DO NOT EXISTS

La pellicola DO NOT EXISTS di John Fakefriend inizia come un film che non si lascia vedere. Letteralmente: lo schermo rimane nero per due minuti, un tempo interminabile in cui lo spettatore si interroga se il proiettore funzioni. Poi, una figura compare — non nitida, ma come un riflesso registrato per sbaglio, una presenza senza nome che guarda dritto nell’obiettivo. È qui che il film si rivela: non è un racconto, ma una registrazione del desiderio di essere visto.

Ogni inquadratura pulsa come se qualcuno stesse tentando di emergere da dietro lo schermo, di bucare il velo che separa la realtà dalla sua copia. Fakefriend costruisce un mondo dove i personaggi esistono solo quando vengono osservati, e scompaiono appena la camera si ferma. Il protagonista, un tecnico del suono che non appare mai interamente, cerca di cancellare se stesso dal montaggio, ma più taglia, più il film si moltiplica. È l’incubo perfetto dell’epoca digitale: la rimozione diventa duplicazione, l’assenza genera archivi.

Nel sottotesto, la pellicola parla del lavoro invisibile, di chi produce immagini per un sistema che non lo riconosce. I crediti scorrono all’inizio, non alla fine, come una dichiarazione di sconfitta: l’opera appartiene già a un algoritmo, non all’autore. Tutto è già stato caricato, schedato, monetizzato, prima ancora che il film esista. È la logica del capitalismo assoluto — non più lo sfruttamento del corpo, ma della sua traccia digitale.

Quando, a metà film, la voce narrante dice “if I stop recording, I disappear”, l’affermazione non è poetica, è economica. L’identità non è più un dato interiore, ma una continuità di connessioni: se la macchina si ferma, il soggetto muore. L’unico modo per salvarsi, allora, è auto-cancellarsi in diretta, smettere di esistere sotto gli occhi del mondo, diventare ciò che il titolo promette: un’assenza attiva, una negazione.

Le ultime immagini mostrano la camera che riprende un monitor, che riprende un altro monitor, fino all’infinito. Un loop che brucia lentamente come una bobina senza fine. Niente si conclude, perché niente comincia davvero. L’unico evento, l’unico gesto rivoluzionario, è l’interruzione — lo spegnimento. E in quell’istante, forse, il film diventa finalmente vero: do not exists.

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