Il film è stato realizzato nel 1962 ed è considerato uno dei capolavori del regista surrealista spagnolo.
Si tratta di uno dei film di Bunuel forse meno agevoli da guardare, che presenta qualche riferimento a l’angelo sterminatore per quanto il clima surreale sia più sottintesi. Gran parte del racconto del film è infatti basato sul flashback del protagonista che si autoaccusa di una serie di delitti, descrivendo dettagliatamente la sua vita di viveur amante delle donne e della bella vita. Il suo passato è stato segnato da un trauma: la rivoluzione messicana lo ha segnato direttamente, dato che alcuni rivoluzionari sono entrati nella sua casa a saccheggiarla, mentre la sua istitutrice è rimasta uccisa. Interessante il piano psicologico con cui viene ricordato l’evento, poiché il protagonista la socia al suono di un carillon, e nella vita adulta questo diventa il motivo ricorrente del film, nonchè la sua irrefrenabile – quanto repressa – pulsione verso l’omicidio.Al tempo stesso fu proprio una giovane donna a instillare l’idea del protagonista ragazzino che il carillon fosse causa di malefici.
Sono i presupposti di gran parte dei cosiddetti thriller psicologici, in effetti, ancora non esisteva questo particolare sottogenere e a nessuno – se non forse ad Alfred Hitchcock, che già aveva avuto una analoga premonizione creativa negli anni 30 – sarebbe venuto in mente di girarne uno. Bunuel sembra interessato più che altro al sottotesto della storia, non tanto la narrazione in sé – che è a suo modo onirica e quasi dai tratti lynchiani: in vari punti della storia sia la sensazione che non ci sia un aspetto consequenziale, se non nel fatto che il protagonista piacciono le donne, e cerca la loro vicinanza in vari momenti costruendosi le più fantasioso circostanze.
Il motivo del carillon è sicuramente alla base del trauma represso, un leitmotiv che ricorre ossessivamente nella trama, e – guarda caso – la regia ci mostrerà il protagonista liberarsene definitivamente inabissandola in un lago, per poi godersi la compagnia di una donna (con cui si era trovato probabilmente meglio fra tutte) nel finale. Un finale che resta in qualche modo ambiguo: non basta buttare in un lago qualcosa per liberarsene, per Freud “le emozioni inespresse non moriranno mai. Restano sepolte vivi e usciranno più tardi nei modi peggiori“, tanto che la saga di venerdì 13 si basa esattamente su questo presupposto. Quindi il finale è più aperto e meno consolatorio, probabilmente, di quello che potrebbe sembrare. Perchè a ben vedere non è chiaro c’è il protagonista riesca a liberarsi umano della sua sessione: formalmente si, ma il super Io impersonato dal giudice a cui fa la propria confessione gli ricorda che si tratta comunque di un “assassino potenziale”, come tantissimi ce ne sono sulla faccia della terra – e che la giustizia non può certamente mettere in galera.
Per quanto la narrazione non sia ai livelli massimi, Estasi di un delitto rimane estremamente interessante in chiave psicoanalitica, anche perché assume quasi tratti di un saggio concettuale su ciò che potrebbe rendere una persona comune un potenziale killer. In questo anche certe locandine sono fuorvianti, dato che mostrano il dettaglio del rasoio insanguinato mentre in realtà nel film non c’è traccia di alcuna cruenza, se non per accenni.
Considerato uno dei migliori film messicani di sempre, Estasi di un delitto merita di essere visto ancora oggi ed è disponibile – tra gli altri – sulla piattaforma Prime Video.
Per la commissione censura dell’epoca, La Commissione di revisione, considerando “il clima di incubo creato dalla psicosi del protagonista”, concede al film il nulla osta di pubblica proiezione con il divieto di visione per i minori di 18 anni. In seguito al ricorso in Appello dei legali rappresentanti della Società di distribuzione italiana, il limite di età viene ridotto a quello per i minori di 14 anni.