare di nuovo il dolore, non perchè sia semplicemente masochista ma perchè senza quello, di fatto, si sente svuotato, privo di senso, mentre il suo organismo appare confuso ed incapace di interpretare i segnali interni.
Un film che Cronenberg ha sviluppato in modo meno monolitico di quanto si creda, il che rende questo film aperto a varie interpretazioni oltre che (per quello che vale) intellettualmente stimolante, di certo nel novero dei film d’essai (del resto ha ancora senso discutere di classificazioni del genere, oggi?), ma non per questo crogiolato nell’auto-riferimento o, peggio ancora, nella concettualizzazione esasperata o alienante per lo spettatore. Va tenuto conto, tuttavia, dello scenario in cui si muove la storia, che diversamente rischia di essere banalizzata o decontestualizzata senza che se ne riesca a cogliere la reale essenza.
Crimes of the future immagina un mondo prossimo a venire, tra un numero imprecisato di anni, in cui il mondo sembra perennemente privo di luce, e gli esseri umani sono evoluti diversamente da come ci si aspetterebbe. Primariamente non provano più dolore, ma questo ha comportato una mutazione anche della loro sessualità, che non avviene più mediante pene e vagina, bensì con l’ausilio di strumenti chirurgici. La conseguenza indiretta di questa mutazione comportamentale risiede in una forma di feticismo: la chirurgia diventa un modo per eccitarsi e coadiuvare il sesso, nonché oggetto di mostre e exhibit di natura esibizionista.
Alcuni umani sviluppano organi interni mai visto prima, di cui si ignora lo scopo, altri si posso cibare di sole tavolette di cioccolato sintetico, altri ancora di comune plastica. Le escrescenze e le malattie sono trattate come veri e propri feticci erotici anche perché, di fatto, l’evoluzione ha ritenuto di eliminare il dolore da gran parte degli uomini. È inoltre evidente una differenziazione tra razze umane, peraltro, di cui si evidenzierà l’aspetto tragico: esseri umani che non solo faticano a comunicare, ma anche a sopravvivere e riprodursi (se esistono tante sessualità quanti possibili feticci, del resto, le possibilità di concordanza con un partner non sono troppo numerose).
Crimes of the future sono anche i crimini del futuro, un crimine per sua stessa natura soggettivizzato dalla natura del gruppo evolutivo in questione (ad esempio chi si ciba in modo tradizionale trova aberrante chi mangi plastica, e viceversa). I crimini sono anche quelli commessi dall’uomo, che ha devastato l ambiente (al punto che il sole sembrerebbe essersi spento: ilsottotesto ambientalista sembra sostanziale,e non è nemmeno l’unico) e costretto le generazioni future ad adeguarsi, sia socialmente che fisiologicamente. Al punto di dover modificare il proprio corpo, di prendere malattie debilitanti e poco o per nulla curabili (tumori), fino al paradosso grottesco di un corpo umano che produce nuovi organi senza motivo, con gruppi di curiosi, giornalisti e voyeur che si godono spettacoli artistici fatti da incisioni ed esportazioni dal vivo di corpi umani.
Si può concludere che Cronenberg abbia colpito, pertanto, nel segno: con un ritorno ad un body horror anni novanta e ricorrendo a mille sottotrame, di cui molte non propriamente risolte e rimaste vagamente in sospeso. Un’umanità che è – letteralmente – più propensa alle malattie, per aver eliminato il dolore ed averlo reso inutile, che vive di attimi insondabili, che dialoga con parole spesso vuote e si muove come i personaggi alienati di una tragedia teatrale moderna, su cui tanto verrà detto e scritto.
Un film che pone riflessioni fondamentali sull’etica della medicina, sulla nostra storia e sulle relazioni con l’Altro.
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